Sintesi
IL RAPPORTO TRA GENITORI E FIGLI



INDICE

Motivazioni per la scelta dell’ argomento
Il mito di Edipo
Il complesso edipico e il transfert: Sigmund Freud
L’assenza della figura paterna: Giovanni Pascoli
Genitori contestati: la rivoluzione del ‘68
Conclusione


Motivazioni per la scelta dell’ argomento


“Rapporto: [rap-pòr-to] s.m. 1.resoconto essenziale,di solito scritto,di fatti o circostanze a cui si è assistito e sui cui si è indagato. 2. Relazione, contatto tra persone, vincolo, legame.”
Dal “Dizionario Italiano Sabatini-Coletti 1999,Giunti


Il rapporto che viene inevitabilmente a crearsi tra un genitore e un figlio fin dal momento della nascita di quest’ultimo è qualcosa di complesso e affascinante e può avere numerose sfaccettature. Certamente l’argomento è vastissimo e tocca numerosi campi e proprio per questa ragione, in questo percorso, cercherò di trattare al meglio gli ambiti che hanno catturato di più la mia attenzione. Le vicende di Edipo,studiate nella letteratura greca, e l’analisi del complesso edipico, trattato studiando la filosofia di Sigmund Freud mi hanno particolarmente colpito e spinto ad approfondire meglio questo tema. È interessante vedere anche come il padre-figlio si è evoluto nella storia e come i figli, da sempre in contrasto con i genitori si sono presi la rivincita in questi ultimi, grazie anche alla rivoluzione del 68. Anche nella letteratura questo argomento è molto presente e spesso riflette le personali vicende dell’autore di attraverso le sue opere (Pascoli). Tutto ciò mi ha particolarmente affascinato perché trovo che il rapporto genitori-figli sia fondamentale per la crescita personale dei giovani e per il loro inserimento nella società. È importante infatti per un ragazzo sapere di poter contare sull’appoggio dei genitori in qualunque momento della sua vita e qualsiasi strada egli scelga di intraprendere.


Il mito di Edipo (1)(2)

È interessante notare come la figura del padre sia da sempre presente anche nella religione (poi divenuta “mitologia”) che gli uomini si sono “costruiti” fin dai tempi più antichi. Dapprima con figure di divinità-padri (si pensi a Zeus per i greci, a Giove per i romani ma anche allo stesso Dio cristiano, che presenta nella Trinità anche la figura del Padre) e poi con racconti e miti di uomini che si trovano ad affrontare vicende complesse, sia nel ruolo di padri che nel ruolo di figli.
Un esempio interessante di scontro tra genitori e figli nella mitologia greca è certamente quello di Edipo.
Numerose sono le versioni della vicenda di Edipo nella mitologia e molte, come ad esempio quella di Euripide o quella di Eschilo sono andate perse. Dalle principali rimaste (Edipo Re e Edipo a Colono di Sofocle) possiamo ricavare il mito per intero. È importante sottolineare, però, che il mito di Edipo è antecedente alle versioni scritte dai tre tragici greci: se ne ritrovano tracce già in Omero e nel primo poema che compone il ciclo tebano (andato quasi del tutto perso), l’Edipodia di Cinetone di Sparta.
La vicenda viene incentrata sulla fatale ignoranza dell’uomo, che coinvolge in questo caso addirittura la sua identità, sull’ironia dell’agire che genera rovina invece del bene a cui era rivolta, sul destino che, inesorabile, si compie al di là del volere dell’uomo.
La vicenda comincia nella città di Tebe, dove il re Laio e la sua sposa Giocasta vivono felici e in pace. Un giorno, però, il re decide di interrogare l'oracolo di Delfi per chiedergli se avrebbe mai avuto figli. L'oracolo gli predice di evitare di generare un figlio perché, se fosse nato, avrebbe portato grandi sventure a tutto il popolo tebano, uccidendo suo padre e sposando colei che lo aveva generato. E così Laio quando Giocasta, che è rimasta incinta, dà alla luce un bambino, di comune accordo con quest’ultima decide di abbandonarlo alle pendici del monte Citerone dopo avergli perforato le piante dei piedi, sicuro che le fiere e gli stenti lo avrebbero ucciso; pensa così di essere sfuggito alla profezia.
Sfortuna vuole però che il bimbo venga trovato da un pastore, Forba, che, sentiti i vagiti del piccolo, lo prende con sé e lo porta da Polibo, re di Corinto. Sa infatti che il re di Corinto, non avendo avuto figli, accoglierà come un dono del cielo quell'infante che chiama Edipo (dal greco “oidan”,gonfiare e “pous” piede,quindi “colui che ha i piedi gonfi”).
Edipo vive a Corinto ignaro di quanto gli è accaduto finché un giorno, durante un banchetto, un suo compagno gli svela che egli non è il legittimo erede della città, bensì un trovatello. Preso da ira e da sdegno contro colui che gli ha svelato un tale segreto, a cui non presta fede, e desiderando mostrargli che ha torto, Edipo decide di interrogare la Pizia a Delfi. Ma l'oracolo gli risponde crudelmente: anziché chiarire i suoi dubbi, proclama le seguenti parole: «Tu ucciderai tuo padre e sposerai tua madre e da queste nozze nasceranno figli che saranno tuoi fratelli». Edipo, atterrito, crede che la Pizia alluda a Polibo e a sua moglie e perciò, volendo evitare quanto l'oracolo gli ha predetto, si propone di non tornare mai più a Corinto e, uscito dal tempio di Apollo, si dirige verso Tebe.
"Per timore che la rea profezia si avverasse, abbandonai Corinto e, lasciandomi guidare dalle stelle, giunsi qui (a Tebe). Ero appena entrato in un trivio quando dall'opposta mia direzione si fece avanti preceduto dall'araldo, un cocchio in cui era un vegliardo. Il vecchio e l'auriga pretendevano che lasciassi libero il passo; sdegnato, percossi l'auriga ed il vecchio, a tradimento, mi colpì in testa con una sferza a due punte: non identica fu la pena che egli ebbe, un colpo di mazza infertagli da questa mia mano lo fece precipitare dal cocchio."(3)
Quel vecchio altri non è che Laio, il vero padre di Edipo, e così il giovane, involontariamente, fa si che la prima parte della profezia si avveri.
Proseguendo il suo viaggio, Edipo giunge a Tebe, dove incontra Giocasta che, a causa della morte del marito, regna assieme al fratello Creonte su una città che è ormai sull'orlo della distruzione a causa di una grandissima minaccia. Infatti una sfinge (essere per metà uomo e per metà leone alato), inviata dalla dea Era, alla quale la popolazione di Tebe aveva recato offesa, decima la popolazione perché nessun uomo o donna è in grado di rispondere al suo enigma. Giunto qui, Edipo pensa tra sè che quella potrebbe essere una bella città per poter passare il resto della sua vita senza incappare nuovamente nella profezia e si risolve dunque ad affrontare la Sfinge. Il giovane dunque ascolta l'enigma della creatura, che recita le seguenti parole:
"Chi è quell'animale che al mattino cammina a quattro zampe, al pomeriggio con due ed alla sera con tre?"
E risponde rapidamente: l'uomo. Così Edipo libera Tebe dalla maledizione e può diventare il nuovo re di Tebe.

