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Questa tesina maturità classica descrive il rogo dei libri nel corso della storia e il ruolo del libro nella storia umana. Gli argomenti che vengono introdotti nella tesina sono i seguenti: in Italiano Fahrenheit 451 di Ray Bradbury, in Filosofia Il caso Freud, in Storia il rogo dei libri effettuato dai nazisti, in Greco lo strumento libro in età ellenistica e la biblioteca di Alessandria.
Italiano-Fahrenheit 451 di Ray Bradbury.
Filosofia-Il caso Freud.
Storia-Il rogo dei libri effettuato dai nazisti.
Greco-Lo strumento libro in età ellenistica e la biblioteca di Alessandria.
LA BIBLIOTECA DI ALESSANDRIA
Prima di affrontare le tematiche relative al
rogo dei libri effettuato dai nazisti nel 1933
mettendole in relazione con il romanzo
Farheneit 451 di R. Bradbury, è necessario
trattare il ruolo dello strumento libro in uno
dei periodi storico-culturali più importanti
della storia dell'umanità: l'Ellenismo.
Tramontato definitivamente il sistema delle
póleis, la realtà politica dell'Ellenismo è
costituita dai regni dei Diadochi, ovvero da
grandi strutture statali espressione di un
potere centralizzato; nascono città di nuova
fondazione, mentre altre già esistenti si
espandono e si potenziano. La società
ellenistica si caratterizza, conseguentemente, come civiltà urbana e cosmopolita,
giacché le città attraggono moltitudini provenienti da tutte le parti del mondo
koiné
ellenizzato, che usano la come lingua franca.
In tale contesto la cultura diventa strumento di controllo e manifestazione di potere da
parte dei sovrani, che attuano una politica di indirizzo e promozione “dall'alto” delle
iniziative culturali. L'esito più evidente di questa politica è la nascita di centri di studio
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e soprattutto di grandi biblioteche , in cui gli intellettuali svolgono le loro attività di
studio sotto l’égida -e quindi il condizionamento- del potere dominante.
Il centro più celebre e di gran lunga più importante è Alessandria. La città, fondata da
Alessandro Magno nel 331 a.C. alla foce del Nilo e divenuta, dopo la sua morte,
capitale del regno egiziano dei Tolomei, cresce rapidamente in dimensioni e prestigio,
diventando, oltre che la più grande città del suo tempo, con più di 500.000 abitanti, il
più importante emporio commerciale del Mediterraneo.
La decisa azione di politica culturale condotta dai Tolomei, cuore pulsante di
un’accorta propaganda, ne accresce rapidamente il ruolo anche su questo piano,
trasformandola in un centro di cultura in grado di rivaleggiare con la stessa Atene.
Vengono infatti istituiti e organizzati da Tolomeo I Sotér (305-283 a.C.) e Tolomeo II
Filadelfo (283-246 a.C.) e mantenuti a spese della casa reale il Museo (il centro di studi
dedicato alle Muse, le divinità protettrici delle arti e delle scienze), e, ad esso annessa,
la Biblioteca, che ben presto divengono il centro propulsivo degli studi e della cultura
in tutto il Mediterraneo. L’evergetismo dei principi attira al Museo intellettuali da tutto
l’Ecumene: infatti gli ospiti -letterati, filosofi, scienziati- sono mantenuti e stipendiati
dal sovrano.
In questo quadro il ruolo dell’intellettuale cambia radicalmente: egli non è più
integrato nella comunità cittadina, né ne è più l’interlocutore e insieme il portavoce.
Divenuto intellettuale di corte, egli è estraneo dai problemi della società del suo
tempo: è un artista dedito esclusivamente alla sua arte e all’elogio dei suoi signori,
1 Oltre a quella di Alessandria, di cui si parlerà a breve, bisogna ricordare la biblioteca di Pergamo, nata per volontà
Ptolemaion,
degli Attalidi, che rivaleggiò con essa. Altre biblioteche sorsero poi ad Atene -lo una biblioteca pubblica
“donata” da Tolomei-, nella Siracusa del tiranno Ierone II (265-215 a.C.) e a Pella, capitale del regno macedone.
che vive nella dimensione privilegiata del Museo e della Biblioteca, che si relaziona
solo –oltre che con i monarchi- con una ristretta élite di alti burocrati, intellettuali,
eruditi.
