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Sintesi
Tesina sulla schiavitù


Monografia di Storia sul tema della schiavitù
.
Estratto del documento

Viaggio nella schiavitù:

impressioni personali, metafore e …

“fantasia”

Credo che durante la nostra vita siano pochi i giorni in cui non si

a che fare con le parole schiavo, schiavisti o schiavitù. In

televisione, sulla radio, in un libro, fra la gente. Il motivo deriva

dal fatto che esse presentano tutta una serie di sfaccettature molto

correnti anche nel nostro tempo. Si può essere ad esempio schiavi

del sesso - ragazze costrette a prostituirsi, massacrate di botte,

talvolta anche uccise qualora venisse loro in mente di ribellarsi -,

totalmente schiavi del gioco, della droga, del danaro e, perché no,

perfino del proprio lavoro - si parla di giapponesi che non

smettevano mai di lavorare fino a che non morivano - .

Il lato che però noi intendiamo attraversare toccando, per quanto

sia possibile, punti più profondi e momenti significativi delle

parole schiavitù, schiavismo o schiavo - che deriva da slavo, cioè

barbaro - è quello classico, quasi stereotipato: un uomo, inteso

come essere umano, che appartiene in tutto e per tutto ad un altro

essere umano, il quale ha su di lui potere di vita o di morte.

Schiavi per ogni era

E’ il padrone dello schiavo che decideva se egli doveva mangiare

e bere, quante ore al giorno doveva lavorare, che tipo di lavoro

svolgere, quando e se riposarsi. Allo schiavo maschio il padrone

generalmente impediva di avere alcun tipo di rapporto affettivo o

sessuale, pena l'evirazione o la morte, a meno che non fosse il

padrone stesso a richiederlo. Per le donne la cosa era un po'

diversa, soprattutto per quelle giovani e piacenti nell'aspetto. Non

di rado capitava che divenissero oggetto di attenzioni libidinose da

parte dei loro padroni o di parenti e amici del proprietario.

Proprietario è la giusta parola in quanto si poteva tranquillamente

equiparare lo schiavo ad un qualsiasi utensile. Il padrone infatti

può essere così ulteriormente definito anche per il motivo che egli

stesso poteva decidere se comprare, vendere o barattare schiavi,

così come in genere si faceva e si fa tutt'ora con cavalli, mucche o

altri animali, i quali ricevono e ricevevano senz'altro un

trattamento migliore di questi uomini senza diritti alcuni.

La condizione di schiavo, possiamo tranquillamente affermare,

che nasce con l'uomo. Questa forza lavoro ha contribuito in

maniera determinante allo sviluppo di grandi civiltà antiche come

quella Sumera, Egizia, Greca, Etrusca, Romana, e moderne, prime

fra tutte Spagna, Portogallo, Gran Bretagna, Francia, Olanda e

ovviamente America.

Schiavitù: vero motore trainante dei mondi

antichi

In genere nel mondo antico erano i prigionieri di guerra o i

catturati in scontri tribali ad essere trasformati in schiavi, ma lo si

poteva anche addivenire per nascita o per debiti.

Un bambino venuto al mondo da genitori schiavi quasi sempre lo

diventava a sua volta in maniera automatica.

Non restituire un prestito o non risarcire un danno cagionato

spesso conduceva l’individuo in regime di schiavitù.

Nota è la deportazione degli ebrei da parte di Nabuconodosor, il

quale nel 586 A.C. non si accontentò di distruggere il loro tempio-

simbolo, quello di Salomone, e massacrarne un gran numero, ma

condusse anche il resto di quel popolo a Babilonia, rendendolo

schiavo. Questo periodo fu definito dagli ebrei “schiavitù

babilonese”.

Che dire degli iloti: gli spartani dopo aver conquistato il loro

territorio nel settimo secolo A.C. , la Messenia, li schiavizzarono

nella maniera più feroce, tanto da ucciderli perfino senza motivo o

solo per allenarsi al combattimento; se non li uccidevano

sistematicamente, perpetravano su di loro qualsiasi tipo di

nefandezza.

Lo storico Tucidide racconta che, poiché talvolta gli iloti

venivano reclutati nelle milizie spartane, fu loro proposto di

sottoporsi al giudizio di quanto valore essi avrebbero dimostrato in

battaglia, in modo da guadagnarsi così una meritata libertà.