In tal modo si compie anche la seconda parte dell'oracolo: dopo aver ucciso il padre, Edipo, ignaro, si unisce in matrimonio con la propria madre.
Il nuovo re vive felice per qualche anno, amato dal suo popolo e dalla sua famiglia, che intanto è cresciuta con due figli e due figlie. Ben presto però, scoppia in città una orribile pestilenza, che miete numerose vittime. Il re,allora, si rivolge all'oracolo di Delfi, per sapere come dovesse fare per allontanare quel flagello dalla città. L'oracolo quindi risponde: «Occorre vendicare la morte di Laio: si scacci il suo uccisore, il quale vive in Tebe». Subito Edipo inizia un inchiesta per scoprire il colpevole, contro cui emana un bando terribile. Quindi interroga l’indovino Tiresia, che dapprima riluttante a svelargli la realtà, alla fine si pronuncia così:
“TIRESIA:
Dico che tu sei l'uccisor che cerchi.
ÈDIPO:
L'oltraggio addoppi? Ah, non ti farà pro'!
TIRESIA:
Vuoi sdegnarti ancor piú? Ti dico il resto?
ÈDIPO:
Fin che tu vuoi: saran parole al vento!
TIRESIA:
Coi tuoi piú cari in turpe intimità
vivi, e nol sai: né il male ove sei scorgi.
ÈDIPO:
Pensi ancora insultarmi, e andarne lieto?
TIRESIA:
Certo: se pure ha qualche forza il vero.
ÈDIPO:
Sí, l'ha; ma non per te: tu ne sei privo:
cieco di mente sei, d'occhi e d'orecchi.
TIRESIA:
Misero te, che a me rinfacci quanto
presto ciascuno a te rinfaccerà!
ÈDIPO:
Tutta una notte è la tua vita: e me
danneggiare non puoi, né alcun veggente.” (3)
Edipo, quindi, lo accusa di congiurare ai suoi danni con Creonte, ma il dubbio ormai si insinua nella sua anima. Giocasta lo rassicura, dicendogli che a Laio era stato predetto che sarebbe stato ucciso dal figlio e non da dei viandanti, come in realtà era accaduto. A queste parole, ricordi spaventosi si impossessano della mente di Edipo, che racconta a Giocasta la sua storia e gli narra in particolar modo dell’uccisione di un uomo che lo aveva offeso poco prima di giungere a Tebe. Non sarà quindi vera l’accusa di Tiresia? Edipo, divorato dalla curiosità, chiede quindi a Giocasta di convocare l’unico testimone sopravvissuto del fatto.
Intanto giunge un messo da Corinto, che gli annuncia la morte di Polibo e lo invita a recarsi a Corinto per salire sul trono. Giocasta esulta: dunque Edipo non ha ucciso suo padre e gli oracoli hanno detto il falso. Il messo però aggiunge che egli non ha nulla a che fare con la famiglia di Polibo, visto che è stato adottato da Polibo medesimo, dopo essere stato trovato e raccolto sul Citerone. Giocasta, presente al dialogo fra il re e l'uomo di Corinto, si rende conto dell'abisso di sciagure in cui ella ed Edipo sono caduti e cerca di tacitare il messo, scomparendo poi nel palazzo. Edipo non capisce: chi è davvero lui? Quali sono le sue origini? Giunge quindi il testimone dell’assassinio di Laio chiamato da Giocasta, che altri non è che quello stesso pastore che aveva portato Edipo, alla sua nascita, sul Citerone e racconta tutto.
C.F.Jalabert, La piaga di Tebe, Antigone e Edipo
Ora anche Edipo sa la verità e mentre la regina si impicca, Edipo, strappata una fibbia dell’abito di lei, se la conficca negli occhi e si acceca, colpevole di non aver visto la realtà quando i suoi occhi vedevano benissimo.
“Oh nozze, a me deste la vita
e fecondaste poi lo stesso seme
onde alla luce vennero insieme
padri, figli, fratelli, incestuosa stirpe,
e figlie e mogli e madri e quanti orrori
più sozzi mai fra i mortali si scorsero”.(3)
Allontanatosi poi volontariamente dalla patria, assistito dalle figlie e specialmente da una di esse, Antigone, cerca pace vagando per l’Attica. Gli dei, mossi a pietà per la sorte che si era accanita contro un uomo, non artefice del suo destino, gli concedono di trovare pace nella città di Colono, dove muore.
Secondo Omero e Pausania la storia si svolse in modo diverso: Edipo non ebbe alcun figlio da Giocasta e quest'ultima si uccise non appena saputo dell'incesto ed Edipo a quel punto si sarebbe sposato con Euriganea dalla quale avrebbe avuto quattro figli e avrebbe regnato su Tebe fino alla fine dei suoi giorni.

