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Sintesi
Letteratura italiana: Giacomo Leopardi

Letteratura latina: Seneca

Filosofia: Arthur Schopenhauer

Storia: il Risorgimento italiano

Storia dell'arte: il Romanticismo; Caspar David Friedrich

Inglese: english Romanticism

Francesce: la poésie romantique (Alphonse De Lamartine)

Fisica: l'evoluzione della relatività

Scienze: la nascita del sistema solare
Estratto del documento

Introduzione:

I C I

L ONCETTO DI N FINITO

N C , G B , G C ‟ ‟

ICOLA USANO IORDANO RUNO EORGE ANTOR E L EVOLUZIONE DELL INFINITO

Già i filosofi greci posero l'infinito, che essi chiamavano "apeiron", come principio della

realtà. Ma l'infinito matematico appariva qualcosa di più temibile, inclassificabile, di in-

definito. I Pitagorici scacciarono dalla loro setta Ippaso di Metaponto, colpevole di aver

rivelato l'esistenza dei numeri irrazionali.

Nell'800, il matematico Georg Cantor consacrò i

propri studi al tentativo di rendere definito e

operativo in matematica un concetto come quello di

infinito. Mosso anche da interessi filosofici e

addirittura teologici, Cantor formulò una nuova

categoria di numeri, i numeri "transfiniti". Un insieme

infinito, secondo la definizione di Cantor, è un

insieme che possiede almeno un sottoinsieme con cui

è in corrispondenza biunivoca. Insomma, per gli

George Cantor insiemi infiniti il tutto non è sempre maggiore delle

1845 - 1918 parti. Le conseguenze di questa scoperta furono

enormi. Oggi l'infinito è un oggetto familiare per gli scienziati, uno strumento che pone

alcuni problemi e permette di risolverne molti altri. Ma al profano, e forse anche allo

scienziato, il salto dal finito all'infinito continua a dare come una vertigine. Per l'uso che ne

fanno le scienze, l'infinito è un rapporto e non un'idea, uno strumento e non una essenza.

Possiamo allora dire che è possibile conoscere attraverso l'infinito, ma non conoscere

l'infinito? E i nostri sforzi in questa direzione saranno sempre inutili, frustrati e destinati allo

scacco, come sosteneva Kant?

Questo grande quesito resta, dopo secoli di studio, ancora insoluto…

Ma cosa indica l’infinito? I matematici e i filosofi, parlando di infinito, si riferiscono allo

stesso concetto, o a qualcosa di completamente differente?

Il fatto è che molti concetti filosofici vengono

utilizzati normalmente anche nell‟ambito della

scienza. Pensiamo alla "causalità", al rapporto tra

causa ed effetto. Ecco, l'infinito è uno di questi

concetti. Ma il modo in cui i filosofi considerano

l'infinito forse non è quello che usano i

matematici e gli scienziati. Gli scienziati lo usano

effettivamente come infinito dei numeri. Dico

"dei" al plurale perché – anche se la cosa può

sembrare strana – ci sono tanti infiniti. I Giordano Bruno

matematici hanno scoperto che di infiniti ce ne 1548 - 1600

sono infiniti, che è una specie di circolarità. E il

primo che si è accorto che forse più di un infinito poteva esistere è stato Giordano Bruno.

Ne “La cena delle ceneri”, una delle sue opere, fa uno strano ragionamento. Dice, seppur non

testualmente: “supponiamo di avere una palla, come la terra. La terra viene illuminata dal

sole, ma soltanto una parte della terra viene illuminata dal sole. Man mano che ci si

allontana, il sole è più lontano dalla terra, una parte sempre maggiore della sfera viene

illuminata. Ora, domanda: quant'è la parte della sfera che al massimo può venire

illuminata? Se il sole fosse all'infinito, allora illuminerebbe esattamente metà della sfera”.

Ora Giordano Bruno si chiede: “Ma l'altra metà della sfera che cosa fa? Rimane in ombra?”

Allora l'idea di Giordano Bruno è: quando arriviamo all'infinito, facciamo un passo in più,

incominciamo ad andare oltre questo primo infinito e il sole comincerà a illuminare la parte

di dietro della sfera. Quando s'arriva all'infinito per la seconda volta tutta la sfera è

illuminata. Non c'è bisogno di dire che questa è, ovviamente, un'idea semplicemente

metaforica, non ha nessun senso. Però è la prima volta nella storia in cui qualcuno pensa

che ci sia effettivamente la possibilità di avere due o più infiniti. I matematici oggi sono

arrivati ad averne addirittura infiniti. E chi scoprì che ci sono “infiniti infiniti” fu proprio

quel Cantor ( George Cantor 1845 - 1918) di cui ho già citato il nome prima.

