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Sintesi
Introduzione Stupefacenti e alterazioni tesina


Questa tesina di maturità verte sugli stupefacenti e sulle alterazioni che questi provocano. Argomenti tesina maturità: in Italiano e Letteratura I paradisi artificiali di Baudelaire e la 'polvere folle' di D'Annunzio, in Filosofia la noia secondo Schopenhauer, in Storia la Guerra dell'oppio (o guerra anglo-cinese), in
Chimica l'analisi gascromatografica per la rilevazione delle sostanze nelle urine.

Collegamenti

Stupefacenti e alterazioni tesina


Italiano e Letteratura - I paradisi artificiali di Baudelaire e la 'polvere folle' di D'Annunzio.
Filosofia - La noia secondo Schopenhauer.
Storia - La Guerra dell'oppio (o guerra anglo-cinese).
Chimica - L'analisi gascromatografica per la rilevazione delle sostanze nelle urine.
Estratto del documento

STUPEFACENTI ALTERAZIONI

VIAGGIO NEL PROIBITO TRA LETTERATURA E CHIMICA

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I ‘Paradisi artificiali’ di Baudelaire

“E’ facile cogliere il rapporto esistente tra

le creazioni sataniche, i poeti e le creature

viventi che si sono date agli eccitanti.”

Charles Baudelaire, Paradisi artificiali

In un’epoca decadente, a partire da Baudelaire, l’uso delle droghe viene teorizzato come

una via efficace per il potenziamento delle facoltà conoscitive umane, come una

scorciatoia verso orizzonti inauditi e affascinanti. Baudelaire non è stato né il primo né

l’ultimo ad affrontare da un punto letterario il problema delle droghe, ma le sue opere

hanno sempre destato un grande interesse, in quanto esprimono particolari sensazioni e

profondi giudizi filosofici e morali procurati da esperienze dirette. I paradisi artificiali è il

titolo di un saggio sugli effetti delle droghe di Charles Baudelaire. In questo scritto l'autore

descrive le sensazioni provate dopo l'assunzione di sostanze stupefacenti quali hashish,

oppio e vino. Nella prefazione, annuncia subito di voler fare un libro "non di pura filosofia,

ma soprattutto di morale ". Vuole dimostrare che " i cercatori di paradisi fanno il loro

inferno, lo preparano, lo scavano con successo la cui previsione forse li spaventerebbe.

L’autore lo presenta come uno scritto di morale; anche se manca qui una vera "morale",

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cioè una condanna precisa dell’uso degli stupefacenti. L’Inferno, da cui Baudelaire ci

vuole mettere in guardia è quello della degradazione e dell’impotenza che possono

derivare dagli abusi. A chi viene attratto dagli effetti "meravigliosi" delle droghe, lo

scrittore ne mostra le deleterie e funeste conseguenze finali, cioè gli spaventosi risvegli

del giorno dopo, le ebbrezze del sogno. Nella prima parte de I paradisi artificiali, cioè ne Il

poema dell’hascisc egli afferma che il vino è "un meraviglioso liquore" nel quale tutti i

dispiaceri possono essere annegati. Invece "l’hascisc non si addice all’azione. Non

consola come invece fa il vino; esso non fa altro che accentuare oltre misura i tratti della

personalità umana nelle circostanze del momento". Nella prima parte de Il poema

dell’hascisc chiamata Il gusto dell’infinito, Baudelaire spiega gli elementi che spingono

l’uomo a ricercare i presupposti capaci di innalzarlo sopra se stesso, identificandoli "nei

momenti di beatitudine che nulla sembra umanamente giustificare né meritare, una vera e

propria grazia paradisiaca". In parole povere ricercare nell’elevazione spirituale un dono

gratuito non sapendo spiegarsi come l’uomo razionale possa servirsi di mezzi artificiali per

raggiungere la beatitudine. Le droghe possono far vivere l’uomo nel mondo dell’inconscio

per alcuni momenti, ma quando l’effetto finisce lasciano un senso di vuoto e di

insoddisfazione. Nel saggio da un'iniziale elogio della droga quale strumento umano per

soddisfare il "gusto dell'infinito" si passa ad una irrimediabile condanna: l'Artista, che

segue i Principi Superiori dell'Arte, non può che rifiutare la droga come mezzo di

creatività. Baudelaire afferma che "orrenda è la sorte dell'uomo la cui immaginazione,

paralizzata, non sia più in grado di funzionare senza il soccorso dell'hashish o dell'oppio".