1.www.elicriso.it- Nicola Tirzaghi,Historia
2.“Letteratura greca”, Dario del Corno, Ed.Principato
3.Sofocle, Edipo re, trad. Romagnoli


IL COMPLESSO EDIPICO E IL TRANSFERT:LA TEORIA FREUDIANA (4)

Dal mito greco di cui si è appena parlato, il filosofo e primo psicanalista della storia Sigmund Freud fu sicuramente colpito, tanto da trarne une vera e propria teoria riguardo i comportamenti dell’essere umano e su quanto questi possano essere influenzati dal rapporto che si crea fin dalla nascita con i propri genitori.
Prima di giungere allo studio della psicanalisi Freud compie degli studi sull’isteria e indaga le cause prime che danno origine al fenomeno, arrivando a scoprire che la causa della psiconevrosi è da ricercare in un conflitto di forze psichiche inconsce, ovvero che operano senza che l’individuo ne sia consapevole. Giungendo a questa conclusione Freud segna ufficialmente l’atto di nascita della psicanalisi, scienza che ribadisce la vera natura dell’essere umano,ovvero relazionale in quanto è segnata profondamente dalla relazione con il padre (che rappresenta per ciascuno l’amore esigente) e con la madre (che rappresenta invece l’amore fusionale, comprensivo).
Freud afferma che la psiche è un’unità complessa,e che in quanto tale è divisa in “topoi”, luoghi. Freud distingue però due topiche: la prima, elaborata nell’ “Interpretazione dei sogni” divide la psiche in sistemi: conscio,preconscio e inconscio; la seconda, elaborata dal 1920 la distingue in tre istanze: es, io e super-io.