Ma il pensiero di Bruno ha generato innovazioni molto importanti nella storia della scienza

e della filosofia. Giordano Bruno era un seguace di Nicola Cusano, vescovo

Nicola Cusano di Bressanone. Però Cusano aveva fatto un sacco di pasticci

1401 - 1464 dal punto di vista filosofico. Cusano credeva che nell‟infinito

tutto diventasse uguale. Lui credeva che un triangolo infinito

fosse uguale a una retta, fosse uguale a un cerchio infinito, e

così via. Giordano Bruno, che era un seguace di Cusano

(però in tempi diversi, non più nel 1450, ma nel 1600)

introdusse l‟idea di due infiniti. La sua idea dell‟infinito era

molto moderna. Lui aveva questa idea dello spazio infinito,

secondo cui l'universo non fosse soltanto una porzione finita in qualche modo, ma che si

estendesse in tutte le direzioni, senza limiti. È la stessa cosa per il “tempo”: anche, o meglio,

soprattutto il tempo doveva essere infinito, e questo certamente non avrebbe dato gran

fastidio alla chiesa. E infatti quello che diede “disturbò” alla chiesa fu che Giordano Bruno

usò il concetto di infinito anche per i mondi. Lui sosteneva che ci fossero infiniti mondi,

che il sistema solare fosse solo un esempio di sistema in cui potesse esserci la vita e che in

giro per l'universo ci fossero infiniti di questi altri sistemi, in cui probabilmente ci fossero

infiniti altri esseri, specie viventi, che avessero l'intelligenza. Questo naturalmente provocò

dei grandi problemi teologici. Sant'Agostino già lo diceva, pensava che non fosse possibile

che ci fosse vita in altri pianeti, perché se ci fosse vita in altri pianeti, allora Dio avrebbe

dovuto incarnarsi anche negli altri pianeti, salire e scendere sulla croce, sarebbe diventato

un saltimbanco della croce. Ma questo non si poteva dire, ovviamente. Gesù Cristo non era

un saltimbanco, per lo meno per Sant‟Agostino. E invece Giordano Bruno introduce

quest'‟dea, per l‟appunto la possibilità che ci siano infiniti altri luoghi nell‟universo, in cui la

vita si è evoluta. Già anche Cusano lo faceva, però Cusano era appunto un cardinale, vicario

tra l‟altro. Aveva quindi un certo potere per quei tempi. Giordano Bruno non ebbe la stessa

fortuna, per cui uno dei crimini, diciamo così, che gli furono imputati e che poi lo

portarono al rogo, fu il fatto di aver creduto che ci fossero infiniti mondi e infinite altre

specie. Ed è proprio questo il momento in cui l'infinito effettivamente lascia la filosofia e

incomincia ad entrare nella scienza e quindi comincia a interessarsi di ciò che effettivamente

succede nell'universo. Giordano Bruno è stato uno dei più grandi martiri del libero

pensiero, ma a mio parere la scienza moderna deve a Giordano Bruno almeno la stessa

gratitudine di cui è debitrice nei confronti di Keplero. E questo evidentemente la Chiesa

non poteva accettarlo. La base della religione cristiana, infatti, è rappresentata da una idea di

importanza fondamentale: l‟infinito è Dio e nient‟altro, e tutto ciò che è infinito è solo Dio.

Non è concepibile un infinito spaziale, perché sarebbe una sorta di identificazione

matematica “universo=Dio”, arrivando ad una sorta di panteismo (il che non è del tutto

assurdo, visto che un panteismo scientifico sembra oggi accettato da gran parte degli

scienziati”). Un infinito temporale è altrettanto inconcepibile, perché, sempre la religione

cristiana, come anche gli altri due grandi monoteismi, è fondata su un altro pilastro

ideologico importante, che si rifà allo stesso concetto precedente: la creazione. Islam,

Ebraismo, Cristianesimo: in ognuna è presenta una idea di “creazione”, di “inizio”, come

pure di fine, se pensiamo all‟Apocalisse di S. Giovanni. Per cui, strano a dirsi, ancora oggi la

chiesa non accetta l‟idea di infinito matematico.

