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Il silenzio può risultare un tema ed un fenomeno banale se non vi si è mai prestata grande attenzione, ma nella mia tesina di maturità ho deciso di affrontare questo argomento.
Potrebbe sembrare un’impresa impossibile e contraddittoria, ma io vorrei trasmettere, attraverso le parole, la vera essenza del silenzio. Ho trovato conforto ed aiuto grazie ad esso, in una qualsiasi giornata invernale in cui mi trovavo a casa da sola a meditare su quale sarebbe potuto essere il tema della mia tesina e ho così avuto un’illuminazione “ascoltando” il silenzio stesso.
Decisa, mi sono documentata e ho scoperto che esiste un’intera pagina sul vocabolario italiano riguardo il significato della parola “Silenzio” e che ve ne sono di vari tipi. Mi sono però chiesta: “Perché esiste una sola parola nella nostra lingua italiana per esprimerlo nelle sue più svariate forme?”
Per esempio, in ebraico, ci sono quattro diverse parole per esprimere lo stesso concetto di silenzio con sfumature però differenti: sheqet (silenzio della quiete), lishtok (silenzio imperativo), dom (silenzio abissale) e demamah (silenzio di stupore).
Mi sono data una risposta, pensando che il motivo più ovvio fosse che ormai viviamo nella società dei consumi, in cui le prime cose ad essere consumate sono le parole: le persone non dialogano più, si chiudono vivendo nel loro mondo supertecnologico oppure hanno troppe occupazioni per prendersi un momento e stare in silenzio con se stessi.
Ho accennato al termine “parola”, perché credo che nella vita si debba procedere per antitesi per giungere poi al significato più profondo di ciò che stavamo cercando di comprendere; il silenzio, infatti, non potrebbe esistere se non ci fosse la parola e viceversa ed esso è indispensabile perché permette di ascoltare.
E’ ormai impossibile percepire il silenzio assoluto, in quanto l’inquinamento acustico è onnipresente; ma, essendomi appassionata allo yoga e agli esercizi di rilassamento per la mente, ho potuto comprendere che il silenzio è raggiungibile eliminando i pensieri e facendo spazio nella nostra interiorità.
Il tema del silenzio mi ha dunque appassionata molto e nella mia tesina ho potuto collegarlo ad alcune materie studiate quest’anno, in cui assume caratteri differenti.
Italiano - "I quaderni di Serafino Gubbio operatore" di Pirandello.
Storia dell'arte - Il silenzio di disorientamento di fronte alla pittura metafisica di Giorgio De Chirico.
Filosofia - La gerarchia del silenzio di Nietzsche
Inglese - "Waiting for Godot", Beckett.
ITALIANO
"Mi domando se veramente tutto questo fragoroso e vertiginoso meccanismo della vita, che di giorno in
giorno sempre più si complica e si accelera, non abbia ridotto l’umanità in tale stato di follia, che presto
proromperà frenetica a corrompere e a distruggere tutto."
Serafino Gubbio, il protagonista de “I quaderni di Serafino Gubbio operatore”,
trasmette, attraverso queste parole poste all’inizio del romanzo, il pensiero di
Pirandello; egli infatti non condivide la mitologia tecnologica dei suoi
contemporanei e pone al centro della sua opera la polemica incentrata sul
contrasto civiltà tecnologica e umanistica.
Pirandello studia il mutamento prospettico indotto dalla macchina nell’uomo
moderno e si sofferma in maniera particolare sulla sostituzione della parola da
parte della macchina cinematografica.
Se per molti la meccanizzazione di determinati aspetti della società è stata un
avvenimento straordinario e un passo più in là sulla strada del progresso, da
Pirandello viene invece interpretata come una regressione della comunicazione
umana: infatti, “I Quaderni” sono sia un’analisi critica della realtà moderna, sia
la testimonianza della possibile riduzione dell’uomo a oggetto, così come è
stato per Serafino.