In realtà, sempre secondo lo storico greco, si trattò di uno

stratagemma per individuare i più inclini alla ribellione.

Ecco allora che gli spartani dopo averne selezionato 2000, li

condussero a visitare alcuni templi e da quel momento nessuno ne

seppe più nulla.

Scorrendo a ritroso nel tempo, quasi ai limiti del neolitico (quarto

millennio), troviamo i sumeri, i quali non solo usavano schiavi per

i canonici lavori, nella fattispecie scavare canali per bonifiche o

irrigazioni, ma un gran numero di questi uomini soggiogati era

perfino destinato ai sacrifici - si parla di una regina sepolta

assieme ad una miriade di schiavi sacrificati per l'occasione - .

Avvicinandoci a noi nelle ere, per quanto riguarda l’Egitto,

ultimamente questa ha subito una revisione storica da parte di

alcuni autorevoli egittologi che sconfessano oltre che Erodoto (5

secolo A.C.) anche ciò che il cinema ci ha proiettato per lungo

tempo: uomini frustati a sangue nell’atto di spostare enormi massi

per costruire le piramidi. In realtà, sempre secondo questi storici

contemporanei, furono costruite da persone che si sentivano

onorate di farlo e in numero molto minore: 10.000 non 100.000 .

Infatti in quel periodo, 27 secoli A.C. , in Egitto la schiavitù era

poco praticata e iniziò con le successive dinastie - 30 fra tutto -; fu

poi con la nascita del nuovo regno, 1550 A.C., che l’Egitto, entrato

in guerra con i popoli vicini, reperì, da questi, schiavi che allora

certamente erano trattati nella maniera con cui venivano trattati

delle altre etnie.

Il popolo stesso non godeva certo di grandi libertà, tant’è che dalle

proprie origini solo lo scorso 2012 è riuscito, mediante elezioni a

scegliere il proprio governo. Certo, il caos ancora in quel paese

regna sovrano ma questo, potremmo dire che è il prezzo da pagare

per raggiungere libertà e democrazia.

Nella Grecia antica sciaguratamente si riuscì anche a moralizzare

la schiavitù, affermando che rientra nella natura delle cose, poiché

è proprio essa - la natura - a produrre uomini inferiori fatti per

esser schiavi e uomini superiori nati per essere liberi.

Secondo questo pensiero tutti potevano guadagnare dalla

schiavitù: il padrone, poiché grazie agli schiavi che svolgevano

lavori per suo conto poteva dedicarsi al raggiungimento della virtù

e gli schiavi, che grazie alla guida del padrone, sia pur nei loro

limiti, potevano raggiungere una certa elevatezza.

In alcuni periodi ad Atene potevano addirittura abitarvi più schiavi

che uomini liberi.

Ecco allora che troviamo filosofi come Platone, il quale grazie ai

suoi modi compassati riusciva spesso a dominare istinti aggressivi

come l’ira - un giorno per punire uno schiavo lo fece picchiare da

un altro, dicendo che se lo avesse fatto di persona, tanto era

arrabbiato, lo avrebbe massacrato -, egli riteneva la schiavitù una

cosa necessaria, quasi insostituibile, senza la quale le Poleis non

avrebbero potuto progredire .

Anche Aristotile stesso affermava con estrema naturalezza, anzi

era addirittura un vero precursore di quanto sopra citato, che

alcuni individui nascono già predisposti ad essere schiavi poiché

non sono in grado di prendersi cura di loro stessi, e sosteneva

anche che non esistendo gli automi questi predisposti li

sostituiscono in tutto e per tutto.

Non ebbe mai la minima esitazione nell’equipararli ad oggetti

animati, completamente al servizio del padrone.

Per meglio comprendere il paragone Aristotelico il timone e il

timoniere sono entrambi degli oggetti. Il primo inanimato, il

secondo animato. La differenza fra loro non esiste poiché sono in

ugual misura al totale comando del capitano.

Il filosofo riteneva infatti cosa buona e giusta che i padroni

pensassero e decidessero per questi individui, simili o inferiori

agli animali, guidando ogni loro azione, anche la più banale,

usando se necessario mezzi drammaticamente coercitivi, incluso la

soppressione fisica qualora lo schiavo manifestasse un, sia pur

minimo, segno di ribellione.

Nonostante ciò, anche da questa realtà ci sono arrivate notizie di

attivisti favorevoli all’abolizione.