La seconda topica è più rilevante per comprendere a fondo la teoria di Freud in merito all’influenza del rapporto con i genitori per il singolo individuo, in quanto è a causa del prevalere dell’es sul super-io o del super-io sull’es che si manifestano rispettivamente atteggiamenti psicotici e nevrotici.
Es, io e super-io possono identificarsi con le zone del preconscio e dell’inconscio della prima topica e proprio per questo è difficile portare alla luce le cause dei disturbi di ogni individuo,ovvero perché sono “nascoste” dove la mente conscia dell’individuo non può raggiungerle.
Ma allora come può lo psicanalista superare le “resistenze” che sbarrano l’accesso alla coscienza?
In un primo momento Freud pensa di utilizzare l’ipnosi, ma constatando la scarsa efficacia di questo procedimento, elabora un nuovo metodo, ossia quello delle cosiddette associazioni libere, nel quale lo psicanalista lascia semplicemente che i pensieri del paziente fluiscano liberamente facendo in modo da instaurare catene associative collegate con il materiale psichico rimosso. È importante notare quanto in questa fase influisca il rapporto che viene a formarsi tra medico e paziente,in quanto è proprio in questo momento che si assiste al fenomeno del transfert. Il transfert, o traslazione è il trasferimento sulla persona del medico di una serie di stati d’animo (d’amore o d’odio) provati dal paziente durante l’infanzia nei confronti dei genitori. Questo fenomeno è di rilevante importanza quando si presenta nel suo aspetto positivo,in quanto sentimenti d’amore nei confronti del medico da parte del paziente, portano quest’ultimo a desiderare l’approvazione del suo medico e quindi ad accelerare spontaneamente il processo di guarigione.
Avendo quindi scoperto l’inconscio e il suo valore fondamentale nella vita dell’essere umano,Freud decide di studiare i messaggi che questo manda attraverso manifestazioni quali i sogni,gli atti mancati e i sintomi nevrotici. Proprio grazie allo studio di questi ultimi,Freud scopre ben presto che gli impulsi rimossi che stanno alla base dei sintomi psiconevrotici sono sempre di natura sessuale: la sessualità quindi sarà da questo momento un punto fermo nella sua ricerca.
Prima di Freud la sessualità era identificata con la genitalità ovvero con tutto ciò che riguardava il congiungimento di due persone adulte ai fini della procreazione. Ma così facendo la sessualità mancherebbe del tutto nell’infanzia e rimarrebbero inspiegate la perversione (attività sessuale che persegue come unico fine il piacere),la sublimazione (trasferimento di una carica sessuale su oggetti non sessuali quali l’arte,la scienza,il lavoro ecc.) e la sessualità infantile.
Proprio quest’ultima è oggetto di studio da parte di Freud che giunge quindi a formulare una nuova e originale teoria che possa spiegare la sessualità infantile e le sue “ricadute” nella vita adulta di un individuo.
Respingendo l’immagine del bambino quale “angioletto asessuato” e demolendo il pregiudizio secondo il quale la sessualità apparterrebbe solo all’età adulta Freud giunge a definire il bambino “ un essere perverso e polimorfo” nel senso che persegue il piacere attraverso più organi corporei e ne delinea lo sviluppo psicosessuale in tre fasi:
La fase orale, che va dalla nascita all’anno e mezzo di vita e che coinvolge quella che è l’attività principale del bambino in questo periodo,ovvero il poppare.
La fase anale,che va dall’anno e mezzo ai tre anni, collegata alle funzioni escrementizie.
La fase genitale,che va dai tre anni in poi e che può essere articolata in due ulteriori sottofasi: fallica e genitale in senso stretto.
Durante la fase fallica l’individuo scopre il pene e bambino e bambina sono per la prima volta differenti,diversi: entrambi sono attratti da questo organo e entrambi soffrono il complesso di castrazione, il maschio perché teme di essere evirato,la femmina perché si sente tale.
Durante la fase genitale,che termina all’inizio della pubertà, le pulsioni sessuali vengono organizzate sotto il primato delle zone genitali.
In queste due fasi,con la scoperta del pene e il conseguente differenziamento percepito da bambino e bambina è possibile riscontrare in entrambi gli individui il cosiddetto complesso di Edipo.(5)
Il complesso di Edipo  è un momento evolutivo, organizzatore della vita psichica dell’individuo, in cui viene sancita la differenza tra i sessi e tra le generazioni. Vissuto tra i tre e i cinque anni di età può avere una forma positiva e una negativa: la prima si manifesta con un desiderio amoroso del bambino verso il genitore di sesso opposto, mentre il genitore dello stesso sesso viene vissuto come un rivale; nella forma negativa la situazione appare capovolta, con attrazione per il genitore dello stesso sesso e ostilità per quello di sesso opposto.
Tuttavia, nella maggior parte dei casi il complesso si presenta in forma completa, complessa e articolata: entrambi i genitori sono oggetto d’amore e di ostilità, sia pure in diversa e variabile misura a seconda dei singoli casi.
Il termine complesso deve essere inteso letteralmente come insieme di elementi correlati a questa fase evolutiva e tutti collegati tra loro: fantasie, desideri, angosce, conflitti interni e relativi meccanismi di difesa. Il piccolo Edipo si trova inserito in un sistema triangolare di relazioni familiari regolate da divieti e possibilità, in ragione del ruolo di ciascuno. La proibizione dell’incesto, culturalmente trasmessa, impedisce l’intimità proprio con il primo oggetto d’amore. Il bambino deve confrontarsi con il conflitto tra il divieto dell’incesto e il tumulto delle proprie pulsioni e con una serie di angosce connesse alle sue fantasie, consce e inconsce, di possedere l’amato e sbarazzarsi del rivale.
Infatti, per il suo desiderio di prenderne il posto ne teme la rappresaglia e poiché il rivale è, allo stesso tempo, oggetto d’amore, il desiderio di sopraffarlo scatena l’angoscia di perderlo. La fantasia peculiare del piccolo maschio in tale momento dello sviluppo è l’angoscia di castrazione, cioè quella di essere evirato come punizione dei suoi desideri incestuosi.
Freud e i primi psicoanalisti indagarono principalmente solo il complesso edipico del bambino, mentre quello della bambina venne delineato secondo la sbrigativa spiegazione riguardante l’invidia del pene. I primi seguaci di Freud introdussero la denominazione di complesso di Elettra, che non ebbe però molta fortuna. Il processo di sviluppo psicosessuale della donna è uno dei temi che infatti ha subito maggiori revisioni nella psicoanalisi moderna.
Il complesso,generalmente, appare quando il bambino è consapevole del fatto che i genitori hanno un rapporto preesistente alla sua nascita, sul quale ha consciamente e inconsciamente fantasticato. Il modo, più o meno felice, in cui il complesso viene affrontato e superato dipende dallo svolgimento delle precedenti tappe evolutive e da come i due genitori costruiscono il rapporto tra di loro e con i figli. La rinuncia ai desideri amorosi e ostili può avvenire solo attraverso una identificazione con i genitori e l’interiorizzazione del divieto. In questo modo si costituisce il Super-Io che rappresenta il fondamento della coscienza morale e che svolge un ruolo normativo, punitivo e protettivo.
L’identificazione con i genitori a livello edipico, riconosciuti come persone separate da sé e distinte tra di loro, trasforma la loro precedente idealizzazione: il bambino passa dall’aspirazione di possedere i genitori a quella di essere come loro. Al tempo stesso,però, il piccolo ora è consapevole di essere soltanto un bambino e di non poter fare tutto ciò che il genitore fa: alcune cose rimangono prerogative dell’adulto ed egli potrà acquisirle solo dopo aver portato a termine il compito evolutivo.
Dopo il quinto anno di vita, il complesso e le fasi precedenti della sessualità infantile, per effetto della rimozione, divengono oggetto dell’amnesia infantile. Inizia così la fase della latenza sessuale, nella quale i bambini sono per qualche tempo impegnati soprattutto nelle vicende scolastiche e nella scoperta del mondo esterno alla famiglia. Nell’adolescenza il complesso edipico avrà una reviviscenza, esprimendosi nelle relazioni esterne e avviandosi, nei casi più felici, alla sua conclusione. La misura in cui viene risolto è più o meno evidente nel comportamento e nella scelta del partner amoroso.
Il complesso quindi rimane l’elemento strutturante come premessa della possibilità di distinguere il ‘bene’ dal ‘male’: ciò che era buono o piacevole diviene ‘male’, cattivo, dopo il divieto di possedere il corpo del genitore amato. Infine, rappresenta un momento cruciale in cui si sanciscono le differenze tra sessi e generazioni e si influenza la natura delle relazioni e dell’identità sessuale, la formazione di fantasie e attività sessuali.