Oppio al quale ben presto si diede il poeta in quanto secondo lui, "dilata quel che non ha

limiti, prolunga l'illimitato, approfondisce il tempo, sviscera la voluttà, e riempie l'anima

oltre ogni limite di piaceri neri e cupi scrive nella poesia Veleno 1857. Come si fa a non

riconoscere a non ricercare più queste immensità, questi piaceri cupi, il "paradiso" che si

è conquistato una volta e che si può riconquistare a volontà? In questo saggio Baudelaire

paragona gli effetti del vino e dell'hashish, opponendo i positivi risvolti sociali provocati dal

primo all'annullamento della volontà del secondo. Esalta quindi il vino, considerandolo il

più sano e sociale fra gli strumenti che l’uomo adopera per esalare la propria personalità,

per ravvivare le sue speranze ed elevarsi all’infinito e condanna l’hascisc, una droga che

gustò poco ma che nonostante il giudizio negativo nei suoi confronti, accomuna al vino

poiché entrambi capaci di eccessiva esaltazione poetica. Se da una parte dunque, il vino

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per Baudelaire esalta la volontà, "l'organo più prezioso" di un Artista, l'hashish la annulla,

diventando "inutile e dannoso" per l'uomo creativo. L'esperienza dell'hashish, pur dunque

condannata, non viene respinta però totalmente: tra gli effetti di questa droga infatti

Baudelaire ricorda la scomparsa del Tempo e le sinestesie create tra suoni, colori,

profumi, "corrispondenze" che entreranno a far parte della sua poesia e la

caratterizzeranno per sempre. Quel che però più colpisce chi legge Baudelaire

sull’hascisc e sul vino è che esse appaiono come realizzazione circostanziate di un

viaggio in paesi immaginari, ove la ragione sembra ancora resistere dinanzi ad uno

spettacolo che affonda i nostri sensi fino a farci dimenticare di essere. Era prevedibile che

quest’uomo solo, cercatore d’infinito e militato del quotidiano, innamorato del piacere e

spronato da un’intelligenza meravigliosamente acuta, vigile e serena a veder chiaro anche

in ciò che non accadeva sotto i suoi occhi; abbandonato alla forza del sogno e prostrato

dal dolore, della malattia, dal vizio, dall’impotenza; attratto dall’esperienza dell’abisso e

pur sempre sorretto da uno straordinario equilibrio: che quest’uomo dovesse solo

occuparsi a varie riprese della droga, lo spirito di poeta e con spirito tecnico, quasi

professionale, come se si trattasse di un problema così vitale e che investiva anche

l’intelletto e la morale. La droga non era un surrogato dell’amore: un qualcosa che dà ciò

che l’amore non può dare. È un paradiso conquistato senza bisogno dell’altro, dove non

c’è nessun chirurgo e nessun paziente. La personalità che scompare, il senso

dell’oggettività che giunge a farci confondere con la natura circostante, planate

nell’azzurro immensamente disteso, fino alla scomparsa del dolore e della nozione del

tempo, o fino a che la musica e l’esistenza delle immagini note dall’acqua ci conducano

ad ebbrezza vertiginosa: tutto questo è seguito e descritto da chi, immerso in una felicità

assoluta, riesca subito dopo a ricordare con una lucidità che non ha subito scosse. Tutti i

problemi filosofici sembrano risolti. Tutte le ardue schematologie dei teologi sono limpide

e chiare. Eppure la contraddizione non si spegne nel suo spirito pervenuto a un così alto

grado di "virtù e d’intelligenza che vive nella solitudine e nel pensiero. La distanza tra la

notte e la luce si fa più acuta, nel momento in cui l’ivresse sta per assolversi. Sveglio, egli

scava in se stesso la distanza incommensurabile tra i due mondi: uno dominata dal

tempo, e l’altro in cui il tempo è scomparso. 5

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La ‘polvere folle’ di Gabriele D’Annunzio

“Ho cercato l'oblio fuori del mondo e dopo

la malvagia ebbrezza, dopo il torbido letargo

dato dalla estenuazione del corpo e del

narcotico pericoloso avrei bisogno di sazietà”

