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Introduzione Psicologia del Nazismo, tesina
Questa tesina di maturità descrive la psicologia del nazismo. La tesina permette i collegamenti con i seguenti argomenti: in Inglese la propaganda, in Psicologia Freud, fenomeno della massa, in Storia le cause della Seconda Guerra mondiale, in Italiano Hannah Arendt, in Pianificazione la retorica e in Storia dell'arte Albert Speer.
Collegamenti
Psicologia del nazismo, tesina
Inglese: Propaganda.
Psicologia: Freud, fenomeno della massa.
Storia: Le cause della Seconda Guerra mondiale.
Italiano: Hannah Arendt.
Pianificazione: Retorica.
Storia dell'arte: Albert Speer.
Se per la Russia è facile comprendere come la popolazione, per la maggioranza
analfabeta e tenuta lontana dai processi di rivoluzione e di innovazioni dell’Otto-
cento Europeo, sia da fattori geografici sia da una politica rigida, si sia fatta trasci-
nare nello Stalinismo; risulta invece difficile collegare la sviluppatissima Germania al
fenomeno del Nazismo.
Se si ricostruisce il Nazismo nella sua oggettività, esso appare solo come un’ideo-
logia nazionalistica e razzista che è riuscita a imporsi a tal punto da sfociare in una
terribile catastrofe umana.
Per venire a capo di una soluzione, bisogna tener conto di più aspetti, tra i quali
una singolare congiuntura storica per cui la vicenda personale e l’ideologia
privata di Hitler hanno assunto il significato di una chiave che ha dato un senso ad
una nazione fortemente in crisi.
Primo aspetto da tenere in considerazione studiando la storia del Nazismo è
sicuramente la biografia e la personalità di Hitler.
Dopo il trionfo delle teorie psicoanalitiche di Sigmund Freud, il primo territorio in
cui si è cercato di trovare una spiegazione al fenomeno Hitler è stato proprio quel-
lo della psicoanalisi. Prendendo spunto dal libro “ Mein Kampf”, psicoanalisti come
Erikson, Fromm e A. Miller, si sono concentrati sull’ infanzia di Hitler e hanno affer-
mato che il Fhürer fosse stato pesantemente condizionato dalle questioni familiari.
Il punto di partenza dei suoi disturbi fu identificato nel Complesso di Edipo; parten-
do dai sentimenti di affetto morboso che provava per la madre, Hitler
individuò nel padre un nemico da combattere e da abbattere: ponendo così le
basi all’ideologia personale di Hitler.
Ma l’individualità di un uomo può assumere un peso rilevante nella storia, solo
quando essa si intreccia con circostanze oggettive che le consentono di assumere
un determinato peso specifico.
Per tanto, non è sull’infanzia di Hitler che bisogna soffermarsi. Se egli, nato in una
piccola città della frontiera austro-bavarese, ha sofferto, ha sofferto come tanti
altri.
Se lo scontro tra padre e figlio c’è stato, esso è da ricondurre alla valenza opposi-
tiva del carattere di Adolf, che coglie nel padre, un modesto funzionario statale,
una mediocrità insopportabile e, si oppone con un’accanita resistenza all’aspetta-
tiva paterna di vederlo diventare un semplice impiegato.
Hitler intuisce precocemente le sue potenzialità, ma, in un orizzonte familiare e
ambientale angusto, non sa come applicarle. E’ vivace, sveglio, ma,
ciononostante, ha una carriera scolastica mediocre e stentata. Forse per
opposizionismo nei confronti delle aspettative paterne, egli non raggiunge
neppure la licenza.
Il rifiuto della mentalità piccolo-borghese familiare, resa ancora più chiusa dalle
origini contadine di entrambi i genitori, è il tratto più rilevante della personalità di
Hitler.
Hitler, però, non trova in se nessuna attitudine specifica che possa essere utilizzata
per realizzare le proprie aspirazioni di grandezza. 4
"La storia del nazismo e' una delle espressioni dell'inciden-
za nei fatti umani del caso e della necessita', vale a dire di
un gioco di variabili congiunturali che assumono, ad un certo
punto, una valenza deterministica e quasi fatale"
http://www.nilalienum.it/Sezioni/Bibliografia/Storia/Hitler.html
Se è importante, il conflitto con il padre lo è perché permette ad Hitler di
scoprire la sua forza di carattere, che si esalta nello scontro con la volontà
paterna.
Ciò lo spinse a credere che la ragione stessa dell’esistenza sia nella capacità di
reagire alle avversità.
