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Natura: parens melior homin an tristior noverca? - Tesina per liceo scientifico Pag. 1
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Sintesi
Italiano: Giacomo leopardi, Giovanni Pascoli

Filosofia: Arthur Shopenhauer

Arte: Edvard Munch

Latino: Seneca

Inglese: William Wordsworth

Storia: il colonialismo italiano in Libia
Estratto del documento

PERCORSO LETTERARIO

1 PARTE: NATURA MATRIGNA

Ho deciso di trattare la tematica della Natura perché essa sta continuamente di fronte agli occhi

dell’uomo, è impossibile fare a meno di vederla; è una realtà innegabile e indiscutibile. Essa ci

mostra ogni istante la sua forza maestosa, la sua bellezza e la sua crudeltà che possono portare

all’attrazione o alla repulsione. Nel corso del tempo la filosofia l’ha indagata, l’arte l’ha ritratta,la

poesia l’ha celebrata in versi. L’emozione di un cielo stellato, di un mare in tempesta, una brezza

leggera ha indotto molti a riflettere sul senso di ogni cosa e della propria vita. Ma con la natura si

sono confrontati, misurati anche artisti, intellettuali e scrittori di ogni tempo per offrirne immagini

sempre nuove e a seconda dell’interpretazione soggettiva essa si può presentare o come una spietata

matrigna o come una madre benevola.

Per quanto riguarda il primo caso, Leopardi è l’esempio più lampante che possiamo fare.

Egli, in un primo momento, definì la natura come un’entità positiva, capace di grandi e generose

illusioni che rendono l’uomo soddisfatto e appagato: la sua infelicità non era un dato costitutivo, ma

storico. Infatti mentre gli antichi erano ancora in grado di generare solide illusioni, i moderni hanno

perso questa capacità. (pessimismo storico). Ma dopo aver elaborato la teoria del piacere, secondo

cui l’uomo, dopo aver raggiunto il piacere a lungo conseguito, è destinato a non essere soddisfatto e

tende a bramare un desiderio sempre superiore e illimitato, Leopardi comprende che l’infelicità

dell’uomo è determinata dalle sue stesse condizioni di vita. La natura non è più una madre

benevola, ma una matrigna crudele. (pessimismo cosmico). Egli compose diverse opere in cui

ritroviamo questa poetica, ma nei Canti Pisano-recanatesi (Grandi idilli), la condizione umana è

molto evidente. Gli interrogativi esistenziali vengono universalizzati. Nel Canto Notturno di un

pastore errante dell’Asia, fallito il tentativo di entrare in comunicazione con la natura,

interrogandola nella forma-simbolo della luna, al pastore, non resta altro che avanzare ipotesi sul

senso dell’esistenza. Ma nessuna ipotesi sarà in grado di dargli conforto, se non quello dato dai

propri stessi interrogativi; rispetto alla Natura che se ne sta indifferente di fronte all’insensatezza e

al dolore del “pastore=umanità”.

Riguardo la sofferenza universale, Leopardi compone la Ginestra, nella quale, tra l’altro, c’è un

primo approccio al positivismo. Il paesaggio desolato del Vesuvio è il luogo-simbolo della

condizione umana sulla terra, pronta a smentire ogni forma di ottimismo consolatorio; per cui

dolore, malattia, morte renderanno dolorosa la vita dell’uomo. Questa consapevolezza deve essere

acquisita da tutti, affinché si prospetti un’umanità liberata. In questo modo l’individuazione del vero

nemico dell’uomo, la Natura, risulterà più semplice, ed è contro di essa che si deve compiere

un’alleanza tra tutti gli uomini. Il modello positivo è dato dall’umile ginestra, che attende sulle

pendici del vulcano la distruzione, pronta a piegarsi sotto la lava, priva di orgoglio e di viltà. Anche

l’amore fu per Leopardi un’esperienza deludente; infatti nel ciclo di Aspasia, e in particolare “A se

stesso”, c’è la denuncia di una condanna durissima della negatività dell’esistenza. l’opera registra

infatti il manifestarsi della disillusione dopo la fine dell’amore per Fanny Tozzetti; ne consegue un

invito, da parte del poeta, a non illudersi più e a credere che non esista nulla sulla terra che sia

degno di amore. L’amore è infatti un’ illusione non smascherabile, è la dimostrazione dell’infelicità

umana, poiché amare implica un’ipotesi di felicità, che non è però mai realizzabile.