Assiotea, un certo personaggio la cui storia è stata raccontata e

romanzata anche in recente libro, 2009, di Adriano Petta, vissuta

proprio nel periodo classico, non ebbe timore alcuno a schierarsi

contro la parte colta e politica del paese, compresi i due grandi

filosofi sopra ricordati, per inneggiare alla libertà di tutti gli

schiavi e al miglioramento della condizione femminile che in

Atene era molto simile proprio alla condizione di schiavitù.

Sembra anche che travestendosi da uomo riuscì a farsi ammettere

all’accademia.

Anche la civiltà etrusca si avvaleva di schiavi reperiti alla classica

maniera, comprati o catturati in battaglia, i cui diritti sparivano in

un secondo. Questo popolo non permise mai alle classi inferiori,

anche se semilibere, di partecipare alla vita politica e sociale, in

maniera anche più rigida di altre popolazioni. E’ molto facile

dunque immaginare i ritmi e i divieti imposti agli schiavi.

Deposte in alcune tombe, contenute in anfore di minor pregio,

sono state trovate ceneri che si presume essere di schiavi; verrebbe

quasi da pensare ad un sacrificio in onore del padrone defunto.

Schiavi imperiali

Non potevamo certo spaziare nel mondo antico parlando di

schiavitù senza menzionare il periodo romano, toccando quindi

quello che è l’immaginario collettivo: lo schiavo addivenuto

gladiatore per combattere nelle arene, attirando anche

l’ammirazione delle ricche donne romane.

Chi non conosce le gesta di Spartacus, schiavo eroe di molte

battaglie, colui che condusse alla ribellione oltre 70mila

assoggettati, ma alla fine, come era inevitabile, non poté sfuggire

dal suo destino. Ne l71 A.C. fu letteralmente fatto a pezzi dai

soldati di Licinio Crasso, i quali per lavare l’onta della ribellione

crocifissero anche 6000 di questi schiavi lungo la via Appia che da

Roma conduceva a Capua.

Per entrare più nel dettaglio nella Roma, sia repubblicana che

imperiale, esisteva una vera selezione con l'intento di assegnare lo

schiavo giusto al posto giusto.

Costituzione robusta, aggressività ed esperienza nell'uso delle

armi erano doti apprezzate per i combattimenti nelle arene e gli

schiavi che avevano tali caratteristiche - come lo stesso Spartacus

- erano destinati a fare i gladiatori.

Coloro che venivano catturati nelle campagne solitamente

venivano assegnati al lavoro dei campi, incaricati così di lavorare

la terra dall’alba al tramonto, costruire ponti, strade, case e altro,

legati con catene l’uno all’altro, senza o con poco e pessimo

nutrimento, dormendo ammassati l'uno sull'altro, in condizioni

igieniche, ovviamente, totalmente inesistenti, frustati a sangue per

il minimo errore; solo a volte, per i più fortunati, accadeva, per

qualche motivo, di essere uccisi in maniera repentina, giungendo

così all’agognata morte che poneva fine alle loro atroci sofferenze.

I più anziani, assieme alle donne, venivamo affidati a mansioni da

casalinghi.

Alcune volte, come già affermato, poteva capitare che ragazze o

giovani fossero prescelti dalla propria padrona o trasformati in

amanti del padrone; in questo modo la vita di questi schiavi

migliorava e si allungava di molto. Altre volte, un gran numero di

giovani donne veniva spedito nei bordelli.

Tornando a trattare di coloro che venivano trasformati in gladiatori

possiamo affermare che fossero costretti ad allenarsi per diverse

ore al giorno, per poi combattere rischiando la mutilazione o la

vita in ogni momento, potendo tuttavia, se vincenti, conoscere la

gloria o il riscatto.

Poiché anche a Roma, come in altri imperi o altre epoche, vi era

questa possibilità – il riscatto – , era sufficiente che il padrone

dello schiavo decidesse di liberalo registrando la cosa davanti a un

magistrato e lo schiavo stesso era divenuto libero. Questi prendeva

il nome di liberto.

Sorte diversa toccava ai fuggitivi, i quali puntualmente venivano

ripresi, torturati atrocemente e, se non uccisi, marchiati in fronte

con una F che stava ad indicare la parola fuggitivus.

Mentre nella Grecia antica, riguardo alla libertà per tutti gli

uomini, abbiamo considerato il diffuso pensiero di Platone e

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