Quest’ultimo è infatti l’emblema dell’uomo-vittima della meccanizzazione,
dell’uomo spersonalizzato e ridotto al ruolo di "mano che gira la manovella";
Serafino scompare totalmente dalla scena come “persona dotata di
un’identità” e incarna “la figura del silenzio” e del “personaggio” dopo esser
divenuto muto in seguito ad uno shock causatogli dalla violenta morte di due
attori sulla scena che egli stesso stava riprendendo con la macchina
cinematografica.
La perdita della voce di Serafino è da ricollegarsi alla perdita di sensibilità nei
confronti della realtà, in quanto egli, essendo abituato ad assistere alla finzione
scenica, finisce per essere escluso dalla vita reale e per vivere immerso nel
cinema, considerato da Pirandello come “parodia della condizione umana” in
cui convivono illusione e concretezza.
Nel protagonista, definibile ormai come “alter ego” di Pirandello, subentra
l’afasia: Serafino però reagisce al silenzio, impostogli da una fatalità, con la
scrittura, la quale funge da specchio del disordine esistenziale dell’io ed è un
mezzo per riflettere.
Infatti, il filo conduttore che lega i vari “Quaderni” è proprio quello meditativo:
Serafino è costretto ad un lavoro monotono ed alienante, avverte la propria
identità sfaldarsi ed è angosciato dal mondo inautentico in cui percepisce di
vivere, giungendo ad una sorta di accettazione “filosofica” di questa vita
ingannevole.
In conclusione, l’assenza della parola diviene protagonista incontrastata
dall’inizio alla fine del romanzo, assumendo sfaccettature diverse: in primo
luogo, vi è il silenzio in cui sprofonda l’uomo con l’avvento dei macchinari e in
secondo luogo vi è il silenzio cui è condannato Serafino, costretto a pagare a
duro prezzo un tentativo di coinvolgimento umano che non gli si addiceva.
L’operatore cinematografico registra nel più assoluto straniamento la trama di
film che scorrono tutti uguali davanti ai suoi occhi senza interessarlo
minimamente, così come l’uomo moderno osserva fluire la vita senza prendervi
parte spiritualmente ed assume il ruolo di spettatore-protagonista di una realtà
muta. STORIA DELL’ARTE
deve creare sensazioni sconosciute in passato; spogliare l'arte dal comune, sopprimere
“L'arte
completamente l'uomo quale mezzo per esprimere delle sensazioni, dei pensieri, liberare la pittura una
volta per tutte dall'antropomorfismo... Vedere ogni cosa, anche l'uomo, nella sua qualità di cosa.”
Giorgio De Chirico, nato in Grecia nel 1888, è l’inventore della pittura
metafisica: essa è nata cento anni fa e ha influenzato le correnti a lei
successive, il Dadaismo e il Surrealismo.
La Metafisica di De Chirico, presenta questi aspetti fondamentali:
Descrizione di una realtà che va al di là delle apparenze sensibili
Immagini che conferiscono un senso di mistero
Costruzione prospettica del quadro secondo molteplici punti di fuga
incongruenti
Immagini molto statiche
Assenza della figura umana
Riferimenti filosofici a Nietzsche e alla mitologia greca antica.
Riguardo quest’ultimo punto, De Chirico nutrì la sua cultura della passione per
“Prima di
la mitologia greca e si schierò contro le Avanguardie affermando:
essere picassiani, matissiani, i nostri geni modernisti farebbero meglio ad
imparare a fare una buona e bella punta al loro lapis”.
Inoltre l’artista ebbe un’ammirazione per Nietzsche che si tradusse in una sorta
di identificazione.
Durante la sua vita, De Chirico viaggiò molto ed è da questo suo “nomadismo”
che nascono la nostalgia e la melanconia caratterizzanti i suoi quadri; egli
rappresenta la realtà come un enigma e la natura come un caos.
Le opere dell’enigma sono volte a dare una sensazione di mistero, in cui
l’assenza di movimento dà l’impressione di un tempo fermo, di un luogo
silenzioso
In un’epoca in cui si stavano formando le avanguardie, il Futurismo e tutte
quelle correnti che tendevano a porre l’individuo al di sopra della realtà, il
pittore introduce un nuovo movimento artistico in cui l’uomo diviene
poeta/oracolo che entra nelle cose per conoscerle e comprendere come sono in
verità. (Superuomo)
I dipinti di De Chirico sono pieni di icone classiche facenti parte del suo
bagaglio culturale (colonne, gessi, statue antiche e personaggi mitologici) le
quali si intrecciano con l’alienante cultura moderna posta sempre sullo sfondo.