Parallelamente al pensiero leopardiano, un grande filosofo, Shopenhauer, affronta similmente le

stesse tematiche.

Secondo il filosofo infatti la vita non è altro che dolore, poiché volere significa desiderare e

desiderare significa trovarsi in uno stato di tensione per la mancanza di qualcosa che si vorrebbe

avere. Il desidero può quindi essere definito come assenza, vuoto, ossia dolore. La situazione si

mostra connessa alla teoria del piacere di Leopardi (Vedi slide). Infatti ciò che gli uomini chiamano

godimento e gioia, non è nient’altro, come anticipò Leopardi, che una cessazione del dolore.

Affinché ci sia piacere bisogna per forza che vi sia uno stato precedente di tensione o dolore. La

stessa cosa non vale per il dolore che non può essere ridotto a cessazione del piacere perché un

individuo può sperimentare una catena infinita di dolori senza che questi siano preceduti da piaceri.

Pertanto il piacere è una funzione derivata del dolore; e non appena viene meno lo stato di brama,

cessa anche la possibilità del godimento. (proprio come diceva leopardi: il piacere vero e proprio

risiede nell’attesa del piacere stesso). E proprio quando viene meno lo stimolo del desiderio,

subentra la noia. Per questo la vita dell’uomo è paragonata ad un pendolo che oscilla tra dolore e

noia, passando attraverso un intervallo momentaneo: il piacere.

Analogamente al pessimismo cosmico leopardiano, Shopenhauer sostiene che la sofferenza non è

del singolo, ma universale. Il dolore non riguarda solo l’uomo, ma ogni creatura. Tutto soffre: il

fiore che appassisce (souffrance, passo dello Zibaldone), dal bimbo che nasce (<Nasce l’uomo a

fatica,ed è rischio di morte il nascimento> “Canto notturno”), al vecchio che muore. Ma solo

l’uomo soffre di più rispetto alle altre creature, perché è dotato di maggior consapevolezza (<o

greggia mia che posi, oh te beata, che la miseria tua, credo, non sai!> “Canto notturno”) ed è

destinato a patire l’insoddisfazione del desiderio (di nuovo teoria del piacere) e del dolore. A prova

di ciò vi è anche la lotta crudele tra tutte le cose, secondo il filosofo infatti dietro alle “meraviglie”

della Natura, si cela un’ <arena di essere tormentati i quali esistono solo a patto di divorarsi l’uno

con l’altro>(lotta per la sopravvivenza). In questo modo, l’individuo è un vero e proprio strumento

al servizio della specie e l’unico fine della natura sembra dunque essere quello di perpetuare la vita

e con essa anche il dolore.

Il fatto che alla natura interessi solo la sopravvivenza della specie, si manifesta principalmente

nell’amore. infatti per la Natura, il fine ultimo dell’amore è solo l’accoppiamento. E nel momento in

cui l’uomo crede di poter realizzare il proprio godimento, è in realtà lo <zimbello> della Natura,

poiché dall’innamoramento si passa all’accoppiamento-procreazione. Ancora una volta l’amore si

mostra come un’illusione che provoca dolore e non fa altro che stare al servizio della Natura.

Il pensiero shopenhauriano influenzò il pensiero di altri filosofi o addirittura anche artisti, fra cui

Edvard Munch. In lui si ritrovano tutti i temi negativi del tempo (espressionismo: 1905/1925):

dolore, solitudine, angoscia esistenziale, sofferenza, incertezza del futuro. Oltre che da shopenhauer

la sua arte fu influenzata da una serie di lutti che si susseguirono all’interno della sua famiglia, morì

la sorella, la madre ed in seguito anche il padre. È grazie alla malattia che la sua arte ha assunto una

valenza artistica, infatti come disse l’artista < senza malattia la mia arte sarebbe come una barca

senza remi>. La malattia è fonte di stimolo e ispirazione. Una delle tante opere in cui possiamo

scorgere il pensiero dell’artista è “il grido”. L’opera è ricca di riferimenti simbolici. L’uomo in

primo piano esprime il dramma collettivo dell’umanità (sofferenza universale e pessimismo

cosmico). Il ponte è simbolo dei mille ostacoli che l’uomo deve affrontare e superare nella propria

