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Sintesi
Storia - La donna durante la Prima Guerra Mondiale
Italiano - Gabriele D'Annunzio
Tedesco - Rosa Luxemburg
Estratto del documento

Dimostrare che la guerra non è solamente

qualcosa che riguarda gli uomini, significa scoprire le donne

impegnate in responsabilità e mestieri nuovi

– capifamiglia, fabbricanti di munizioni, guidatrici

di tram o anche ausiliarie dell’esercito –,

significa vederle acquisire mobilità e fiducia in se stesse…

Pagina:

1 – Introduzione

2 – La donna durante la Prima Guerra Mondiale (Storia)

5 – Gabriele D’Annunzio (Italiano)

9 – Rosa Luxemburg (Tedesco)

12 – Bibliografia e fonti web

La donna è sempre stata vittima di emancipazione nel corso della storia. Oggi, nonostante le leggi che sono

state introdotte per salvaguardare le donne, l’uomo rimane sempre su una posizione superiore.

Ho scelto di approfondire la condizione delle donne durante la Prima Guerra Mondiale perché si tratta di

una guerra totale, dove tutta la popolazione risulta essere coinvolta. Mi è apparso interessante immergermi

in questa situazione e studiare la vita quotidiana delle donne costrette a subire il peso di un superlavoro

derivante dall’assenza dei maschi, costretti a combattere al fronte.

Da un punto di vista letterario, ho scelto come poeta Gabriele D’Annunzio, grande amante delle donne che,

nelle sue opere, va a descrivere le “nuove donne”.

Una donna che ha lasciato il segno durante questo periodo è sicuramente Rosa Luxemburg, di origini

polacche ed ebree che ha lavorato duramente in campo politico. L’argomento verrà trattato in lingua

tedesca.

Materie coinvolte: Storia, Italiano, Tedesco.

La Donna durante la Prima Guerra Mondiale

(Storia)

Gabriele D’Annunzio

(Italiano)

Rosa Luxemburg

(Tedesco)

Materia: Storia 1

Anche nella Prima Guerra Mondiale, più che nel passato, il prezzo pagato dalle donne fu altissimo. La

guerra, infatti, ha causato, oltre che sofferenza e dolore, la frattura dell'ordine familiare e sociale. Mentre la

memoria e l'immagine maschile sono caratterizzate generalmente dalla sofferenza, alcune testimonianze di

donne lasciano intravedere un senso di liberazione, di orgoglio e di fiducia in se stesse.

Esse rivestono mansioni che un tempo erano riservate agli uomini a causa della scarsa manodopera e

vengono ritratte fiere, sorridenti e contente. Non per tutte le donne, però, le cose procedettero in questo

modo.

Da un lato vediamo la condizione delle donne appartenenti a classi popolari, costrette a subire ristrettezze

economiche e alimentari, il peso di nuove responsabilità e il superlavoro derivante dall'assenza dei maschi;

dall’altro la condizione delle giovani operaie (da poco entrate nel lavoro di fabbrica), esposte a lavori

pesanti e pericolosi, ma pronte ad approfittare di qualche spazio di libertà dalla tutela maschile e in

particolare paterna. Un altro aspetto, infine, era quello delle donne appartenenti alla classe media, che

trovarono per la prima volta il modo di uscire dall'ambito familiare, di sentirsi valorizzate in compiti

socialmente utili e pubblicamente riconosciuti. Vi fu anche il caso estremo di quelle donne che dovettero

subire le violenze degli eserciti occupanti. Non tutte le donne, quindi, vissero il tempo di guerra allo stesso

modo.

L'enorme consumo di energie umane innescato dalla guerra, il bisogno crescente di manodopera in tutti i

settori (specialmente nella produzione bellica), provocarono chiaramente una sorta di invasione in campo

femminile.

Le donne si scoprirono tranviere, ferroviere, portalettere, impiegate di banca e dell'amministrazione

pubblica, operaie nelle fabbriche di munizioni. Questo determinò confusione e una mescolanza dei sessi

tanto che le donne iniziarono a vivere sole, uscire da sole ma soprattutto ad assumersi da sole certe

responsabilità.

LO SCENARIO

Dalla fine del 1915 i salari, che aumentavano in modo insignificante rispetto all’aumento dei prezzi,

vedevano dimezzarsi il potere d’acquisto di ogni famiglia europea.