Sancito il proprio distacco dalla società del suo tempo e al contempo consapevole di
essere l’erede di una grandiosa tradizione ormai conclusa, l’uomo di cultura -e il
letterato in particolare- si sente chiamato a misurarsi con questa tradizione e insieme
a preservarla: se la Biblioteca è l'espressione materiale di quest'opera di
conservazione, intrapresa dai sovrani che del prestigio di quella tradizione vogliono
ammantarsi, la filologia, disciplina che si afferma in quest’epoca e che è alla base di
tanta letteratura del tempo, ne costituisce la conseguenza metodologica.
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Grazie all’instancabile zelo dei Tolomei, che in ogni modo promuovono la raccolta dei
libri, la Biblioteca diviene rapidamente la più grande del mondo antico. Nata, sembra,
su suggerimento di Demetrio Falereo, l’illustre peripatetico allievo di Teofrasto che è il
“consigliere per la cultura” dei primi due Tolomei, su modello delle biblioteche annesse
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alle scuole filosofiche ateniesi del IV secolo -soprattutto su quella del Liceo-, già al
volumina
tempo del Filadelfo conta oltre 500.000 o rotoli di papiro: un patrimonio
librario immenso, pur tenendo conto della presenza di opere in più rotoli e di doppie
copie.
La Biblioteca non ha però carattere pubblico: essa è accessibile infatti solo alla
élite
ristrettissima di intellettuali che opera all’interno del Museo. È questa una chiara
manifestazione del carattere di questa istituzione -come pure delle altre grandi
biblioteche coeve: si tratta di biblioteche-fortezza, simbolo grandioso di un potere
regio che si erge a baluardo di una tradizione gloriosa ormai da definire e cristallizzare
e che se ne proclama erede per appropriarsi del suo prestigio.
De tranquillitate animi,
Sferzante, in proposito, il giudizio di Seneca ( 9,5; trad. L. Del
Re):
Non vi fu, in tale opera, né buon gusto né provvida cura, ma piuttosto un lusso amico degli
studi (studiosa luxuria), o meglio un lusso che non era neppure amico degli studi, giacché quei
re avevan messo insieme la biblioteca non per gli studi ma per farne spettacolo: così come
avviene che per molte persone ignare anche dell’abbiccì i libri servano non come strumenti per
lo studio, ma come ornamento per le cene.
Accanto alla Biblioteca annessa al Museo viene instituita, sotto il secondo Tolomeo,
una seconda biblioteca, detta -perché inclusa nel recinto del tempio di Serapide- del
Serapeo. Essa è più piccola rispetto a quella del Museo, dalla quale vi confluiscono
2 Sembra che i sovrani inviassero emissari ai quattro angoli del mondo per procurarsi i testi di tutti i popoli della terra;
che inoltre avessero promulgato una legge secondo la quale tutti i libri che per caso si trovassero a bordo delle navi
che facevano scalo ad Alessandria fossero ricopiati, gli originali trattenuti e ai possessori fossero consegnate le copie
(spesso approntate in tutta fretta e quindi di qualità più scadente rispetto agli originali): questo fu denominato il “fondo
delle navi”. «”Da ciascun popolo”, informa un trattatista bizantino “furono reclutati dotti i quali, oltre che padroneggiare
la propria lingua, conoscessero a meraviglia il greco: a ciascun gruppo furono affidati i relativi testi, e così di tutto fu
allestita una traduzione in greco.” Con le armi dei Macedoni i Greci erano divenuti in pochi anni casta dominante
nell’intero mondo conosciuto […] I Greci non impararono le lingue dei loro nuovi sudditi, ma compresero che per
La biblioteca
dominarli bisognava capirli e che per capirli bisognava far tradurre e raccogliere i loro libri»: L. Canfora,
scomparsa, Sellerio, Palermo, 1986. È anche in quest’ottica che venne realizzata la traduzione della Bibbia dei
Settanta.
3 Allo stesso modo il Museo -sempre per suggerimento del Falereo- era organizzato su modello delle scuole filosofiche
del IV secolo, e in particolare su quello peripatetico. L’attenzione, pertanto, era rivolta non solo alla letteratura, ma
anche alle scienze: per la prima volta il sapere scientifico assurge alla stessa dignità di quello umanistico.
testi in eccesso o “scartati”; però -forse per la minore qualità dei testi conservati- essa
è accessibile a una più vasta cerchia di utenti.