esistenza, due uomini sullo sfondo, presunti amici, incuranti del nostro sgomento, rappresentano la

disillusione e la falsità dell’amicizia. La sofferenza e la disperazione nell’opera assumono una

forma innaturale, il corpo è serpentinato, al posto della testa vi è un cranio nauseante, le narici sono

ridotte a due fori, gli occhi sbarrati e le labbra nere che rimandano a quelle di un cadavere. Le mani

prendono la forma del volto come se fungessero da megafono per amplificare il grido e

universalizzarlo, tant’è vero che tutto urla nel dipinto (vedi slide), anche i colori, il rosso sangue del

cielo, e il blu dell’acqua. L’uomo strepita disperatamente, è l’urlo di chi si è perso dentro se stesso o

si sente solo.

2 PARTE: NATURA BENIGNA

Tuttavia non tutti gli artisti hanno questa visione negativa della Natura, per esempio Seneca dà una

concezione provvidenziale, di un mondo perfetto e assoluto, nelle Naturales Quaestiones.

In quest’opera il poeta elenca e descrive una serie di fenomeni naturali: dai tuoni ai fulmini, dalle

nubi ai venti al terremoto o ancora alle comete. L’intenzione era quella non di raccogliere ogni

conoscenza dell’epoca ma quella di liberare l’uomo dalla paura e dalla superstizione che ha

riguardo i fenomeni naturali ( Lucrezio). Così facendo vuole convincerli che la natura non è

“cattiva” come essi credono ma anzi permette all’uomo di elevarsi ad una dimensione più divina

dopo essersi liberato dai pregiudizi e dalle false credenze. Se vi sono degli aspetti negativi è solo

colpa degli uomini che violano le sue leggi. Davanti alle bellezze naturali e ai misteri della Natura

Seneca prova ammirazione e non perde occasione, da filosofo stoico, di riconoscere la grandezza di

Dio.

Ma c’è anche chi definisce la Natura come un rifugio, una protezione e una fonte di ispirazione per

la propria poesia. È il caso di Wordsworth.

Costui è un poeta inglese romantico, e come tutti i romantici che si rispettino, anche egli considera

la natura come una sorta di esperienza spirituale. Infatti essi credono che l’uomo abbia un profondo

legame con il mondo naturale, nel quale possono nascondersi per fuggire dallo squallore del mondo

industrializzato e cercare quindi consolazione e ispirazione in essa. Addirittura tendono a

paragonare la natura allo specchio vivente dell’anima, in grado di dare insegnamenti positivi e

morali all’uomo. In particolare Wordsworth identifica la Natura con Dio, rispecchiando così la

tipica visione panteistica, e tende a fondersi con essa come in “I wandered lonely as a cloud”

provando un senso di gioia, di felicità e stupore inspiegabile a parole.

In “I wandered lonely as a cloud” il poeta ricorda un giorno in campagna quando si imbatte in un

vasto terreno di narcisi dorati che danzano e si agitano con eleganza portandogli compagnia e

immaginando di sorvolare il campo come una nuvola. I narcisi hanno anche un significato

metaforico in quanto simboleggiano la voce della natura che è appena udibile, e il modo più adatto

per ascoltarla è, come il poeta ci suggerisce nell’ultima stanza, stare in una sorta di condizione di

vuoto interiore come quella dei mistici quando entrano in comunione con Dio in modo tale che il

cuore possa riempirsi di piacere. In questo modo lo stato di solitudine interiore si trasforma in uno

stato di estasi assoluto.

Anche per Pascoli il rapporto con la Natura è basilare, e questa tematica è affrontata dal poeta

soprattutto nella raccolta Myricae. La Natura per il poeta ha un’ambivalenza che ritroviamo sino

alla fine della raccolta; si ha un equilibrio di eventi naturali durante le ore diurne, uno squilibrio

invece durante le ore notturne. Come per esempio nel “Lampo” il poeta presenta uno scenario

tragico e inquietante. Un paesaggio tempestoso, nel quale un lampo illumina per un attimo tutto

l’ambiente circostante e si intravede in lontananza una casa, paragonata ad un occhio che si apre e si

chiude immediatamente. (grido di munch). Ma il secondo aspetto di Pascoli lo si può notare nel

“Gelsomino notturno”, appartenente alla raccolta Canti di Castelvecchio, nel quale la realtà umana,

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