E’ ovvio che tale modello implica una radicale fobia della debolezza.
Nel 1903 Hitler perde il padre, nel 1907 la madre. A 18 anni, egli è un orfano
senza titolo di studio e senza mezzi di sussistenza. Decide di recarsi a Vienna,
sogna di diventare pittore, ma i suoi acquerelli sono mediocri e, per due volte,
viene respinto all’esame di accesso all’Accademia.
Inizia così un periodo oscuro di cinque anni nel corso dei quali vive tra i vagabon-
di e i barboni, pur mantenendo un atteggiamento differenziato rispetto ad essi.
E’ ambizioso, ma, non ha un progetto di vita né prospettive. Si dedica alla lettura,
allo studio, ma in una maniera disordinata e non sistematica.
Ha bisogno di una visione del mondo totalizzante, com’è proprio di tutti gli esseri
dotati ma non geniali.
La Grande Guerra è l’evento decisivo della sua vita. Egli riversa in essa tutta la
sua passione patriottica, e la volontà di mettersi alla prova.
E’ la guerra che lo trae fuori dall’anonimato, e gli dà un ruolo e una ragione di vita.
Non essendo cittadino tedesco, la sua carriera non ha grandi prospettive.
Da soldato semplice riesce a diventare solo caporale.
Ma il suo comportamento è rilevante: ferito tre volte, consegue due decorazioni al
valore: la seconda lo inserisce nel novero dei più valorosi.
E’ la guerra dunque la sua vera vocazione. L’esito di essa, reso ancora più amaro
dalle condizioni di pace imposte dai paesi vittoriosi, ha un effetto nello stesso
tempo devastante e stimolante sulla psicologia di Hitler.
Egli si trova restituito alla sua condizione sociale di miserabile, ma condivide
questa sorte con una massa di reduci di guerra, che attribuiscono la sconfitta
all’inettitudine del potere politico.
Avviene a questo punto un’identificazione simbolica tra la condizione personale
e quella della nazione. Egli sente, sa o presume di essere un grande uomo: sono
dunque le circostanze avverse che gli impediscono di affermarsi. Nello stesso
tempo, egli sente che la Germania è una grande nazione ingabbiata dall’ostilità e
dalla prepotenza delle altre nazioni. Come lui, la patria è un gigante incatenato.
Fin qui, la vicenda personale di Hitler non ha nulla di particolarmente
rilevante. La si potrebbe ricondurre ad una rivendicazione (delirante) di potenza
che si estende dal soggetto alla nazione cui egli appartiene.
Per capire la congiuntura che ha dato luogo al nazismo, occorre tenere conto
di due circostanze oggettive. 6
La Grande Guerra vide, nonostante le numerose perdite di tutti i paesi, la
Francia, l’Inghilterra, gli Stati Uniti e l’Italia come potenze vincitrici. Essi il 18 gennaio
del 1919 si riunirono a Versailles per partecipare alla Conferenza di Pace di Parigi.
Qui nasce un problema che si può definire storicamente nuovo. Le guerre del
passato si concludevano con la presa d’atto dell’esito: chi vinceva dettava le
condizioni di pace. Nel clima culturale del Novecento, invece, la conclusione del-
la guerra da luogo alla necessità di identificare il colpevole.
La Francia, ancora legata all’esito della guerra franco-prussiana, aveva una
volontà punitiva molto radicata nei confronti del popolo tedesco, attribuì alla
Germania tutte le colpe del primo conflitto mondiale, e pretese dal presidente
americano Wilson che essa pagasse per tutti i mali causati.
Il trattato di Versailles si fondò sul principio di “colpa tedesca” nello scoppio del
conflitto. Tale principio giustificò la pace punitiva a cui dovette sottostare la Ger-
mania.
Oltre a sancire la cessione di tutte le colonie tedesche, la Francia acquisì il diritto di
sfruttare il ricco bacino carbonifero della Saar. Inoltre, la Polonia ridiventò uno
Stato nazionale a cui vennero cedute alcune regioni orientali della Germania e il
“corridoio di Danzica”.
Si aggiunsero anche clausole militari che imposero il sostanziale azzeramento della
flotta tedesca, l’abolizione della leve militare obbligatoria, la scomparsa
dell’areonautica.
Il principio della responsabilità tedesca comportò infine l’addebitamento al
governo di Berlino di tutti i danni di guerra arrecati ai paesi vincitori.