(5)Libro di filosofia “Abbagnano-Fornero” (6)Enciclopedia Treccani


L’assenza della figura paterna: Giovanni Pascoli

Breve biografia:
Giovanni Pascoli nacque il 31 dicembre 1855 a San Mauro di Romagna, da Ruggero Pascoli e Caterina Alloccatelli Vincenti. Dall’età di 6 anni studiò presso il collegio dei Padri Scolopi a Urbino dove Il 10 agosto 1867, gli giunse la notizia della morte del padre Ruggero, assassinato con una fucilata mentre sul proprio calesse tornava a casa da Cesena. Le ragioni del delitto, forse di natura politica o forse dovute a contrasti di lavoro, non furono mai chiarite e i responsabili rimasero per sempre oscuri, nonostante tre processi celebrati e nonostante la famiglia avesse forti sospetti sull'identità dell'assassino : il probabile mandante fu infatti il malavitoso Pietro Cacciaguerra possidente e contrabbandiere, che voleva succedere a Ruggero nell'incarico, mentre i due sicari furono Luigi Pagliarani detto Bigecca(probabilmente colui che è invece sottinteso come assassino ne La cavalla storna), e il suo complice Michele Dellarocca, estremisti politici che lo consideravano un "servo dei padroni", oltre a essere entrambi coinvolti in affari illeciti nella zona della Torre. In seguito Giovanni Pascoli dovette affrontare ulteriori grandissimi lutti con la scomparsa della madre, della sorella maggiore Margherita e dei fratelli Luigi e Giacomo. La morte del padre in primis e gli altri lutti vissuti dal poeta influenzeranno profondamente la sua poesia e il suo pensiero,tanto che poi tenterà di ricostruire il suo “nido famigliare” con le sorelle rimaste in vita,Ida e Maria a Massa,dove cercherà rifugio da una società sconvolta dalla violenza, dal suo dolore e dalla sua angoscia esistenziale.
Il poeta proseguì gli studi presso il liceo di Rimini fino al 1873, anno in cui, grazie ad una borsa di studio vinta dopo un esame sostenuto alla presenza di Giosuè Carducci, potè iscriversi alla facoltà di lettere dell’Università di Bologna. In questi anni il Pascoli si avvicina agli ambienti del socialismo emergente iscrivendosi all’Internazionale socialista. Privato della borsa di studio a causa della sua partecipazione ad una manifestazione contro l’allora Ministro dell’Istruzione, visse in grande miseria per cinque anni,e fu costretto ad interrompere gli studi. Nel 1879 venne coinvolto nelle agitazioni che seguirono alla condanna a morte dell’anarchico che attentò alla vita del re Umberto I a Napoli e restò in carcere per circa tre mesi. Giovanni Pascoli decise quindi di abbandonare l’attività politica per riprendere gli studi lasciati in precedenza e, dopo essersi laureato, ottenne la cattedra di latino e greco al liceo di Matera. Dopo aver insegnato letteratura latina all’Università di Messina, nel 1905 succede a Carducci nella cattedra di letteratura italiana all’Università di Bologna, dove vi rimase per pochi anni. Morì a Bologna il 6 aprile 1912 a causa di un cancro.

