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Sintesi

Introduzione Schiavitù Moderna, tesina



La seguente tesina di maturità tratta del tema della schiavitù moderna. La tesina abbraccia anche i seguenti argomenti nella varie discipline scolastiche: Il mondo nuovo", "Ritorno al mondo nuovo" di Aldous Huxley in Letteratura; "La democrazia in America" di Alexis De Tocqueville in Storia e Filosofia.

Collegamenti
Schiavitù Moderna, tesina

Letteratura - "Il mondo nuovo", "Ritorno al mondo nuovo" di Aldous Huxley.
Storia e filosofia - "La democrazia in America" di Alexis De Tocqueville.
Estratto del documento

moderno”. Questa affermazione è fondamentale: se il liberalismo deve essere pensato

con il criterio interpretativo di “risposta a una sfida”, questo significa che di fronte ad

una realtà sociale, ad un mondo che cambia, anche le nostre risposte devono

cambiare: il dispotismo contro cui dovevano combattere gli antichi era molto diverso

da quello del nostro tempo, molto più mite e impersonale, ma più esteso.

Pensiamo, per esempio, a fenomeni sociali come il consumismo omologante, che

riduce l’uomo “a una sola dimensione”, per citare Marcuse, l’accentramento

progressivo del potere e la “super-organizzazione”, che screditano inevitabilmente il

significato della democrazia, concentrando la ricchezza e l’influenza politica in una

élite tecnocratica intoccabile, la “sovrappopolazione”, il problema spinoso per

eccellenza delle future generazioni, il dilagare di un’ “Etica Sociale” che riduce il

singolo ad essere nient’altro che un mero ingranaggio al servizio della collettività.

Credo che Alexis de Tocqueville e Aldous Huxley, pur nelle loro differenze, abbiano

previsto con una lungimiranza quasi profetica l’evolversi della storia e della civiltà

moderna e che quindi sia dal loro pensiero che dobbiamo ripartire, se vogliamo

recuperare quegli “anticorpi” senza i quali non saremo in grado di affrontare le sfide

del presente per scongiurare la perdita del valore più importante del mondo in cui

viviamo: la libertà umana.

TOCQUEVILLE, UN ARISTOCRATICO

ALLE PRESE CON LA DEMOCRAZIA

L’INTELLETTUALE E IL SUO TEMPO

“La libertà è la prima delle mie passioni. Ho per le

istituzioni democratiche un gusto di testa,

ma sono aristocratico per istinto,

cioè io disprezzo e temo la folla”

1837, Appunti Alexis de Tocqueville nasce a Parigi nel 1805 in una

famiglia aristocratica di nobili legittimisti sfuggiti al

“Terrore”. Nel 1826 si laurea in Legge. Il 1827 è un anno

fondamentale per la sua vita, in quanto viene nominato

giudice uditore a Versailles e nel 1831, proprio grazie al

suo incarico di magistrato, viene inviato negli Stati Uniti

insieme all’amico Gustave de Beaumont per studiare il

sistema penitenziario americano. Tocqueville, tuttavia, è

interessato non solo dall’aspetto giudiziario, ma soprattutto a quello politico e sociale

del “Nuovo Mondo”: egli è affascinato dal livellamento sociale della società americana,

dall’assenza di privilegi di nascita e dalle pari opportunità che consentono ad ognuno,

indipendentemente dal ceto di appartenenza, di salire la scala sociale. Egli nota anche

come l’accentramento burocratico sia controbilanciato da un ampio decentramento

amministrativo. La “Democrazia in America”, un vero e proprio resoconto di viaggio

ricco di appunti e considerazioni, viene pubblicato in due parti: la prima nel 1835, la

seconda nel 1840. Nel 1849 viene eletto deputato del villaggio della Normandia che

porta il suo nome e, sotto la presidenza di Luigi Bonaparte, diventa Ministro degli

“Affari Esteri”. Due saranno le questioni che lo vedranno maggiormente coinvolto in

questo incarico: l’abolizione della schiavitù nelle colonie e la riforma delle prigioni.

Muore a Cannes nel 1859 a 54 anni.