Ciò determinò nei tedeschi un forte sentimento di umiliazione che fu accompa-
gnato da una gravi crisi economica.
La seconda circostanza è legata alla catastrofica crisi del 1929, conseguenza
da un lato degli eccessi speculativi e dall’altro il crescente squilibrio tra produzione
e consumi, ebbe ripercussioni pesanti ed immediate sulla Germania. I governi che
si succedettero (Müller, Brüning), invece di sganciarsi dal sistema di convertibilità
aurea e di svalutare la moneta come fecero gli Stati Uniti e la Gran Bretagna,
applicarono una serie di misure severe contro l’inflazione e a difesa della valuta.
Seguendo le teorie economiche tradizionali, essi tagliarono in modo drastico le
spese statali, confidando nelle imprese private per il rilancio dell’economia.
Nello stesso tempo, i prestiti statunitensi e l’afflusso di capitali esteri si ridussero
notevolmente e ciò provocò la sospensione di molti lavori pubblici.
Si innescò da allora una profonda crisi economica: ai continui licenziamenti e
fallimenti bancari faceva seguito il calo dei prezzi delle derrate agricole a scapito
dei proventi dei ceti rurali.
In questa drammatica congiuntura economica una grande massa di
disoccupati e non, erano giunti a prestare sempre più ascolto ai partiti più
estremisti come quello Nazista.
Nel 1932 i disoccupati raggiunsero la cifra di sei milioni e, a quel punto, l’incubo di
un crollo sociale, determinò l’ascesa al potere del partito nazista.
Nelle elezioni di luglio e di novembre (1932) il partito Nazista risultò il più votato, e
il 30 gennaio 1933 Hindenburg incaricò Hitler di presiedere il governo.
Da li a poco la Germania avrebbe subito un radicale processo di “nazificazione”.
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Comunque, anche tenendo conto dell’identificazione della vicenda personale
con l’esperienza della nazione e della congiuntura economica e storica
realizzatasi tra la fine della guerra mondiale e l’ascesa di Hitler, rimane il problema
di capire come un uomo sia riuscito ad esercitare su di un intero popolo, un
fascino così potente.
Bisogna considerare che, nella sua scesa al potere Adolf Hitler, non era solo.
Dietro di lui lavoravano centinaia di figure specializzate in diversi settori.
Componente fondamentale del Nazismo fu la Propaganda.
La propaganda nazista coinvolse nella sua opera tutti i mezzi di comunicazione
di massa del tempo, tra cui anche i manifesti.
Essa è da sempre intesa come un tipo di messaggio mirato a influenzare opinioni
e il comportamento altrui, a vantaggio di una parte o di una serie di fini di natura
politica, economica o sociale. Nel contesto bellico, come avvenne sia durante la
prima, che la seconda guerra mondiale, tale intento assunse un’accezione
prettamente politica, e si tradusse nel fine di muovere l’opinione pubblica a favore
del conflitto in atto, incoraggiando inoltre sentimenti di odio nei confronti del
nemico.
La propaganda ricorre a molteplici tecniche per conseguire i suoi scopi:
- La diffusione della paura per un qualche ipotetico nemico;
- La diffusione del culto dell’autorità, proponendo tutta una serie di figure
rassicuranti in cui proiettare il proprio bisogno di rassicurazione e di protezione;
Effetto gregge, persuade il singolo ad unirsi alla massa;
La diffusione di volute generalizzazioni dalla vaga, se non adattabile,
interpretazione a situazioni di ogni genere;
- L’ipersemplificazione: ricerca di risposte facili, di slogan, per rispondere a
questioni complesse;
- La diffusione di stereotipi;
Il Führer del Reich millenario, fu in grado di avvalersi di colui che può
probabilmente essere considerato come il più grande talento propagandista del
secolo scorso: Joseph Goebbels.
Joseph Goebbels fu nominato capo dell’ufficio della propaganda del partito
nazionalsocialista nel 1929, e cominciò a concentrare da allora nelle sue mani un
potere smisurato. Con la nomina nel novembre del 1923 a ministro della
propaganda e della guida della neonata camera della cultura, Goebbels venne
ad avere l’assoluto controllo su tutti i principali mezzi di propaganda della
Germania nazista.
Al momento dell’ascesa di Hitler (1933) la Germania possedeva un sistema di
informazione molto sviluppato.
Quando Hitler salì al potere, i Nazisti controllavano solo pochi dei 4.700 giornali
tedeschi, ma l’eliminazione del sistema multi-partitico portò, da un lato, alla chiu-