La poesia di Pascoli
Per Pascoli la poesia ha natura irrazionale e solo essa può giungere alla verità di tutte le cose; il poeta deve essere un poeta-fanciullo, che arriva a questa verità mediante l'irrazionalità e l'intuizione. Pascoli esprime al meglio questa sua concezione di figura poetica nel saggio intitolato “il fanciullino”,(da lui pubblicato nel 1897). Essere un fanciullo,per Pascoli, consiste nel sapere trovare la poesia negli oggetti quotidiani, nella campagna e nella natura, osservandoli con lo stupore e la meraviglia di un bambino che vede il mondo per la prima volta e ne scopre i lati segreti e la purezza originaria. Solamente una poesia fanciullesca e spontanea è infatti utile moralmente.

“Senza lui,non solo non vedremmo tante cose a cui non badiamo per solito,ma non potremmo nemmeno pensarle e ridirle,perché egli è l’Adamo che mette il nome a tutto ciò che vede e sente. Egli scopre nelle cose le somiglianze e le relazioni più ingegnose.”(5)
Pascoli rifiuta quindi la ragione e, di conseguenza, il Positivismo (che è l'esaltazione della ragione stessa e del progresso), giungendo al decadentismo. La poesia diventa così analogica, cioè senza apparente connessione tra due o più realtà che vengono rappresentate; in realtà c'è una connessione tra un concetto e l’altro ed il poeta spesso e volentieri è costretto a "voli vertiginosi" per mettere in comunicazione questi concetti. La poesia irrazionale o analogica è una poesia di svelamento,di scoperta e non di invenzione. I temi principali di questa poesia devono essere "umili cose",appunto le myricae: cose della vita quotidiana, modeste o familiari. A queste si unisce il motivo ossessivo della morte, la cui presenza si manifesta continuamente, riproponendo il passato di lutti e di dolori e impedendo al poeta ogni rapporto con la realtà esterna, ogni vita di relazione, che viene sentita come un tradimento nei confronti dei legami viscerali del “nido”. La morte,soprattutto quella del padre Ruggiero, è quindi un chiodo fisso per Pascoli,tanto che la inserisce già all’inizio delle Myricae nella dedica e nella prefazione:

“ Ma gli uomini amarono più le tenebre che la luce, e più il male altrui che il proprio bene. E del male volontario danno a torto, a torto, biasimo alla natura, madre dolcissima, che anche nello spengerci sembra che ci culli e addormenti. Oh! Lasciamo fare a lei, che sa quello che fa, e ci vuol bene.»” (6)

e la riprende in numerosi componimenti (“la cavalla storna”,”X agosto”,”il giorno dei morti”).

In X Agosto, in particolare, Pascoli rievoca la tragedia dell’uccisione di suo padre, avvenuta il 10 agosto 1867, trent’anni prima della stesura della poesia; nella mente del poeta,allora dodicenne,sarebbe rimasta per sempre impressa l’ingiustificata e improvvisa crudeltà dell’episodio. Il 10 agosto è, però, anche il giorno di San Lorenzo, quello in cui, secondo la tradizione popolare, si verifica il fenomeno delle stelle cadenti. Le stelle che cadono in quella notte, nell’immaginario pascoliano, rappresentano il pianto del cielo sulla malvagità degli uomini: una sorta di antropoformizzazione del cosmo.
Prendendo spunto dalla propria tragica vicenda personale, il poeta affronta i temi del male e del dolore: gli elementi familiari e biografici vengono portati su un piano universale e cosmico. Così, la rondine e il padre uccisi, posti in evidente parallelismo (“ritornava una rondine al tetto”, v. 5 – “anche un uomo tornava al suo nido”, v. 13; “l’uccisero: cadde tra spini”, v. 6 -“l’uccisero: disse: Perdono”, v. 14), diventano il simbolo di tutte le povere vittime innocenti e sono chiaramente dei simboli cristologici: Gesù, la vittima per eccellenza, che perdona i suoi carnefici sulla croce, richiamata già nel titolo, con il numero romano X. La rondine che stava tornando al suo nido portando un verme per i suoi piccoli, è stata uccisa durante il tragitto e li ha lasciati soli ed affamati; allo stesso modo, il padre del poeta viene ucciso mentre sta tornando a casa, il “nido” chiuso e protetto, portando due bambole in dono alle figlie, che ora lo aspettano vanamente, proprio come i piccoli della rondine aspettano la madre, ormai affamati e morenti. Anche la lontananza del cielo (“e tu,Cielo, dall’alto dei mondi sereni”,v. 21) esprime in questo componimento la lontananza del bene e della giustizia dal mondo umano,ed è sentita come indifferenza da parte del cielo, nei confronti del mondo e degli uomini, un cielo incapace di lenire in nessun modo le sofferenze umane.
La struttura del componimento è circolare, poiché si apre e si chiude con l’immagine del cielo inondato di stelle cadenti, simboli del dolore (vocativo “San Lorenzo”, v. 1 – vocativo “E tu, Cielo”, v. 21; “aria tranquilla”, v. 2 – “mondi / sereni”, vv. 21-22; “sì gran pianto”, v. 3 – “pianto di stelle”, v. 23). Il male, personificato, è incomprensibile per l’uomo, che si sente sempre in balia di un insondabile destino. La Terra, al cospetto dell’immensità del Cielo, non è altro che un “atomo opaco”, un minuscolo ed insignificante corpuscolo che non brilla neppure di luce propria.
Di fronte alla malvagità del mondo, l’unico rifugio, dovrebbe essere il “nido”, unico luogo protetto in cui trovare pace, ma la casa è anch’essa “romita”, solitaria, lacerata dalle tragiche vicende del mondo, dunque insufficiente a proteggere l’uomo, a cui non resta che invocare invano il “pianto di stelle” del cielo e sentirsi in questo modo, almeno in parte, compreso.(7)


