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Filosofia - Feuerbach; Hegel
Storia - Prima e seconda guerra mondiale; Industrie alimentari
Latino - "Satyricon", Petronio
Greco - Plutarco
Se è vero che alla base di un intero filone del
romanzo, inteso come genere letterario moderno e
borghese, sta la finzione della rappresentazione della
realtà, è altrettanto vero che di questa realtà una parte
fondamentale è costituita dal cibo, dal nutrimento, dai
pasti, dai vari rituali che circondano e accompagnano
il soddisfacimento di un bisogno elementare,
biologico, come la fame. Perciò il romanzo, fin dalle
sue origini, non ha potuto fare a meno di occuparsi di
tale realtà […] La dimensione antropologica del
nutrimento e poi quella sociologica delle classi, quella
politica del potere e quella culturale dei valori,
interagiscono fin dall’inizio con la dimensione
letteraria. sapori della modernità-Gian
{I Paolo Biasin}
Il segno culinario rappresenterà, a suo modo, la trasformazione economica di una cosa in
un prodotto, la trasformazione erotica di un oggetto in un corpo, e la trasformazione
linguistica di un’entità in un segno.
parole mangée et autres essais théologico-politiques-Louis
{La Marin}
Occorre poi riflettere sul fatto che i referenti culinari (le materie prime della cucina, i riti, i
gesti) sono segni reali e culturali che si trasformano in segni verbali nei vari trattati di
gastronomia e d’igiene alimentare che dall’antichità a oggi hanno accompagnato e
sistematizzato le esperienze e le scoperte umane nell’ambito nutritivo.
sapori della modernità-G.P.Biasin}
{I
Non vi è dubbio che il romanzo sia uno strumento conoscitivo straordinario, che permette di
capire le strutture antropologiche, sociali, culturali e psichiche che circondano e
condizionano i fenomeni alimentari: il discorso sul cibo diventa inevitabilmente discorso sul
piacere e sul potere, sull’individuo più segreto come sulle classi più vistose, diventa
insomma un discorso sul mondo.
sapori della modernità-G.P.Biasin}
{I
Perciò ancora una volta la letteratura obbliga a riflettere sulla sua duplice natura: coinvolta
nel mondo e nella vita, odorosa di salse e di sughi, fragrante di pane appena sformato; e
autonoma, autoreferenziale, nutrimento dello spirito e della mente.
{I sapori della modernità-G.P.Biasin} 4
LATINO
Già a livello linguistico, codificato o no nella letteratura, la dimensione alimentare costituisce
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un’area ricchissima, che risale al greco antico simposio e al latino convivio (in cui i due
prefissi sottolineano la natura sociale, comunitaria dell’atto di bere e di mangiare, traslando
in campo filosofico).
{I sapori della modernità-G.P.Biasin}
“Satyricon” – Petronio
Cena Trimalchionis
Cena Trimalchionis
La celebra il trionfo del cibo, che domina incontrastato facendosi
materia di spettacolo e di conversazione. Nella tradizione “alta” della letteratura conviviale (il
Simposio filosofico di Platone o di Senofonte), il cibo di norma non compare: il simposio ha
inizio quando il banchetto è giunto al termine (e con opportune precauzioni per non gravare
la mente di vino o di cibo). Nel convito di Trimalchione la prospettiva è completamente
rovesciata: il cibo domina la parola. La pacchiana ostentazione delle ricchezze di
Trimalchione abbaglia gli ospiti con il luccichio dell’argenteria massicci. Quando il discorso
non si riferisce a ciò che si mangia, esso facilmente scivola sul tema del denaro. Cibo e
denaro sono parametri sufficienti a descrivere l’orizzonte culturale del mondo dei liberti.
Fu servito comunque un antipasto di gran classe, che tutti ormai erano a tavola, all’infuori di
lui, Trimalcione, al quale in nuova usanza era riservato il primo posto. Quanto al vassoio, vi
campeggiava un asinello in corinzio con bisaccia, che aveva olive bianche in una tasca,
nere nell’altra. Ricoprivano l’asinello due piatti, su cui in margine stava scritto il nome di
Trimalcione e il peso dell’argento. E vi avevano saldato ancora dei ponticelli, che
sostenevano ghiri cosparsi di miele e papavero. E c’erano dei salsicciotti a sfrigolare su una
graticola d0argento, e sotto la graticole susine di Siria con chicchi di melagrana.