Anche le donne che lavoravano in fabbrica, guadagnando chiaramente di più di molte altre rimaste a casa,

non riuscivano a sfamare i figli con il loro stipendio. Le donne organizzarono scioperi per l’aumento dei

salari e per porre fine alla guerra, ma solo nel 1918, ormai a fine conflitto, riuscirono ad ottenere qualche

aumento salariale. Alcune categorie ottennero anche una riduzione dell’orario lavorativo a otto ore.

I compiti in cui la donna era più frequentemente rappresentata al tempo della Grande Guerra, sono quelli

più tradizionali dell'infermiera e della dama di carità, dove si

propone come custode e assistente dell'uomo.

In Italia la Croce Rossa, sorta nel 1864, aveva permesso di fondare a

Milano nel 1908 la prima scuola italiana per infermiere. Allo

scoppio della Prima Guerra Mondiale l'organizzazione della Croce

Rossa mobilitò moltissime infermiere volontarie, che trovarono

impiego immediato nelle opere di assistenza sanitaria nei campi di

battaglia, nei treni-ospedale e negli ospedali più grandi, lontani dal

fronte.

L’OPINIONE PUBBLICA 2

A colpire maggiormente la popolazione fu soprattutto la comparsa delle donne in occupazioni

tradizionalmente rare. Spesso quotidiani e riviste dell’epoca presentavano fotografie di donne italiane o

straniere impegnate come spazzine, tranviere, barbiere, direttrici d'orchestra, boscaiole, ecc., apparendo

preoccupanti nei confronti della “normalità” delle tradizioni precedenti.

Quando i conduttori dei tram furono sostituiti dalle donne ci furono numerose discussioni in quanto questo

lavoro poneva le donne a diretto contatto con gli uomini sebbene l’amministrazione pare avesse avuto

l’accortezza di scegliere ragazzone robuste. Alla fine però anche questa novità finì per essere accettata ma

quando una mattina videro delle donne realmente impegnate a guidare i tram, l’opinione pubblica si

scatenò: i tram sarebbero deragliati e si sarebbero contati i morti, previsione che si rivelò priva di

fondamento, perché il numero degli incidenti non alterò le statistiche precedenti.

Un altro esempio è quello delle giovani ragazze impiegate nelle fabbriche di proiettili, il cui sangue venne

letalmente inquinato e la salute gravemente compromessa dopo già pochi mesi di lavoro a contatto con

pericolosissime sostanze chimiche.

IL PATRIOTTISMO FEMMIILE

Le donne della propaganda militare tenevano in mano, legata al collo con un nastro tricolore, una

cassettina per fare la questua per i regali da inviare ai soldati al fronte e in

premio appuntavano un nastrino sul colletto dei donatori. Analogamente,

soprattutto in Gran Bretagna e in Francia, specie all’inizio del conflitto, le

donne davano la caccia ai giovanotti in abiti civili che, durante il passeggio,

venivano facilmente “adescati” e convinti ad arruolarsi o costretti a fuggire a

gambe levate.

La tradizione di regalare la piuma bianca, simbolo di codardia a tutti coloro

che non vestissero la divisa, veniva dunque ripresa per ripopolare gli eserciti.

Infaticabili, le donne della propaganda, organizzavano balli, lotterie e pesche

di beneficenza, e vendevano persino, a cento lire, un “bacio patriottico”.

Ci fu anche un volontariato espresso esclusivamente dalle donne di

estrazione borghese e aristocratica. Le cosiddette “Dame visitatrici” e quelle

che si mettevano a disposizione dei vari Uffici Assistenza e Uffici Dono,

avevano il compito di recare aiuto, sostegno e conforto alle famiglie dei

mobilitati nonché agli stessi soldati quando si trovavano in licenza, nelle retrovie o negli ospedali.

Molte di queste nobildonne, dopo brevi periodi di volontariato, decisero di occuparsi ancor più da vicino

dei soldati al fronte, diventando loro stesse infermiere o fondando/finanziando unità mediche di supporto

al fronte.

MODA FEMMINILE

Agli inizi del ‘900, anche l'arte della moda iniziò ad assumere un

qualche aspetto industriale.

I sarti e i primi stilisti impongono la creazione di abiti da fatica dal

costo contenuto e soprattutto comodi. Questa evoluzione della

moda venne vista come cambiamento necessario di fronte ad un

nuovo mondo.

