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Italiano: Giuseppe Ungaretti
Arte: preraffaeliti e Rossetti
Filosofia: Friedrich Nietszche
Storia: l'orrore della Shoah
Introduzione
L‟idea di trattare dello sguardo della Medusa mi è venuta leggendo
“Lezioni Americane” di Italo Calvino, oltre al fatto che la mitologia
greca mi ha sempre affascinato. Nel primo capitolo del libro l‟autore
espone il concetto di leggerezza nella cultura e nella letteratura di
ogni tempo, partendo dalle scarpe alate di Perseo, contrapposte alla
pesantezza della pietra in cui sono tramutate le vittime della Medusa.
Non volendo parlare dell‟eroe, leggero e vincente, ho deciso di
approfondire invece la figura, spesso dimenticata, dell‟uomo
pietrificato, umiliato, immobilizzato che mi ricordava molto la
condizione dell‟uomo del „900 stravolto dagli orrori del suo secolo.
Ho provato, dunque, ad andare alle radici di questo sentimento e ho
ipotizzato che esso avesse avuto origine proprio nel fascino irresistibile
esercitato su Romantici e Decadenti, come Shelley e Wilde, dalla
figura della Medusa: essa è l‟emblema e la metafora della corruzione
fatale che incanta e poi rovina gli uomini. La Gorgone è infatti
pericolosa e ingannevole, una femme fatale, che si veste da Lilith, da
Salomé, o addirittura da Dioniso, solo per il gusto di illudere l‟uomo e
poi annientarlo.
È così che il XIX secolo, inebriato dagli ideali dionisiaci del guerriero e
della pieniezza del vivere, ipnotizzato dal ballo voluttuoso di Salomè, si
getta nel XX, il secolo dei messacri e degli orrori.
L‟incredibile carneficina che è stata la Prima Guerra Mondiale
rappresenta il momento della consapevolezza e della disillusione. Di
come l‟uomo si senta deluso e privo di forze alla fine della guerra ne
scrivono Remarque, Ungaretti ed Eliot. Quest‟ultimo inoltre sottolinea la
sensazione di un‟imminente catastrofe.
Sono infatti i delitti efferati della Seconda Guerra Mondiale, due fra
tutti, il genocidio degli ebrei e la distruzione di Hiroshima, che mostrano
all‟uomo il vero volto della Medusa. Ma presto l‟uomo realizza di
essere lui il vero autore di questi mali: è lui infatti la vera Medusa.
Giunto a questa sconvolgente verità, egli rimane definitivamente
pietrificato, freddo e duro come la pietra di una lapide. Non gli è più 2
dato vivere da vero uomo: anche la poesia, una delle sue facoltà più
alte e nobili, sembra essere negata per sempre “dopo Auschwitz”.
Ma dalla tomba dell‟Uomo si leva un sussurro, quello dei morti, che i
vivi, coloro che hanno visto, devono saper ascoltare. E sono proprio i
poeti e gli scrittori che hanno il compito di cogliere il significato di
queste deboli parole e trasmetterlo, come fosse il loro “piccolo
testamento”. Dunque grazie alla poesia l‟uomo, vittima della Medusa,
si erge finalmente come Monumento, in monito di ciò che è stato, e di
ciò che non deve più accadere, eterno, come la pietra. 3
Parte I
La bellezza fatale della
Medusa
“...Ma è più la grazia che l‟orrore a volgere
lo spirito di chi la fissa in pietra...”
P.B. Shelley 4
BELLEZZA MEDUSEA
Una delle figure che più hanno impressionato il romantico P.B. Shelley
è stata probabilmente quella della Medusa, antica creatura
mitologica che in sè riassume elementi e suggestioni (come la
drammaticità della sua maledizione e della sua fine, ma allo stesso
tempo la diabolicità del suo sguardo letale) che esercitarono un
fascino irresistibile sull‟animo sensibile del poeta e sulla sua penna.
Infatti proprio alla “Medusa” di Leonardo, oggi in realtà attribuita ad
un artista fiammingo poco noto, che egli vide agli Uffizzi nel 1819, è
dedicata una delle sue ultime poesie: “Sulla Medusa di Leonardo da
Vinci nella Galleria di Firenze”. I
Giace, fissando il cielo della mezzanotte,
supina su una vetta annuvolata;
sotto, lontane terre si intravedono;
l’orrore e la bellezza in lei sono divini.