X AGOSTO


San Lorenzo, io lo so perché tanto
di stelle per l’aria tranquilla
arde e cade, perché si gran pianto
nel concavo cielo sfavilla.

Ritornava una rondine al tetto :
l’uccisero: cadde tra i spini;
ella aveva nel becco un insetto:
la cena dei suoi rondinini.

Ora è là, come in croce, che tende
quel verme a quel cielo lontano;
e il suo nido è nell’ombra, che attende,
che pigola sempre più piano.

Anche un uomo tornava al suo nido:
l’uccisero: disse: Perdono;
e restò negli aperti occhi un grido:
portava due bambole in dono…

Ora là, nella casa romita,
lo aspettano, aspettano in vano:
egli immobile, attonito, addita
le bambole al cielo lontano.

E tu, Cielo, dall’alto dei mondi
sereni, infinito, immortale,
oh! d’un pianto di stelle lo inondi
quest’atomo opaco del Male! (8)


(5)“Il fanciullino”,Prose,G.Pascoli,Mondadori 1952 (6)Livorno, marzo 1894 prefazione alla 3^ edizione (7)www.atuttascuola.it; la scrittura e l’interpretazione 3,tomo 1 (8) G.Pascoli, Myricae

Genitori contestati: la rivoluzione del ‘68

Dopo il boom economico che interessò i paesi industrializzati tra il 1950 e il 1970, in America e in Europa si assistette a un aumento dei beni di consumo privati come l’abbigliamento e gli elettrodomestici. Si affermarono un’economia e valori basati sul consumismo: la sostituzione dei beni diventò frequente, la pubblicità condizionò mercato e cultura e il valore del denaro e del mercato diventarono preminenti.
Era nata la cosiddetta società del benessere che però proprio a causa del consumismo e delle illusioni che generava venne ben presto presa di mira dai suoi stessi figli: i giovani infatti che erano nati e cresciuti proprio in quegli anni si trovarono ben presto in disaccordo con questo nuovo modo di vivere.
 La diffusione del benessere nelle società aveva infatti spostato l’attenzione sulle questioni connesse alla qualità della vita. Si passava da rivendicazioni di tipo materialistico a quelle di tipo post-materialistico, e questo è uno dei tratti che differenzia questi nuovi movimenti sociali da quelli precedenti.
 
Nel 1964 venne scritto dal filosofo tedesco (emigrato in America dopo l’avvento del nazismo) Herbert Marcuse un libro, “l’uomo a una dimensione”,in cui viene descritta la società industriale come un sistema totalizzante capace di fiaccare ogni capacità critica dell’individuo grazie alla sua straordinaria forza di integrazione.

“Una confortevole,levigata,ragionevole,democratica non-libertà prevale nella civiltà industriale avanzata,segno di progresso tecnico […]. I diritti e le libertà che furono fattori d’importanza vitale alle origini e nelle prime fasi della società industriale cedono il passo ad una fase più avanzata di questa: essi vanno perdendo il contenuto e il fondamento logico tradizionali.”