La concezione cattolica è ferma a Cantor. Il succitato studioso, preoccupandosi che le sue

ricerche potessero intaccare le concezioni religiose di fine ottocento come era successo 200

anni prima con Bruno, si recò di sua spontanea volontà in Vaticano, portando con sé le sue

ricerche. Si rivolse al Santo Uffizio, composto per lo più da domenicani, che dopo due anni

di studio e applicazione matematica verificarono che le teorie del matematico non

intaccavano la morale cristiana, e che lo stesso avrebbe potuto divulgare le sue ricerche, a

patto che avesse chiamato gli infiniti presi in esame con l‟appellativo di “transfiniti” per non

lasciare che il popolo confondesse la concezione teologica con quella matematica, che alla

chiesa risulta ancora oggi estranea. Il Santo Uffizio aveva teorizzato che i numerosi

“transfiniti” scoperti da Castor non erano assoluti, ma erano soltanto una sorta di

sottocategoria dell‟unico infinito possibile: Dio. Ovviamente questa è una concezione

impossibile da accettare per la scienza e la matematica, per le quali non può esistere un

infinito assoluto.

Questo brevissimo testo non ha la pretesa di essere una esauriente storia dell‟evoluzione di

un importantissimo concetto filosofico e scientifico, ma ci permette di comprendere

l‟importanza che “l‟infinito” ha avuto nell‟evoluzione scientifica. È lo studio di esso che ha

fortemente condizionato la letteratura, l‟arte, la filosofia, il progresso e quant‟altro. Se

sembra una cosa impossibile, spero che questa tesina multidisciplinare, nel suo complesso,

possa far cambiare idea.

Il problema dell‟esistenza di più infiniti, per chi ne fosse interessato, sarà affrontato in

maniera più approfondita in appendice, dove verrà presentato uno scritto dal titolo “I tanti

aspetti dell‟infinito”.

Per quanto riguarda il nostro Sistema Solare, varie evidenze di tipo chimico e

geologico fanno risalire la sua formazione a circa 4.7 miliardi di anni fa.

Letteratura Italiana

Capitolo 1

LETTERATURA ITALIANA

Giacomo Leopardi

L’infinito è un parto della nostra

immaginazione, della nostra piccolezza ad un

tempo e della nostra superbia… Ma l’infinito è

un’idea, un sogno, non una realtà…”

Giacomo Leopardi

Le proprie esperienze e la voglia di raccontare emozioni,

sensazioni, ricordi e sentimenti costituiscono il terreno sul quale

nasce la nuova poesia di Giacomo Leopardi, espressa con forza

e vigore negli Idilli, componimenti in endecasillabi sciolti nei

quali i riferimenti storici e culturali - ridotti al minimo - lasciano

il passo all‟io più profondo e interiore. Giacomo sceglie l‟idillio Giacomo Leopardi

per avvalersi di una poetica libera da vincoli, perciò capace di 1798 - 1837

riportare alla luce quelle sensazioni ineffabili, cui dedicava

un‟ampia riflessione nell‟ambito della sua teoria del piacere, ora

indagata rispetto alla natura e ai moti emozionali dell‟anima.

Il pensiero di Jean-Jacques Rosseau inizialmente aveva guidato Leopardi verso l‟esaltazione

della natura e delle illusioni, conducendolo ad una concezione sensistica nella quale

primeggia il problema della felicità; le illusioni agiscono sull‟uomo, originandosi da una

determinata condizione dettata dai sensi. È l‟aspirazione al godimento - secondo la teoria

del piacere - a scaturire qualsiasi umana condotta, ma il piacere mai riesce a realizzarsi in

assoluto, oscillando tra un continuo desiderio e l‟accettazione di un soddisfacimento

perennemente illusorio. Il desiderio è sempre infinito: all‟uomo resta solo l‟immaginazione

per «concepire le cose che non sono» e credere di porre fine alla sua sete di felicità.

L‟adesione alla filosofia sensistica e l‟accostamento al meccanicismo materialistico

illuminista indussero Leopardi a elaborare il concetto di pessimismo cosmico, la revisione,

dovuta a un progresso conoscitivo, di quell‟atteggiamento agonistico verso il presente e il

contemporaneo, avvertiti come nemici e corruttori dell‟autenticità della natura, conosciuto

invece come pessimismo storico. La natura non è più positività e bene, si trasforma in ostile

e cieco vigore indirizzato alla umana specie; solo la consapevolezza della verità e

dell‟endemica infelicità dell‟essere uomini riescono a svelare quanto effimere e vane siano le

illusioni.

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