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Sintesi
Filosofia: La suddivisione della personalità, Sigmund Freud

Storia: Hitler e l'Olocausto

Inglese: James Joyce and "the stream of consciousness"

Italiano: Italo Svevo e "La coscienza di Zeno"
Estratto del documento

“La personalità è la manifestazione

del proprio aspetto interiore”

(Giovanni Soriano)

INTRODUZIONE

Il presente lavoro si propone di illustrare in breve il significato e le funzioni

della psicologia focalizzando l’attenzione sulla psicologia della personalità e

aggiungendo dei riferimenti ad alcuni autori e personaggi italiani e stranieri del

1900.

LA PSICOLOGIA

La psicologia è la disciplina che studia il comportamento degli

individui , singoli e non, ed i loro processi mentali attraverso

l'analisi delle dinamiche interne dell'individuo stesso. Questo

studio si sviluppa attraverso l'analisi delle emozioni e delle

esperienze dell'individuo, dei rapporti tra quest’ultimo e

l'ambiente, del comportamento umano e dei processi mentali che intercorrono

tra gli stimoli e le conseguenti risposte.

Più precisamente, la psicologia ha come oggetto di studio tre tipi di processi

attuati o, meglio, contenuti nella mente umana ossia: i processi mentali, i

processi cognitivi ed i processi dinamici.

Nei confronti dei fenomeni psichici presi in esame, la psicologia ha il compito

di osservarli, descriverli e classificarli al fine di poterne individuare i fattori che

ne causano la comparsa, la modifica e la scomparsa.

La psicologia scientifica moderna nasce nella seconda metà del 1800. Tra il

1850 e il 1870 infatti numerosi fisici e medici si occuparono dello studio della

psiche ovvero delle sensazioni, delle emozioni e delle attività intellettive. 1

Attualmente, i diversi metodi con cui la psicologia approccia allo

studio della psiche, ne hanno prodotto una frammentazione in

differenti e numerosissime sottodiscipline psicologiche che prendono

come riferimento differenti matrici culturali. Un’importante branca è

la psicologia della personalità.

LA PSICOLOGIA DELLA PERSONALITÀ

La psicologia della personalità studia i modelli psicologici del comportamento,

del pensiero e delle emozioni, nell’insieme denominati personalità

dell’individuo.

Le teorie dette “di caratteristica” dividono la personalità in un certo numero di

caratteri per mezzo di un’analisi fattoriale.

Uno dei primi e più ristretti modelli è quello di Haus Eyscuck, uno psicologo di

origine tedesca, che è diviso in tre livelli: estroversione-introversione, stabilità-

nevrasticità e psicoticismo.

La teoria che oggi detiene il maggior consenso è la teoria dei cinque grandi

fattori (BIG FIVE) proposta dallo psicologo Lewis Goldberg e sviluppata da

McCrae e Costa. Secondo questa teoria la personalità è divisa in cinque grandi

sfere: estroversione-introversione, gradevolezza-sgradevolezza, coscienziosità-

negligenza, nevroticismo-stabilità emotiva, apertura mentale-chiusura mentale.

Queste sfere corrispondono alle macro-categorie più usate per descrivere, nel

linguaggio, le diversità tra gli individui.

Infine, un differente ma ben noto studio della personalità è

quello del padre della psicoanalisi Sigmund Freud, il quale

ha scomposto la personalità in tre fattori: Es, Io Super Io.

Numerosi sono stati i casi famosi studiati secondo questa

disciplina ma il più discusso, dai primi anni del 1900 fino

ad oggi, è senza dubbio lo studio della personalità di Adolf

Hitler. 2

LA PERSONALITÀ DI ADOLF HITLER

Prendendo spunto dalla nascita della psicoanalisi grazie a Sigmund Freud, sono

stati fatti molti studi, sia psicologici che

psicoanalitici, sulla personalità di Adolf Hitler

durante tutto il 1900.

Per quanto si possa immaginare che dietro le

terribili atrocità compiute da Adolf Hitler, si celi

una personalità seriamente disturbata, pochi sanno

che esiste una documentazione a riguardo,

misteriosamente scomparsa durante la II guerra

Mondiale.

Le informazioni pervenuteci sono tratte da un

frammento proveniente dagli Archivi Europei di

Psichiatria e Neuroscienze cliniche e riguardano il periodo della sua

ammissione all’ospedale dopo gli infortuni subiti durante la prima guerra

mondiale.

La diagnosi che Hitler ricevette durante quel ricovero fu di cecità isterica,

quello che oggi si definirebbe come disturbo dissociativo o da conversione, un

peculiare sintomo in cui un problema apparentemente fisico si verifica senza

nessuna causa organica identificabile. La spiegazione classica che (a partire da

Charcot e da Freud) si da di questo disturbo è che la mente converte un trauma

psichico in un sintomo fisico per proteggersi dallo stress.

Si sa poco del trattamento successivo: il leader nazista fu trasferito presso un

ospedale militare a Pasewalk, nei pressi del mar Baltico e fu curato

dal professor Forster, direttore della clinica psichiatrica dell’ospedale,

attraverso l’ipnosi.

Hitler fu dimesso il 19 Novembre 1918 e di quella storia non si è più parlato.

I servizi segreti americani commissionarono invece ben due analisi della

personalità di Hitler, la prima allo psicologo Henry Murray e la seconda allo

psicoanalista Walter Langer. Nonostante l’abilità degli esperti scelti, non è

semplice condurre una seria analisi su un paziente che non si è mai incontrato,

sebbene tanto noto, ragion per cui non si tratta di documenti del tutto affidabili.