Questo testo divenne uno tra i più letti e celebri durante la rivoluzione del 68. I giovani sessantottini si opponevano alle convenzioni,alle autorità,alla società che voleva sottoporre gli individui a una tirannia psicologica e ideologica.
La rivoluzione partì dall’università di Berkeley,in America nel 1964 ma si diffuse ben presto in tutto il mondo: si protestava contro l’autoritarismo,contro l’imperialismo, contro le guerre (in particolare contro la guerra in Vietnam), facendo delle frasi hippy “fate l’amore,non la guerra” e “peace & love” dei motti celebri,destinati a rivoluzionare cultura e credo di un’intera generazione.
Dopo essere partite dall’America le proteste si diffusero ovunque: Nella Germania occidentale, la prima a raccogliere il messaggio degli USA, il Sessantotto assunse più che altrove connotati fortemente libertari. Anche qui la denuncia era rivolta contro il corpo accademico, accusato di essere un ‘regime oligarchico’. Il nuovo ‘bisogno’ di comunismo si caratterizzava per la negazione assoluta di qualsiasi modello di tipo sovietico o di democrazia popolare, realtà anti-democratiche, e come tali, da annientare.
In Francia la contestazione assunse i toni più clamorosi, in quanto si trasformò in una rivolta contro lo stato. Questa esplose nel marzo del 1968 all’Università di Nanterre, e nei mesi successivi alla Sorbona. Inizialmente si era trattato di un fenomeno minoritario, e molto frammentato fra le piccole organizzazioni (i groupuscules maoisti, trozkisti, anarchici), che se ne contendevano la direzione. La repressione da parte della polizia giocò da fattore unificante e provocò un considerevole allargamento dell’agitazione, che si estese anche alle scuole medie superiori ed al mondo del lavoro. Dapprima furono occupate dagli operai alcune fabbriche di Parigi. Poi, in tutta la Francia, operai, tecnici, intellettuali, e gli stessi componenti dell’apparato statale, entrarono in agitazione. Gli studenti rivendicavano maggiore libertà in una società rigida.
 
In Italia, dopo un anno di incubazione (il 1966), i primi veri focolai di rivolta si accesero nel novembre del 1967, simultaneamente, nelle università di Trento e Napoli. Subito la contestazione raggiunse il sistema privato, coinvolgendo l’Università cattolica di Milano. Si propagò quindi a Torino per raggiungere con impressionante rapidità ogni sede universitaria del Paese. Anche qui le originali ragioni di lotta avrebbero tardato ad intrecciarsi con la difesa di altri ideali: in polemica con il capitalismo si arriverà a lottare per una realizzazione di una democrazia radicale, non più semplicemente rappresentativa, ma il più possibile diretta e anti-autoritaria. Contro ogni forma di oppressione si svilupperà la condanna anche di quel comunismo sovietico che rende l’individuo schiavo del potere; si prenderanno a modello le esperienze comuniste cubana e cinese, ritenute valide alternative a quella russa.(9)

I giovani insomma rifiutavano la società borghese ed esaltavano la democrazia di base l’egualitarismo e la spontaneità. Nascono in questo periodo tentativi di dar vita a luoghi dove l’autorità sia bandita: la comune al posto della famiglia, l’assemblea e la democrazia diretta in luogo delle deleghe e della democrazia rappresentativa, con lo scopo di voler simboleggiare il rovesciamento del potere costituito e quello di creare un proprio spazio autonomo (con queste intenzioni i movimenti studenteschi adotteranno la tattica dell’occupazione). Tutte forme che finirono per mettere definitivamente in crisi le figure sociali in cui l’autorità si esprimeva: dal padre al poliziotto, dal giudice al militare.
Esaltavano le loro idee non solo con manifestazioni e occupazioni ma anche con l’abbigliamento e il modo in cui si presentavano al mondo:capelli lunghi,abiti tipicamente hippy, i giovani miravano a fare tutto il possibile per contraddire e sconcertare i loro genitori,la loro società. La ricerca di una nuova cultura si accompagnò a una vera e propria rivoluzione dei comportamenti che, innestandosi su mutamenti già provocati dal boom economico, coinvolgeva i rapporti personali, le relazioni fra i sessi e il ruolo della famiglia.
Quest’ultima risentirà parecchio della rivoluzione del 68: il rapporto tra genitori e figli, che prima era scandito anche da una sorta di codice di leggi non scritte (l’uso del pronome voi da parte del figlio ai genitori, il potere di questi ultimi,e del padre soprattutto, su questioni riguardanti il futuro stesso dell’individuo ecc) viene scardinato e rimodernato.
Il 1968 è quindi stato un momento di rivoluzione che ha modificato non solo la famiglia ma anche la figura della donna,facendole acquisire maggiori diritti (si pensi alla legge sull’aborto o sul divorzio) e la classe operaia. Gli operai,infatti divennero in questo periodo, gli interlocutori privilegiati del movimento studentesco,che videro in questi anni, aumentare i loro privilegi anche grazie alla nuova funzione assunta dai sindacati.(10)

(9)www.instoria.it (10)nuovi profili storici 3


Conclusione

Facendo questo lavoro di approfondimento, ho capito quanto influiscano davvero i genitori nella vita di ognuno di noi e quanto poco questo venga compreso. Spero che la ricerca che ho svolto mi serva anche in futuro,per non dimenticare mai che essere dei buoni genitori non è affatto scontato come si pensa e che il tempo dedicato ai propri figli è infinitamente più importante del tenore di vita che si può garantire a questi ultimi.
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