Si è ancora lontani dalla partecipazione in massa delle donne nelle

fabbriche, ma la moda sembrava già adeguarsi al nuovo mondo. La

scomparsa del sellino dai vestiti femminili, appena dopo il 1890, fu il

primo segnale.

Verso la fine del secolo, comparve il tailleur, allora composto da tre

pezzi. Per la prima volta nella storia, con l'adozione della giacca, la

moda femminile si avvicinava a quella maschile; ed ancora, nel 1910,

si poneva in disparte il busto. La donna, tuttavia, riprendeva la sua

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femminilità con gonne sempre più strette, che evidenziavano le sue rotondità. Con l'ingresso delle donne

nelle fabbriche, le gonne lunghe e strette si presentavano fastidiose nel lavoro quotidiano, lasciando il

posto a quelle più corte e più comode.

Anche le pettinature erano più sbrigative, con capelli tirati indietro e più corti. Sul finire della guerra, la

moda cercò di restituire una nuova eleganza anche alla donna lavoratrice, ma senza perdere quel carattere

di praticità, anzi, per risparmiare tessuto, si proposero gonne più corte e vestiti più semplici, con maggiore

scollatura e con meno accessori. Finita la guerra, il tentativo di ripristinare gli ingombranti abiti che avevano

caratterizzato le donne qualche anno prima fallì.

LE REAZIONI

La presenza femminile era percepita, specialmente dai vecchi operai, come un vero e proprio “attentato

alla moralità”.

Si parlava spesso delle donne come di “sgualdrine” che vivevano nel lusso,

approfittando della loro nuova condizione sociale ed economica.

Scompariva dunque la divisione del lavoro che vedeva affidati agli uomini i

compiti più pesanti e impegnativi, compresa la manovra delle macchine

agricole.

Malgrado tutto questo, i rapporti familiari non subirono particolari

trasformazioni. Rimaneva pressoché inalterato il primato maschile e quello di

genitori e “vecchi”. La donna giovane doveva rimanere sottomessa, e poiché la

fonte dell'autorità - ossia il marito - era lontana, essa passava spesso ai suoceri.

Nonostante ciò le donne iniziarono a bere alcolici, a fumare, ad uscire di sera e

a frequentare locali di divertimento, che prima erano considerati prerogativa

dei maschi adulti.

DONNE, CULTURA E POLITICA

Durante la guerra aumentò il numero delle donne che frequentavano gli istituti superiori.

Nacque un’associazione di laureate e diplomate in magistero e altre cominciarono a organizzarsi.

In Gran Bretagna il 28 marzo 1917 venne varato il progetto di legge che concedeva il voto alle donne che

avessero compiuto trent’anni.

Nel 1912 Giolitti decise d’instaurare il suffragio universale, riservato però solo agli uomini che avessero

compiuto il trentesimo anno di età, anche se analfabeti; nello stesso anno finalmente, dopo numerose

discussioni, il partito socialista presentò un emendamento chiedendo il voto alle donne ma fu respinto. La

questione del voto fu così rinviata.

Se le donne inglesi alla fine della prima guerra mondiale ottennero il voto, quelle degli Stati Uniti dovettero

accontentarsi di partecipare al voto solo alle elezioni locali di pochi Stati dell’Unione.

IL DOPOGUERRA

Una volta deposte le armi, tutti sentirono il bisogno di pace e di sicurezza e il rientro nei ruoli tradizionali

sembrava contribuire a questo senso di sicurezza, specialmente per quanto riguarda i maschi. L'esigenza di

trovare un lavoro per i reduci spinse talvolta al licenziamento rapido e completo delle donne dalle

occupazioni che avevano ricoperto, anche se in alcuni settori, per esempio nel terziario, la loro presenza

continuò nonostante tutto a crescere. La difficoltà di trovare lavoro scatenò la guerra dei sessi che

naturalmente fu perduta dalle donne, che solamente per un breve periodo, ebbero diritto al sussidio di

disoccupazione. La sconfitta dell’occupazione femminile fu rilevata solo nel 1921, data in cui vennero

contate 14 milioni di donne inattive.

La morte di milioni di uomini e il relativo fortissimo calo della natalità, alimentarono dovunque politiche di

sostegno di incremento demografico, che in Italia furono sviluppate con particolare forza dal fascismo.

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