3

Entrambi comunque definirono Hitler uno psicopatico, affetto verosimilmente

da schizofrenia paranoide, probabilmente impotente, omosessuale represso e

con tendenze suicide (diventate poi realistiche).

Queste considerazioni ci colpiscono soprattutto se consideriamo che i malati di

mente furono, dopo gli ebrei, tra i più perseguitati dal regime nazista: ne furono

sterminati ben 200.000 nei campi di concentramento.

Un’altra teoria è quella di alcuni psicologi e psicoanalisti che, prendendo spunto

soprattutto dal famoso libro “ Mein kampf “, hanno svolto approfonditi studi

sull’ infanzia di Hitler che hanno portato ad affermare che il fhurer fosse stato

pesantemente condizionato dalle questioni familiari presenti fino alla sua ascesa

al potere: il punto di partenza è sicuramente la constatazione della presenza del

cosiddetto Complesso di Edipo; moltissimi studiosi ritengono infatti che,

partendo dai sentimenti di affetto morboso che provava per la madre, Hitler

avesse individuato nel padre un nemico da combattere e da abbattere.

Anche numerosi letterati hanno voluto fornire una spiegazione razionale

all’olocausto e ad Adolf Hitler: lo scrittore Daniel Goldhagen nel 1996, nel

libro “I volenterosi carnefici di

Hitler”, afferma che la colpa

dell’Olocausto era da attribuirsi

a tutti i tedeschi.

Lo scrittore sostiene infatti che

l’antisemitismo

“eliminazionista” era

ampiamente diffuso tra i

tedeschi dell’anteguerra e

intrinseco nella loro personalità.

Secondo questo punto di vista dunque, Hitler non era altro che il portavoce di

una coscienza nazionale che non fece altro che accogliere con entusiasmo la

veemente denuncia delle ingiustizie del trattato di Versailles e il progetto del

riarmo nazionale per la creazione di una grande Germania. 4

LA COSCIENZA

L’unità fondamentale della personalità umana è senza dubbio la coscienza.

Il termine coscienza deriva dal latino Cum-scire (sapere insieme) e,

comunemente parlando, indica uno stato soggettivo di consapevolezza sulle

sensazioni psicologiche come i sentimenti o i pensieri e fisiche come il tatto e la

vista.

Le caratteristiche principali della coscienza (nella formulazione freudiana, in

tedesco Bewusstsein) sono la soggettività, l’autoconsapevolezza,

la conoscenza e la capacità di individuare le relazioni tra sé e il

proprio ambiente circostante.

Rimanendo fedeli all’interpretazione comune, gli uomini esprimono i loro stati

di coscienza mediante il linguaggio anche se a volte essa supera quest’ultimo e

diviene così inesplicabile.

E’ per questo che alcuni scrittori del ‘900 tentarono di studiare un modo di

rappresentare la coscienza che prese forma nella tecnica inventata da James

Joyce chiamata “stream of consciousness” (flusso di coscienza).

“STREAM OF CONSCIOUSNESS”

Lo “stream of consciousness” o “flusso di coscienza” consiste nella libera

rappresentazione dei pensieri di una persona così come compaiono nella mente,

ovvero prima di essere riorganizzati secondo un ordine logico.

Questo processo della mente viene riportato in scrittura mediante l’utilizzo del

monologo interiore nei cosiddetti romanzi psicologici.

La notorietà di questa tecnica si deve allo scrittore irlandese James Joyce che

con il suo “Ulysses” influenzò profondamente la letteratura europea e, 5

soprattutto, lo scrittore italiano Ettore Schmitz, meglio conosciuto come Italo

Svevo.

L’INCONTRO TRA JOYCE E SVEVO

Nel 1905, al quarantenne

commerciante Ettore Schmitz fu

consigliato il giovane insegnante di

inglese James Joyce della Berlitz

School di Trieste in quanto

Schmitz era desideroso di

migliorare la conoscenza della

lingua.

In quel periodo, lo scrittore Italo Svevo sembrava morto e sepolto sotto

l'indifferenza che aveva accolto i suoi primi due romanzi.

Però Joyce, essendo venuto a sapere che fra i suoi allievi vi era uno scrittore,

chiese a Svevo di poter leggere i suoi manoscritti. Lo scrittore triestino

acconsentì e la reazione dell'inglese fu di assoluto entusiasmo: incoraggiò

l'allievo a non abbandonare la scrittura e gli fece leggere le sue poesie ed i

racconti tra cui “The dubliners”.

Fu probabilmente grazie agli incoraggiamenti di Joyce che Svevo portò a

termine “La coscienza di Zeno” e che reagì all'indifferenza con cui l'universo

letterario italiano accolse anche il suo terzo romanzo.

Convinto della bontà della sua opera, spedì una copia all'amico che la guerra

aveva costretto al soggiorno in Francia. Questi fece conoscere l'opera ai suoi

amici critici letterari francesi Valery Larbaud e Benjamin Cremieux i quali

rimasero affascinati da quest'opera e ne proposero a Svevo un'edizione in

francese.

Nel giro di pochi mesi il nome di Svevo cominciò a circolare sempre più

frequentemente nei circoli culturali francesi e, di conseguenza, europei; solo in

Italia non gli venne tributata la giusta fama.

Il fatto che Svevo e Joyce si conoscessero e confrontassero le loro idee non

deve far pensare che Svevo fosse il Joyce italiano, ovvero che la “Coscienza di

Zeno” e l' “Ulysses” non siano altro che due realizzazioni della stessa tecnica

letteraria. 6

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