(treni, paesaggi industriali)
Le piazze che egli rappresenta sono soprattutto italiane e sono vuote,
silenziose perché così le vede il “pittore/superuomo” che cerca di capirne la
verità; inoltre, le figure si immergono in un ambiente e in un tempo immobili e
taciti, che destano angoscia.
Ne “Le muse inquietanti”, l’opera mostra una piazza sul cui sfondo compaiono
il castello estense di Ferrara e anche una fabbrica; sulla destra, un palazzo ad
arcate rievoca l’architettura classica.
Quindi Medioevo, Rinascimento e tempi recenti si mescolano per dare una
sensazione di irrealtà.
Anche le due figure in primo piano appaiono come incroci tra differenti
tradizioni: quella in piedi è una statua classica dalla schiena muscolosa ed ha
un manichino sartoriale al posto della testa, quella seduta sembra un fantoccio
di pezza ed ha la testa svitata, accostata alle sue gambe.
Tutto questo reca un silenzio di disorientamento ed inquietudine.
FILOSOFIA
“Sono le parole più silenziose, quelle che portano la tempesta. Pensieri che incedono con passi di
colomba, guidano il mondo.”
Friedrich Wilhelm Nietzsche fu uno spietato critico del passato e un inattuale
profeta del futuro; ci offrì la propria concezione del silenzio in due sue
grandissime opere: “La gaia scienza” del 1882 e “Così parlò Zarathustra” del
1885.
Il filosofo ideò una gerarchia per esprimere la sua concezione del silenzio:
Uso consapevole del silenzio: “Socrate non fu soltanto il più saggio
chiacchierone che ci sia mai stato: fu altrettanto grande nel tacere.”
Attraverso queste parole pronunciate da Nietzsche ne “La gaia scienza”, si può
facilmente comprendere che egli fosse un grande ammiratore di Socrate: infatti
afferma che quest’ultimo si sarebbe potuto elevare quasi al rango di divinità se
solo fosse rimasto in silenzio anche in punto di morte.
Socrate, in punto di morte, pronunciò una frase ritenuta ridicola da Nietzsche:
“Critone, sono in debito d’un gallo ad Asclepio”. Così egli fece trapelare,
attraverso queste parole, ciò che aveva nascosto per tutta la vita, cioè di
essere un pessimista.
Il silenzio del sé: “Il mondo non gira intorno agli scopritori di nuove urla,
ma agli scopritori di nuovi valori.”
Nietzsche sottolinea che la centralità della nostra esistenza è affidata alle ore
di silenzio, non a quelle più rumorose, in quanto gli uomini saggi sono coloro
che sanno scegliere la strada del silenzio.
Infatti, il nostro “IO” parla tramite la voce dell’interiorità.
Il silenzio mistico: “Non cantare! Silenzio! Il mondo è perfetto. Non
cantare, o volatile che vaghi tra l’erba, o mia anima! Non bisbigliare
neppure!”
Il filosofo afferma attraverso queste parole tratte da “Così parlò Z.”, che il
silenzio necessita di rispetto perché è divino; quello in cui tutto tace è un
momento sacro, la perfezione dell’universo è il silenzio assoluto e a nulla serve
romperla col frastuono. INGLESE
“The tears of the world are a constant quantity. For each one who begins to weep somewhere else
another stops. The same is true of laugh.”
“Waiting for Godot” is a play written by Samuel Beckett. Beckett wrote “Waiting
for Godot” primarily in French in 1952, then in English in 1955, because it was a
great success, like a bomb which disrupted the existing conventions of the
theatre.
This play has no plot, nothing happens, the setting is not the usual sitting-room
but a country road with only a tree, the main characters are two tramps,
Vladimir and Estragon, who are waiting for the title character, Mr Godot, but he
never comes.
The theme of silence is present in all the play: in fact, the silence is the only
possible response to the absurdity of life.