Si era alle prese con tali delizie, quando lui, Trimalcione, giunse lì trasportato a suon di
musica, e come lo ebbero deposto, tra guanciali minuscoli, chi fu colto alla sprovvista non si
tenne dal ridere. Da un mantello scarlatto lasciava infatti sbucare la testa rapata, e intorno
al collo, rinfagottato dall’abito, si era messo un tovagliolo con liste di porpora e frange
spenzolanti qua e là. Aveva poi nel dito mignolo della mano sinistra un grosso anello
placcato d’oro, e nell’ultima falange del dito seguente un anello più piccolo, d’oro massiccio,
avrei detto, ma certo con sopra saldate come delle stelle in ferro. E, per non far mostra di
quei preziosi soltanto, mise a nudo il braccio destro, che era adorno di un’armilla d’oro e di
un cerchio d’avorio con una lamina luccicante all’intorno.
(Satyricon, 31-3-33,8; Traduzione di V. Ciaffi) 5
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GRECO Plutarco
Nel panorama letterario dell’età imperiale Plutarco occupa una posizione di rilievo per
l’ampiezza dei suoi interessi e la vastità della sua opera scritta, come pure per l’importante
funzione da lui svolta quale erede, testimone e interprete del grande patrimonio della cultura
classica, nel trapasso dall’età antica a quella bizantino-medievale ed europea moderna.
Plutarco nacque in Beozia, intorno al 50 o poco prima. Studiò ad Atene e compì
numerosissimi viaggi per la Grecia, in Asia, ad Alessandria e in Italia. Fu a Roma almeno
due volte.
Morì nei primi anni del regno di Adriano, intorno al 120.
L’opera scritta di Plutarco a noi pervenuta è tra le più estese della letteratura greca. La sua
Vite Parallele
enorme produzione letteraria può essere suddivisa in due grandi sezioni: e i
Moralia.
cosiddetti
Del mangiar carne
In questa opera Plutarco esprime la sua completa avversione nei confronti
dell’alimentazione carnea. Il pensiero fondamentale intorno a cui tutta l’opera ruota, è che
gli esseri viventi sono tutti legati tra loro da una sostanziale affinità, essi infatti partecipano,
anche se in maniera diversa, a una qualche forma di ragione. Plutarco ribalta quindi tutte le
concezioni che collocano al centro dell’universo l’uomo, egli confuta il diritto di quest’ultimo
di appropriarsi della vita degli animali per soddisfare i propri bisogni e di dimostra per
questa ragione un precursore della moderna sensibilità “animalista”. 7
ITALIANO
Trattare degli usi del cibo nel romanzo significa anche ritagliare una striscia cospicua del
tessuto verbale che permette un’analisi critica in profondità, metonimica e metaforica,
riferibile all’intero testo.
{I sapori della modernità-G.P.Biasin}
IL SUGO DELLA STORIA
(“Promessi sposi” - Alessandro Manzoni)
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Ecco dunque il narratore soffermarsi sul fiaschetto del vino prediletto di Don Abbondio ,
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su Perpetua che risponde ai richiami del padrone con un gran cavolo sotto il braccio, e
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con la faccia tosta , sui quattro capponi, poveretti! a cui Agnese doveva tirare il collo,
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per il banchetto di nozze e che Renzo dovrà portare in omaggio/sacrificio all’avvocato
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Azzeccagarbugli; ecco Lucia che dopo il rinvio del matrimonio sta preparando tristemente
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il desinare , e Agnese che conduce in cucina Menico e gli dà da colazione prima di
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affidargli un certo servizio a Pescarenico, e ancora l’appetito di Renzo durante le sue
numerose camminate, nel bergamasco e sotto l’acquazzone liberatore. Si tratta di
connotazioni che rafforzano efficacemente i caratteri peculiari dei personaggi: la placidità di
Don Abbondio, la furbizia di Perpetua, la praticità di Agnese, la domesticità di Lucia, la
vitalità di Renzo.
