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Partendo dall’antica filosofia stoica di cui è seguace Seneca, ho poi letto una sorta di “suicidio sociale” nell’eliminazione dalla propria maschera del Pascal pirandelliano.
Latino: Seneca
Italiano: Pirandello
Storia: Kamikaze giapponesi Seconda Guerra Mondiale
Filosofia: Freud
COME “AUTOLIBERAZIONE”:
LUCIO ANNEO SENECA
Cotidie morimur (Libro 3, Lettera 24. Epistulae Morales ad Lucilium)
Nella letteratura latina una delle posizioni favorevoli al suicidio è quella di Seneca, seguace
della scuola stoica della quale condivide i principi, mettendoli in pratica con enorme
coerenza nel corso della propria vita.
La filosofia di Seneca può essere considerata come una meditatio mortis, cioè una
preparazione alla morte. Centrali sono, infatti, le riflessioni sulla vita e sulla morte,
considerata non come qualcosa che ci sta di fronte, ma piuttosto come colei a cui appartiene
la vita già trascorsa.
Una famosa sententia senechiana recita “cotidie morimur”, ovvero “ogni giorno stiamo
morendo”; ogni momento di vita trascorsa non è nient’altro che un passo della scala alla cui
fine si trova appunto la morte. Essa non è un male; rappresenta sia la fine di tutto e di
conseguenza anche di ogni dolore, sia la possibilità di un passaggio ad una vita migliore.
Il filosofo latino invita tutti a non temere né la morte né le sofferenze, esortando ad
utilizzare il tempo a disposizione in modo razionale. Nel De Brevitate pone in contrasto la
vita degli occupati, ogni giorno concentrati su affari, politica e lavoro, con la vita del
sapiens, il quale si pone in una dimensione di ucronia, ovvero al di fuori del tempo.
Seneca sostiene che la vita non è breve se la si sa usare bene (vita longa est si uti scias); il
modello da seguire è appunto quello del sapiente stoico, autonomo rispetto alla dimensione
temporale.
Di fronte a questa prospettiva di morte il compito del sapiens è anche quello di mostrare la
propria virtù, la sapientia, ovvero dimostrare la propria capacità di conformarsi al logos, il
senso complessivo dell’universo, attraverso la ratio.
Deve perciò mantenere la propria forza razionale, lasciando che essa si esprima di fronte ad
ogni evenienza, compresa la più estrema, la morte.
Ma se occorre dunque apprezzare la vita, senza preoccuparsi delle sofferenze che essa
comporta e dell’unica prospettiva finale che ci viene mostrata, come può Seneca
contemplare l’eventualità del suicidio, contravvenendo al principio stoico che raccomanda
lo svolgersi della realtà naturale?
Centrale non è tanto la vita in sé, quanto la vita “razionale”. L’uomo infatti esiste solo nel
momento in cui esibisce la propria ragione; perciò il saggio è tale finché riesce a resistere
alle contrarietà dell’esistenza senza perdere la propria ragione.
Nel caso in cui dovesse essere minacciato dal rischio di perdere il controllo e quindi di
perdere la propria virtus, tramite il suicidio ha la possibilità di sottrarsi a questa perdita,
salvando così la propria razionalità.Nella morte si può trovare la libertà, spirituale e
materiale, libertà dai travagli della vita e dalla schiavitù dei beni materiali.
Il suicidio non rappresenta un cedimento, ma piuttosto un atto di coerenza al logos con il
quale ci si svincola da ciò che gli altri tentano di imporci. Solo il sapiens è però in grado di
comprendere quando e quale sia il momento opportuno, nella convinzione che “bene autem
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mori est effugere male vivendi”, ovvero, “morire bene significa sfuggire al pericolo di vivere
male”.
“Quae, ut scis, non semper retinenda est; non enim vivere bonum est, sed bene
vivere.Itaque sapiens vivet quantum debet, non quantum potest. Videbit ubi victurus sit, cum
quibus, quomodo, quid acturus. Cogitat semper qualia vita, non quanta sit. Si multa
occurrunt molesta et tranquillitatem turbantia, emittit se;… Citius mori aut tardius ad rem
non pertinet, bene mori aut male ad rem pertinet; bene autem mori est effugere male vivendi
.”
periculum
"Non sempre bisogna cercare di tenere la vita, perchè vivere non é un bene, ma é un bene
vivere bene. Così il saggio vivrà quanto deve, non quanto può; esaminerà dove gli converrà
vivere, con quali persone, in quali condizioni, con quali occupazioni. Egli si preoccupa
sempre del tipo di vita che conduce, non della sua durata: se gli si presentano molte
avversità che turbano la sua tranquillità , esce dal carcere ... Quel che importa non é
morire più presto o più tardi, ma importa morire bene o male, ma morire bene é fuggire il
pericolo di vivere male" (Libro VIII, Lettera 70. Epistulae Morales ad Lucilium)
Nel 65 d.C. Lucio Seneca venne accusato da Nerone, imperatore pazzo e sanguinario, di
aver partecipato alla congiura dei Pisoni, nata per ucciderlo.
Gli fu ordinato di togliersi la vita. Si tagliò le vene e bevve la cicuta, poi si immerse in una
vasca di acqua calda, arrecandosi così una morte lenta e straziante, in armonia con la
precettistica stoica( secondo il racconto tacitiano degli Annales). Il ruolo del saggio è quello
di giovare alla res publica, cioè allo stato; piuttosto che compromettere la propria integrità
morale, deve essere pronto all'extrema ratio del suicidio. 5
SUICIDIO SOCIALE: LUIGI PIRANDELLO
Nelle opere di Pirandello il suicidio è un elemento chiave, che non va però inteso nel senso
tradizionale del termine, ovvero come “uccisione” corporale di se stessi, ma come suicidio
sociale.