Sulle sue palpebre e le labbra, sembra,
la grazia posa come un’ombra da cui splendono
livide e ardenti, sotto dibattendosi,
le agonie dell’angoscia e della morte. 5
II
Ma è più la grazia che l’orrore a volgere
lo spirito di chi la fissa in pietra,
là dove i tratti di quel volto morto
s’incidono, finché i caratteri diventano
il volto stesso, e il pensiero li perde;
la melodiosa tinta della bellezza, sparsa
attraverso il buio e il bagliore della pena,
umanizza e armonizza il tormento.
III
E dal suo capo spuntano, come da un corpo intero,
come [...] erba da una roccia bagnata,
chiome che sono vipere, e si torcono e fluiscono
e s’intrecciano in lunghi grovigli,
e con viluppi senza fine mostrano
uno splendore di metallo, quasi a irridere
la morte e la tortura dentro, e segano
con mille aspre mascelle l’aria solida.
IV
E, da una pietra accanto, un ramarro velenoso
scruta indolente in quegli occhi di Gorgone;
mentre nell’aria un pipistrello orrendo,
stordito e folle, svolazzando è uscito
dalla caverna aperta da questa odiosa luce,
e avanza, come una falena che s’affretta
dietro una torcia; e il cielo della notte
lampeggia, luce più terribile del buio.
V
È la tempestosa grazia del terrore;
ché dai serpenti luccica un bagliore di rame,
acceso da quel groppo inestricabile
che fa che un tremulo vapore d’aria
diventi un [...] e sempre mutevole specchio
di tutta la bellezza e il terrore –
il volto di una donna, con trecce di serpenti,
che nella morte fissa il Cielo da quelle umide rocce. 6
[Stanza aggiuntiva]
È il volto divino di una donna
con un respiro di bellezza eterna
che da una tempestosa vetta di montagna, fissa
supina nel [...] l’aria tremante della notte.
È un capo tronco, e sui suoi lineamenti
la morte ha incontrato la vita, ma nella morte c’è la vita,
il sangue è raggelato – ma la Natura invitta
sembra contender fino all’ultimo – senza un respiro
il frammento di una creatura increata.
Ciò che incanta Shelley è la sovrapposizione di sensazioni contrastanti,
di tinte che sfumano una nell‟altra, dal dolore al piacere, dalla grazia
alla tenebra, in una combinazione che genera un brivido nuovo,
unico. “Il suo orrore e la sua bellezza sono divini” scrive. La bellezza in
quegli occhi gorgonei infatti è sconvolgente e, al tempo stesso,
stupefacente, termine che in inglese si può tradurre con astonishing, la
cui radice è stone, pietra, quindi pietrificante. Shelley dunque incarna
perfettamente la figura dell‟osservatore tramutato in pietra nella
meraviglia della contemplazione di un‟opera d‟arte, di cui già John
Milton scriveva: Thou in our wonder and astonishment
Has built thy self a live-long Monument.
Then thou our fancy of her self bereaving,
Dost make us Marble with too much conceiving.
Ma in questo caso non è l‟opera d‟arte in sè a sconvolgere lo
spettatore, ma ciò che rappresenta: nel volto livido dell‟agonia,
avvolto da un groviglio di serpi, illuminato da una luce sinistra, il poeta,
come le rane e i pipistrelli nel quadro stesso, ammira pietrificato una
bellezza insidiata e contaminata. “E‟ la tenebrosa leggiadria del
terrore”, la Bellezza Medusea. 7
L‟ESTETICA DELL‟ORRIDO
Anche Goethe nel suo Faust ci propone un‟immagine molto simile a
quella di una medusa, una presenza che attira l‟attenzione del
giovane protagonista, ma di cui Mefistofele avverte l‟estrema
pericolosità: FAUST
Mefisto, la vedi laggiù
pallida e bella una giovane sola e lontana?
Si muove ma a stento, come ai piedi fosse impedita.
Devo dire che mi pare somigliare
alla mia cara Gretchen
MEFISTOFELE
Lascia, non ti curare! Non fa bene a nessuno.
È una figura magica, senza vita, un fantasma.
Incontrarla è sciagura.
Quel suo sguardo fisso ferma il sangue degli uomini
e quasi in pietra li tramuta.
Di Medusa hai sentito parlare.
FAUST:
Vero è, sono gli occhi di una morta
che una mano amorosa non ha chiusi.
È quello è il seno che Gretchen mi offrì,
è quello il dolce corpo che ho goduto.
MEFISTOFELE
Come ti lasci ingannare, sciocco! È magia:
e quella appare a ognuno come la donna amata.
FAUST
Che voluttà! E che strazio!
Da quella vista non riesco a dividermi.