In questo quadro è evidente il ruolo di primo piano rivestito dalla filologia: il letterato
alessandrino è spesso un filologo, ovvero uno studioso che raccoglie e cataloga opere
giunte fino a lui dal passato e le studia negli aspetti contenutistici e formali, cercando
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di ristabilirne il testo corretto (edizione critica) e talora corredandole di un commento .
Per la prima volta, dunque, l'attività di chi si dedica alla letteratura scaturisce dallo
studio filologico e ciò condiziona in modo determinante la natura delle opere, per le
doctrina
quali la -ovvero la ricchezza di riferimenti eruditi attinti anche ai grandi autori
del passato- diventa, insieme all’eleganza e alla raffinatezza formale, elemento
imprescindibile. I poeti alessandrini ridefiniscono ruolo, contenuti e forme della poesia
élite
e si rivolgono a un pubblico anch'esso nuovo, costituito da un’ ad essi
culturalmente omogenea di alti burocrati, studiosi, eruditi, intellettuali di vario genere:
con questa essi instaurano un dialogo silenzioso, sfidandola a cogliere ed apprezzare
le complesse allusioni letterarie di cui i loro testi sono disseminati.
D’altra parte la poesia di età alessandrina è espressione di un mutato rapporto tra
autore, prodotto poetico e pubblico anche sul piano della fruizione del testo. Nel
performance
periodo arcaico e in quello classico, infatti, la poetica e la sua fruizione
erano contestuali, pertanto il rapporto tra poeta e pubblico era immediato: nella
maggior parte dei casi non c'era scarto temporale che si frapponesse tra chi cantava o
recitava e chi ascoltava, il testo era confezionato per il contesto e in relazione ad esso
di volta in volta veniva modificato. Quando invece il poeta ellenistico compone, si
rivolge per lo più a lettori, ovvero a destinatari che fruiranno dei suoi versi solo in un
momento successivo e attraverso un mezzo materiale, il libro, e che, in quanto tali,
saranno più sensibili agli artifici della parola.
La differenza tra poesia “immediata” del passato e poesia “mediata” del presente
corrisponde allo scarto tra due modalità di fare poesia, risultato del modificarsi della
condizione del poeta nel lento passaggio da una cultura orale/aurale a una cultura
scritta. La centralità che la biblioteca assume nella cultura ellenistica, come luogo
fisico ma anche ideologico, è diretta conseguenza della definitiva e irreversibile
conclusione di un processo avviatosi almeno da un secolo: l'affermazione del libro
pólis
come strumento privilegiato della cultura. Il tramonto della ha infatti dato il colpo
di grazia alla fruizione aurale del testo, che resta confinata al solo ambito drammatico.
Dunque dalla fine del IV secolo a.C. la storia letteraria diventa una storia di libri, e i
percorsi di circolazione culturale finiscono per assomigliare molto di più a quelli odierni
che non a quelli di pochi decenni prima.
È da questo momento, dunque, che nella cultura occidentale il libro acquisisce il suo
statuto simbolico di oggetto del sapere, ma anche del potere; è da qui, pertanto, che
bisogna partire per comprendere il significato dei roghi di libri che si succederanno nel
corso della storia.
4 Esemplari a questo proposito sono le figure di Callimaco e Apollonio Rodio. 5
Dopo la metà del II secolo a.C. le complesse vicende interne e i disordini sociali non
permisero ai Tolomei di proseguire la politica culturale dei loro predecessori e la
Biblioteca ed il Museo persero progressivamente il ruolo che avevano ricoperto in
passato. Tuttavia, pur in un quadro di decadenza rispetto al loro splendore originario,
non cessarono di essere luoghi simbolo della cultura, con gravi conseguenze anche
per la loro stessa sopravvivenza.
Le vicende che determinarono la distruzione della biblioteca non sono a tutt’oggi
chiarite. Fonti antiche e moderne consentono di identificare quattro possibili
circostanze in occasione delle quali sarebbe potuta intervenire una distruzione parziale
o totale della Biblioteca: la spedizione di Giulio Cesare contro l’Egitto del 48-47 a.C., la
guerra di Aureliano (270-275 d.C.) contro la regina di Palmira Zenobia, il decreto di
Teodosio del 391 d.C. e la conquista araba del 642 d.C. Nei primi due casi si sarebbe
trattato di un danno accidentale, dovuto alle operazioni militari, e perciò esulerebbe
dal tema del percorso, incentrato sulle distruzioni dei libri volontarie e da ricondurre a