L’autore sostiene che la nostra esistenza sia basata su meccanismi sociali, chiamati
autoinganni, i quali non fanno altro che incatenare l’uomo in una serie di convenzioni,
portandolo così a crearsi un’identità fittizia, costringendolo a vivere dietro una o molteplici
maschere, a seconda del contesto e della persona che ci si trova difronte. Sotto di esse però
la vita scorre, sotto forma di flusso, ma continuamente bloccata da obblighi e vincoli sociali.
Caso emblematico è quello di Mattia Pascal, protagonista dell’omonima opera di Pirandello,
il quale riesce in parte a combattere la dialettica vita/forma, anche se in modo passivo. Non
è infatti lui a cercare di cambiare la propria condizione sociale, ma coglierà solamente
un’occasione che gli si presenta:
“Gli occhi mi andarono su un suicidio così, in grassetto. Pensai subito che potesse esser
quello di Montecarlo, e m'affrettai a leggere. Ma mi arrestai sorpreso al primo rigo,
stampato di minutissimo carattere: « Ci telegrafano da Miragno ». « Miragno? Chi si sarà
suicidato nel mio paese? » Lessi: « Jeri, sabato 28, è stato rinvenuto nella gora d'un mulino
un cadavere in istato d'avanzata putrefazione... » […] « Accorsa sopra luogo... più tardi...
per quello del nostro bibliotecario Mattia Pascal, scomparso da parecchi giorni. Causa del
suicidio: dissesti finanziarii. » « Io?... Scomparso... riconosciuto... Mattia Pascal... » Rilessi
con piglio feroce e col cuore in tumulto non so più quante volte quelle poche righe. Nel
primo impeto, tutte le mie energie vitali insorsero violentemente per protestare: come se
quella notizia, così irritante nella sua impassibile laconicità, potesse anche per me esser
vera. Ma, se non per me, era pur vera per gli altri; e la certezza che questi altri avevano fin
da jeri della mia morte era su me come una insopportabile sopraffazione, permanente,
schiacciante... […] Il salto che spiccai dal vagone mi salvò: come se mi avesse scosso dal
cervello quella stupida fissazione, intravidi in un baleno... ma sì! la mia liberazione la
libertà una vita nuova! Avevo con me ottantaduemila lire, e non avrei più dovuto darle a
nessuno! Ero morto, ero morto: non avevo più debiti, non avevo più moglie, non avevo più
suocera: nessuno! libero! libero! libero! […] - Il treno riparte! - Ma lo lasci, lo lasci
ripartire, caro signore! - gli gridai io, a mia volta. - Cambio treno!”
Viene erroneamente riconosciuto il cadavere di Pascal e la prima reazione del protagonista è
quella di protesta; è quindi intenzionato a tornare a Miragno per far sapere a tutti che si sono
sbagliati; poi però, saltando giù dal treno, ha come un’illuminazione che gli permette di
vedere la situazione in modo diverso: il suo suicido è un’occasione di libertà. Ma
l’attaccamento alla vita sociale è troppo forte, quindi decide di crearsi una nuova identità:
diventa Adriano Meis. Comprende di essere comunque escluso dalla vita degli altri, perché
tutto ciò che racconta è fittizio. Torna quindi al proprio paese, dove tutto è cambiato. Si
rende conto di non poter riprendere la sua prima identità, la sua vita iniziale; non gli resta
che adattarsi alla sua condizione di “forestiere della vita”, sempre escluso dai rapporti
umani e privato della possibilità di instaurare rapporti di fiducia. 6
Fondamentale per comprendere cosa rappresenta il “suicidio sociale” di Pascal è la prima
Premessa all’opera:
“Una delle poche cose, anzi forse la sola ch'io sapessi di certo era questa: che mi chiamavo
Mattia Pascal. E me ne approfittavo. Ogni qual volta qualcuno de' miei amici o conoscenti
dimostrava d'aver perduto il senno fino al punto di venire da me per qualche consiglio o
suggerimento, mi stringevo nelle spalle, socchiudevo gli occhi e gli rispondevo: - Io mi
chiamo Mattia Pascal. - Grazie, caro. Questo lo so. - E ti par poco? Non pareva molto, per
dir la verità, neanche a me. Ma ignoravo allora che cosa volesse dire il non sapere neppur
questo, il non poter più rispondere, cioè, come prima, all'occorrenza: - Io mi chiamo Mattia
Pascal.”
La perdita del proprio nome porta inevitabilmente ad una perdita di identità, di se stessi e
delle proprie radici e quindi ad una sorta di morte interiore. Mattia diventa così una
“maschera nuda”, non rappresenta più nessun personaggio, guarda da fuori la propria vita e
quella degli altri, e questa condizione privilegiata gli permette di vedere gli inganni che ci
creiamo continuamente e di uscire dalla “gabbia” sociale, in cui tutti siamo intrappolati. 7
PER LA PATRIA I KAMIKAZE GIAPPONESI
:
“Gli dei del Pacifico”
Se andrò sul mare, il mio corpo tornerà
sospinto dalle onde.
Se il dovere mi porterà sui monti, un tappeto
d’erba sarà la mia copertura funebre.
Per la salvezza dell’Imperatore, non morirò in
pace nella mia casa.
Durante la Seconda Guerra Mondiale le operazioni aeronavali nel Pacifico volsero, in un
primo momento, a favore del Giappone: l’attacco del 7 Dicembre 1941 condotto sulla base
di Pearl Harbor nelle Hawaii segn&ogr