Com’è strano che corra su quella bella gola
un nastro rosso unico sottile,
non più largo del filo di un coltello. 8
È appunto quella voluttà che si manifesta nello strazio, il fascino
dell‟orrendo, la testa decapitata della Medusa, che conquista e
possiede l‟uomo, che congela Faust davanti a quella visione, e
assieme a lui, Shelley davanti l‟opera di Leonardo. Le parole di Goethe
dunque sono come il manifesto di una nuova estetica, che esalta il
macabro, l‟orrido come fonti di diletto e di bellezza: sono la
confessione dell‟amore tenebroso che sarà proprio di romantici e
decadenti per tutto il secolo. Il fascino per la Medusa è quello che
Walter Pater chiama il “fascino della corruzione”, che inevitabilmente
finisce per confondersi con il gusto del pericolo, il compiacimento
nella tristezza e nella sofferenza.
Quindi l‟ode che Shelley dedica alla Gorgone non è altro che un inno
all‟emblema di una nuova, suprema bellezza, che, come commenta il
noto critico Mario Praz, “è bellezza maledetta”( Non a caso nel mito è
proprio la bellezza di Medusa la causa del suo triste fato).
Essa infatti facilmente si coniuga con l‟idea di pericolosità e letalità, in
una parentela che rivela il legame indissolubile tra Bellezza e Morte,
come quello tra due buone sorelle. Questa realtà, in un certo senso
sconcertante, ci è rivelata da due grandi scrittori dell„800, Victor Hugo
e Baudelaire. Il primo scrive nel 1871:
La Morte e la Bellezza sono due cose profonde
Piene di tanta ombra e tanto azzurro che le diresti
Due sorelle ugualmente terribili e foconde
Con lo stesso enigma e lo stesso segreto
Allo stesso modo Baudelaire dopo aver intitolato un suo sonetto “Les
Deux Bonnes Soeurs”, giunge a definire la bellezza come “sogno di
pietra”, tremendo, che come la Morte “offre orribili dolcezze e
godimenti”. Più avanti D‟Annunzio interpretando una sensibilità molto
vicina a quella di Baudelaire e Hugo scriverà inneggiando alla
genetrice d‟Atreo: 9
L'imagine in te ritrovai
della perigliosa Bellezza
che di sé m'accese e m'accende,
virginea nel rigore
del suo vestimento ordinato,
urna di tutti i mali,
profondità di dolore
e di colpa, remota
cagione di lutti infiniti,
funesto silenzio ove rugge
ebro di lussuria e di strage
l'umano mostro nudrito
d'inganni pel labirinto
dei tempi. L'aspetto sublime
dell'Ombra cui l'arte m'è fisa
in te raffiguro, Ippodàmia.
Questa “perigliosa bellezza” che incanta molti fra poeti e scrittori per
tutto l‟800 è una bellezza mostruosa, che in sè porta un‟implicita
promessa di morte, un sublime inganno. Dunque la Medusa si rivela, in
tutta la sua meschinità, come una delle prime donne fatali, capace di
stregare col suo sguardo maligno l‟uomo, che è ignaro, che è vittima. 10
LA DONNA FATALE
Tutta la letteratura e l‟arte romantica, sulla scia di questi “scopritori”
della bellezza medusea, fa continuo rifermento alla tipologia della
femme fatale, dal carattere corrotto, provocante che tinge un pò
tutte le eroine della tradizione. Esempio chiarificante di questa
tendenza può essere la figura de “La Belle Dame sans Merci” che
intitola una delle più celebri ballate di Keats (in cui la bella dama
abbandona il giovane cavaliere innamorato su un pendio ad
avvizzire) e, successivamente, molti dipinti preraffaeliti. Infatti, il tema
conosce una decisa evoluzione proprio durante il decadentismo:
l‟ambiente artistico della fin de siècle ottocentesca è percorso dalla
rappresentazione reiterata della donna come femme fatale, una
tematica non solo tra le più seducenti, ma corrispondente anche a un
cambiamento sociale: le consolidate certezze maschili iniziano a
cadere sotto i colpi dell‟incipiente richiesta di emancipazione
femminile.
Pioniere del genere fu il pittore e poeta Dante Gabriel Rossetti,
massimo esponente della corrente preraffaelita, che dedicò molti dei
suoi dipinti ed alcune sue poesie a soggetti di donne ammaliatrici,
dalle doti attrattive eccezionali. Una di queste è la figura biblica di
Lilith, per gli antichi ebrei la prima moglie di Adamo, donna dal
carattere forte e dominante, che viene ripudiata e cacciata dal
paradiso terrestre per essersi rifiutata di obbedire al marito; Lilith