Risulta chiarissima la coerenza non solo o non tanto realistica o mimetica quanto funzionale
del narratore nell’accostare cibi, ambienti e personaggi […] I cibi sono scelti e nominati con
precisione referenziale, storica e sociologica: polpette, stufato e stracchino,
inconfondibilmente lombardi, ancor oggi dopo più di un secolo dall’unificazione dell’Italia; e
brodo e lesso di cappone, un mangiare da festa che fa da controcanto alla più solita e
quotidiana polenta, magari condita con un formaggio fresco come il raveggiolo.
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L’interesse del narratore non è per i cibi dei nobili. Il convito di Don Rodrigo all’inizio del
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romanzo è percepito (da Fra Cristoforo) come un gran frastuono confuso di forchette, di
coltelli, di bicchieri, di piatti, e soprattutto di voci discordi, che cercavano a vicenda di
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soverchiarsi ; mentre gran cura è riservata alla disposizione dei commensali […] Una prima
ragione del relativo disinteresse di Manzoni per il cibo dell’aristocrazia sta forse nella
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contrapposizione, che il testo offre fra nobili cattivi e buoni , come ha suggerito Mirto
Stone: per cui nel caso dei cattivi l’autore dedica la sua attenzione all’uso sociale e rituale
dei pasti ridotti a mere occasioni di esibizione del potere, di riaffermazione di gerarchie, di
invito alla prevaricazione e all’arbitrio; nel caso dei buoni invece, proprio perché essi sono
proposti a modello, i loro cibi non hanno importanza in quanto tali, e semmai sarà la loro
frugalità o la loro connotazione religiosa a occupare interamente la scena.
Alla fine del romanzo il narratore interviene, ravvivando un’altra metafora alimentare resa
comune dall’uso e sottolineando in tal modo ulteriormente, in proprio e senza l’eco biblica, il
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sermo humilis : Questa conclusione, benché trovata da povera gente, c’è parsa così
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giusta, che abbiamo pensato di metterla qui, come il sugo di tutta la storia . Vale la pena
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ricordare che in Fermo e Lucia il corposo ed essenziale sugo di tutta la storia era il
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costrutto morale di tutti gli avvenimenti che abbiamo narrati , con un linguaggio più solenne
e filosofico, ma infinitamente meno immediato ed efficace, di quello adottato nei Promessi
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Sposi […] Il sugo serve anche a mettere in primo piano la storia , cioè il romanzo, ed
esplica dunque una funzione metanarrativa chiarissima, perché la dialogicità fra il narratore
e i suoi personaggi è ribadita e sottolineata ancora dalla battuta conclusiva del romanzo,
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che riguarda appunto la storia del cui sugo si è trattato finora, chiama in causa chi
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l’ha scritta e chi l’ha raccomodata , e fa appello alla benevolenza dei lettori.
Il segno culinario nei Promessi sposi di Manzoni, mentre serve a costruire una microstoria,
diventa strumento di un progetto realistico legato a una profonda visione religiosa ed etica
{I sapori della modernità-G.P.Biasin}
COME SI FA LO STUFATO
(I Malavoglia – Giovanni Verga)
La fame, che resta costantemente sullo sfondo nei “Promessi sposi” e ne costituisce, con la
carestia, un unico episodio determinante per la narrazione, ma che non tocca da vicino i
protagonisti del romanzo, diventa invece la preoccupazione quotidiana e assillante dei
Malavoglia, la condizione umana e storica con cui devono misurarsi i suoi personaggi […]
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Fame che comporta il problema dei come sfamare le bocche della famiglia Malavoglia,
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come guadagnare il pane quotidiano, letteralmente. Non c’è dubbio che l’analisi del
Verga, diretta allo strato più umile della società, vi abbia ravvisato nel fattore economico il
motivo dominante, quello che condiziona appunto, innanzitutto, lo sfamarsi, ma che ingloba
anche tutte le sfere del comportamento, a cominciare dagli affetti.
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Ecco subito le acciughe da salare , una delle attività domestiche della Longa fino dalla
prima presentazione: è l’attività base che ritornerà a scandire la vita dei pescatori e le
pagine del romanzo, perché l’abbondanza o la scarsità della pesca, le fluttuazioni del
prezzo del mercato, e le paure o semplicemente le precauzioni igieniche dettate dal colera
sono tutti fattori che influenzano i bilanci famigliari. E pestare il sale, preparare la salamoia,
controllarne la scolatura, pressare le acciughe nei barilotti, contarli tutti in fila nei cortili,
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