“LA DEMOCRAZIA IN AMERICA”

L’opera che indiscutibilmente lo ha reso celebre è la “Democrazia in America”, un

testo fondamentale dal punto di vista storico e sociale non solo per comprendere gli

Stati Uniti del diciannovesimo secolo, ma anche per riflettere sulle dinamiche e gli

sviluppi delle democrazie occidentali. Tocqueville è convinto che le nazioni moderne

tendano progressivamente verso la democrazia, che l’intellettuale concepisce non nel

senso strettamente etimologico di “potere del popolo”, ma in quello sociale: egli è

convinto che l’uguaglianza di condizioni, la quale si traduce in uguaglianza dei cittadini

di fronte alla legge, mobilità sociale e aspirazione all’uguaglianza, sia destinata a

prevalere perché meglio di altre forme è in grado di garantire la maggior felicità al

maggior numero di persone. Questa uguaglianza, però, è compatibile con l’esercizio

della libertà? Ecco la domanda e il timore profondo di un uomo sempre diviso nella

tensione tra vecchio e nuovo, tra valori liberali e democrazia, tendenza dei nuovi

tempi. Tocqueville è scettico perché nella democrazia rappresentativa l’individuo

tende a delegare il suo potere nelle mani del governo di turno, evitando di partecipare

direttamente alla vita politica del suo paese e, così facendo, attraverso il suffragio

universale, si concretizza il rischio della “tirannia della maggioranza”, in cui si riduce

drasticamente lo spazio per chi dissente: il risultato è una società omologata,

conformista e, al contempo, paradossalmente atomista, in quanto l’individuo, avendo

delegato tutto, si rinchiude nella sua esistenza privata, perdendo di vista la comunità.

E’ in queste condizioni, dice Tocqueville, che si può verificare una forma terribile di

dispotismo, che, proprio a causa delle sue caratteristiche, minaccia le nazioni

democratiche.

QUALE SPECIE DI DISPOTISMO DEVONO TEMERE LE NAZIONI

DEMOCRATICHE

Nell’ultima parte dell’opera Tocqueville esprime

preoccupazione per il futuro delle nazioni

democratiche: egli è convinto che uno stato

sociale democratico possa offrire una facilità

singolare allo stabilirsi di una forma particolare “Una mandria di animali timidi e

industriosi, di cui il governo è il

pastore”

di dispotismo, molto differente rispetto a quello che caratterizzò il mondo antico.

Tocqueville risale all’Antica Roma: “sebbene il governo dell’impero fosse accentrato

nelle sole mani dell’imperatore, (…) i particolari della vita sociale e dell’esistenza

individuale sfuggivano generalmente al suo controllo”. La loro tirannide, pur gravando

straordinariamente su qualcuno, non si estendeva sulla maggioranza: era nello stesso

tempo violenta e ristretta. “E’ probabile che il dispotismo, se riuscisse a stabilirsi

presso le nazioni democratiche del nostro tempo, avrebbe un altro carattere: sarebbe

più esteso e più mite e degraderebbe gli uomini senza tormentarli”. Nel futuro

prospettato dal pensatore i sovrani riusciranno più facilmente rispetto al passato a

concentrare tutto il potere nelle loro mani e lo utilizzeranno per penetrare più

abitualmente e più approfonditamente nella vita privata delle persone. Pensando,

però, alle “piccole passioni degli uomini del nostro tempo, alla mollezza dei loro

costumi, all’estensione della loro cultura” Tocqueville non teme “che essi troveranno

fra i loro capi dei tiranni, ma piuttosto dei tutori”. La forma d’oppressione da cui sono

minacciati i popoli democratici non rassomiglierà a quelle che l’hanno preceduta nel

mondo, (…), le antiche parole dispotismo e tirannide non le convengono affatto. La

cosa è nuova, (…)”. Tocqueville immagina una folla innumerevole di uomini uguali,

intenti solo a procurarsi piaceri piccoli e volgari, con i quali soddisfare i loro desideri.

“Ognuno di essi, tenendosi da parte, è quasi estraneo al destino di tutti gli altri”. Al di

sopra di essi si eleva un potere immenso, tutelare, assoluto, particolareggiato,

regolare e previdente, che “rassomiglierebbe all’autorità paterna se, come essa,

avesse lo scopo di preparare gli uomini alla virilità, mentre cerca irrevocabilmente di

fissarli nell’infanzia, ama che i cittadini si divertano, purché non pensino che a

divertirsi. Lavora volentieri al loro benessere, ma vuole esserne l’unico agente e

regolatore; provvede alla loro sicurezza e ad assicurare i loro bisogni, facilita i loro

piaceri”. Insomma, si chiede Tocqueville, non potrebbe esso togliere interamente loro

la fatica di pensare e la pena di vivere? Questo potere ogni giorno rende meno

necessario e più raro il libero arbitrio, restringendo l’azione della volontà e togliendo a

poco a poco ad ogni cittadino perfino l’uso di se stesso.