D’Annunzio, appunto trovato al Vittoriale

Nasce a Pescara nel 1863 e studia a Roma senza tuttavia laurearsi. Diventa in breve

tempo protagonista della vita culturale e sociale della città. Sposa una duchessa con cui

ha tre figli, ma presto abbandona la famiglia. In seguito, nelle sue numerose relazioni,

ebbe altri figli, sempre vivendo nel lusso e dedicandosi alla continua ricerca di oggetti

raffinati e insoliti. Era convinto che l'uomo dovesse lottare con coraggio e disprezzare la

troppa tranquillità. Per questo la Prima Guerra Mondiale fu per lui il momento ideale per

far conoscere il suo pensiero e mettersi alla prova come uomo riuscendo ad avere la

meglio perfino sulla oculata gestione del potere che portava avanti il governo Giolitti e

Mussolini stesso ne avrà timore e soggezione. In seguito trascorse gli ultimi anni di vita sul

Lago di Garda, nella villa chiamata il Vittoriale che riempì di strani oggetti e opere d'arte e

dove morì nel 1938. Rifiutava la ragione come strumento di conoscenza: per lui bisognava

abbandonarsi all'istinto e ai sensi per cogliere la vita segreta dell'uomo e della natura.

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Anche la sua poesia esprimeva questa ricerca continua di armonia che credeva fosse

nascosta in ogni cosa dell'universo. Ma è troppo complesso il personaggio, il poeta, l'eroe,

l'oratore, il nevrotico esaltatore di se stesso. Se un poeta è tale perché trasmette emozioni,

egli è più che poeta perché tutta la nostra vita, anche attuale, è influenzata dalle sue

gesta, dalla sua caparbia capacità di convincere e coinvolgere. Ed in quest'ottica si

inquadra bene il mito del superuomo di cui fu sostenitore: un uomo proteso verso

l'avventura e il desiderio di affermazione attraverso imprese eroiche ed eccezionali. Il vate

era influenzato da Nietzsche tanto da creare il suo stesso personaggio forgiandolo sulla

teoria del superuomo che il filosofo gli proponeva. Nietzsche parlava di "oltreuomo",

ovvero di colui che, in un'epoca nichilista che vede il disgregamento dei valori morali fino

ad allora validi, riesce ad agire senza essere condizionato dalle convenzioni, diventando

egli stesso creatore di nuovi valori, e che rappresenta un' ulteriore stadio dello sviluppo

umano incarnando l'esaltazione degli impulsi vitali e degli istinti primitivi. D’Annunzio in

realtà adattò tutto ciò, pur riallacciandosi alle teorie di Nietzsche, al suo temperamento

sensuale facendo del superuomo l'individuo d'eccezione, destinato a dominare sugli altri

proponendosi di rappresentare figure privilegiate, che si realizzano al di fuori e al di sopra

di qualsiasi legge morale, secondo il modello nietzchiano dell'elaborazione di un uomo

nuovo, ovvero colui che, incarnando i valori della forza, della vitalità e della potenza, è

superiore agli altri uomini e li schiaccia: si tratta di colui che ha il diritto di prendere in

mano le redini della società e di guidare gli uomini. Ciò ha in parte contribuito allo

svilupparsi delle ideologie nazionaliste e razziste, vedendo nel superuomo il dominatore

delle altre razze, l'uomo "superiore". E questa sua idea di grandiosità si rispecchia nei suoi

tanti amori che sono un coacervo di poesia, lussuria, depressione, ansia e solitudine. E

sono proprio queste le parole che fanno da ‘chiave’ per entrare nella sfera privata, quella

che probabilmente meglio fa comprendere la sua essenza, di D’Annunzio. Recenti

testimonianze di alcuni studiosi rintracciate nell'archivio privato del Vate al Vittoriale, la sua

maestosa residenza sul lago di Garda infatti, dimostrano come il Vate, rinchiuso in quella

gabbia dorata, facesse uso costante di sostanze stupefacenti. La sperimentazione delle

droghe divenne consuetudine al Vittoriale, dove l'impiego della cocaina, ''la polvere folle'',

fu quasi sempre associata all'atto sessuale e ad ‘una girandola di "badesse di passaggio"

che animavano le sue notti insonni. Per Gabriele D'Annunzio era la cocaina il suo ''piatto

freddo'' preferito, quello che divorava prima delle orge. 7

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VIAGGIO NEL PROIBITO TRA LETTERATURA E CHIMICA

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Lo conferma, ad esempio, un appunto autografo risalente agli anni 1930-32, dove lo

scrittore e poeta definisce l'orgia come ''possibile follia, gioco di tensioni estreme, potere

inaudito di percepire le distinzioni fra le cose''. Ma non solo. Lo scritto sottolineava anche

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