Dopo aver preso nelle sue mani potenti ogni individuo ed averlo plasmato a suo modo,

il sovrano estende il suo braccio sull’intera società; ne copre la superficie con una rete

di piccole regole complicate, minuziose e uniformi, che impediscono anche agli spiriti

più originali di elevarsi al di sopra della massa. “Esso non spezza le volontà, ma le

infiacchisce, le piega e le dirige; raramente costringe ad agire, ma si sforza

continuamente di impedire che si agisca; non distrugge, ma impedisce di creare; non

tiranneggia direttamente, ma ostacola, comprime, snerva, estingue, riducendo infine

la nazione a non essere altro che una mandria di animali timidi e industriosi, della

quale il governo è il pastore”.

LE PAURE DI UN ARISTOCRATICO

Nell’ultima parte del capitolo Tocqueville sostiene che questa specie di servitù possa

combinarsi meglio di quanto si immagini con qualcuna delle forme esteriori della

libertà e che non sia impossibile che essa si stabilisca anche all’ombra della sovranità

del popolo. “I nostri contemporanei sono incessantemente affaticati da due contrarie

passioni: sentono il bisogno di essere guidati e desiderano di restare liberi; non

potendo fare prevalere l’una sull’altra, si sforzano di conciliarle: immaginano un potere

unico, tutelare e onnipotente, eletto però dai cittadini, e combinano l’accentramento

con la sovranità popolare. Ciò dà loro una specie di sollievo: si consolano di essere

sotto tutele pensando di avere scelto essi stessi i loro tutori. Ciascun individuo

sopporta di sentirsi legato, perché pensa che non sia un uomo o una classe, ma il

popolo intero a tenere in mano la corda che lo lega. In questo sistema il cittadino esce

un momento dalla dipendenza per eleggere il padrone e subito dopo vi rientra”.

Tocqueville, pur credendo che un sovrano elettivo possa comunque esercitare

un’oppressione molto grande sugli individui, crede che questa sia molto meno

degradante rispetto a quella di un despota non eletto. Tuttavia, l’aristocratico

Tocqueville non cesserà mai di nutrire forti dubbi sulla logica democratica: “è

effettivamente difficile comprendere come mai degli uomini, che hanno interamente

rinunciato all’abitudine di dirigere se stessi, potrebbero riuscire a scegliere bene quelli

che li dovrebbero guidare; non si può mai sperare, quindi, che un governo liberale,

energico e saggio possa uscire dai suffragi di un popolo di servi. Una costituzione

repubblicana nella testa e ultra-monarchica in tutte le altre parti mi è sempre

sembrata un mostro effimero: i vizi dei governanti e l’imbecillità dei governati la

porterebbero presto alla rovina, mentre il popolo, stanco dei suoi rappresentanti e di

se stesso, creerà istituzioni più libere o ritornerà a subire un solo padrone.

UN PROFETA DEL MONDO MODERNO?

Il dispotismo che, dal punto di vista di Tocqueville, minaccia le nazioni democratiche si

configura, spiega il filosofo Diego Fusaro, ricercatore presso l’Università “San Raffaele”

di Milano, come un potere non disciplinare, non sovrano, ma lasco, permissivo, che

permette agli uomini di divertirsi illimitatamente, purché non pensino ad altro. Spezza

il legame sociale: fa in modo che gli individui pensino solo a se stessi e, quindi, non

alla comunità, non allo Stato. E’ una servitù tranquilla, quasi volontaria, ricordando la

celebre definizione di Etienne De La Boètie. Impossibile non stabilire un confronto con

il mondo contemporaneo che promette la libertà dell’individuo e, al tempo stesso,

genera fughe tragiche verso l’omologazione della società dei consumi, in cui, citando il

Nietzsche del “Così parlo Zarathustra”, “non vi è più che un solo gregge e nessun

pastore”. L’omologazione genera una società massificata, uniforme, in cui tutti

pensano le stesse cose, vogliono le stesse cose e in cui si può fare tutto ciò che si

vuole, tranne che lottare per un mondo diverso. Non c’è più bisogno di reprimere i

dissidenti quando non ce ne sono più, quando la tirannia tralascia i corpi e va “dritta

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