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Latino
La nascita del piacere narrata nelle Metamorfosi di Apuleio:
- Introduzione
- Breve spiegazione delle Metamorfosi di Apuleio
- Trama della favola
- Il tema della curiositas
- Amore e Psiche: fabula milesia
- La favola dal punto di vista stilistico
Psicologia
Il Principio di piacere di Freud:
- Definizione del concetto freudiano di Principio di piacere
- Principio di piacere e Principio di realtà
- Evoluzione della teoria del Principio di piacere
- Eros e Thanatos
Italiano
Il Piacere di D’Annunzio:
- Presentazione del romanzo
- Breve riassunto
- Parallelismo tra Andrea Sperelli e Gabriele D’Annunzio
- Le due figure femminili del romanzo: Elena Muti e Maria Ferres
- Il romanzo dal punto di vista stilistico
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La nascita di Piacere narrata nelle Metamorfosi di Apuleio:
- Introduzione
- Breve spiegazione delle Metamorfosi di Apuleio
- Trama della favola
- Il tema della curiositas
- Amore e Psiche: fabula milesia
- La favola dal punto di vista stilistico
Psicologia
Il Principio di Piacere di Freud:
- Definizione del concetto freudiano di “principio di piacere”
- Principio di piacere e principio di realtà
- Evoluzione della teoria del principio di piacere
- Eros vs Thanatos
Italiano
Il Piacere di D’Annunzio:
- Presentazione del romanzo
- Breve riassunto
- Parallelismo tra Andrea Sperelli e Gabriele D’Annunzio
- Le due figure femminili del romanzo: Elena Muti e Maria Ferres
- Il romanzo dal punto di vista stilistico
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L’origine di Piacere, identificato con Volupta dalla mitologia latina, è da ricercarsi nell’unione di
Amore e Psiche. Questa divinità non possiede alcuna leggenda, ma è una semplice astrazione;
tuttavia Apuleio nelle sue Metamorfosi la tiene in considerazione e la nomina appunto come figlia
delle due divinità. Nella mitologia greca, invece, è chiamata Edone, figlia di Eros, divinità
dell'amore erotico, e di Psiche, il suolo.
E’ dunque Apuleio ad inserire la nascita di Piacere nel racconto di Amore e Psiche, a sua volta
inserito nel romanzo “Metamorfosi”. Il romanzo, opera stravagante in 11 libri, è forse l'adattamento
(almeno nei primi 10) di uno scritto di Luciano di Samosata di cui non siamo in possesso, ma del
quale ci è pervenuto un plagio intitolato "Lucius o L'asino": si discute se Apuleio abbia seguito il
modello solo nella trama principale, o ne abbia ricavato anche le molte digressioni novellistiche
tragiche ed erotiche. Non è improbabile, poi, che sia Apuleio che Luciano abbiano rielaborato
un'ulteriore fonte, di cui ci testimonia Fozio: ovvero, un'opera intitolata, "Metamorfosi", e attribuito
ad un certo Lucio di Patre, il cui canovaccio esteriore è praticamente lo stesso dell'opera del nostro.
Le Metamorfosi narrano le peripezie d Lucio che, per errore, viene trasformato in asino, pur
conservando mente e sentimenti umani: solo dopo molte avventure, talvolta anche dolorose, Lucio
potrà infine riprendere forma umana grazie all’intervento della dea Iside, di cui Lucio diventerà
sacerdote. Proprio durante il periodo trascorso sotto forma asinina, egli avrà modo di ascoltare la
favola di Amore e Psiche, narrata da un’anziana signora per consolare una fanciulla rapita. La
favola, che si estende emblematicamente dalla fine del IV libro a buona parte del VI, ha
un'importanza esemplare nell'economia generale del romanzo, svolgendo una funzione non solo
esornativa, ma fornendocene invero la corretta chiave di lettura e di decodificazione, fulcro artistico
ed etico dell'opera tutta. La favola inizia nel piu classico dei modi: Psiche è una bellissima
principessa, così bella da causare l’invidia di Venere. Così, la dea invia suo figlio Amore perché la
faccia innamorare dell’uomo piu brutto e avaro della Terra. Ma il dio, Amore, si innamora della
mortale e con l’aiuto di Zefiro, la trasporta nel suo palazzo. Psiche si trova dunque prigioniera nel
castello di Amore. Una notte Psiche, istigata dalle sorelle invidiose, decide di vedere il volto del suo
amante, nonostante il divieto che il dio le aveva imposto. Così avvicina una lampada al volto di
Amore, ma una goccia cade e ustiona il dio, che l’abbandona. Venere scaglia dunque la sua
punizione e sottopone Psiche a diverse prove. L’ultima, la piu difficile, consiste nel discendere negli
Inferi e chiedere alla dea Proserpina un po’ della sua bellezza. La dea le consegna dunque
un’ampolla contenente una nuvola soporifera, che Psiche apre mossa dalla solita curiosità. Giunge
quindi ancora una volta Amore in soccorso della ragazza, che la risveglierà dopo aver rimesso a
posto la nuvola soporifera. Solo alla fine, Psiche riceve l’aiuto di Giove. Infatti il dio, mosso da
compassione, fa in modo che gli amanti si riuniscano, che Psiche divenga una dea e che sposi
Amore. Il racconto termina con un grande banchetto e la narrazione della nascita di una bambina,
Volupta appunto.
Il tema della curiositas
La successione degli avvenimenti della novella riprende quella delle vicende del romanzo: prima
un'avventura erotica, poi la "curiositas" punita con la perdita della condizione beata, quindi le
peripezie e le sofferenze, che vengono alfine concluse dall'azione salvifica della divinità. La favola,
insomma, rappresenterebbe il destino dell'anima, che, per aver commesso il peccato di "hybris"
(tracotanza) tentando di penetrare un mistero che non le era consentito di svelare, deve scontare la
sua colpa con umiliazioni ed affanni di ogni genere prima di rendersi degna di ricongiungersi al dio.
È possibile stabilire un parallelo fra Psiche e Lucio. Entrambi, infatti, all’inizio del loro percorso di
formazione si trovano in una situazione positiva e tranquilla, i due, in seguito, per aver peccato di
curiositas, cadono in disgrazia e solo attraverso esperienze degradanti e numerose prove giungono a
recuperare la felicità e una condizione migliore di quella iniziale. Le peripezie dei personaggi
possono essere lette come un itinerario di espiazione fino alla salvezza. Apuleio vorrebbe mostrare
la degradazione morale del mondo per ottenere una crisi di rigetto che preannuncia la conversione.
Non sappiamo se il significato allegorico fosse noto al pubblico: l’opera è, infatti, leggibile a due
livelli. A un livello più immediato e semplicistico il romanzo è fruibile in chiave erotico-
avventurosa, un pubblico più dotto, grazie alla chiave di lettura offerta dalla fabula di Amore e
Psiche, può, invece penetrare l’allegoria e giungere al significato più recondito. Tutto il romanzo, da
questo punto di vista, costituisce una singolare allegoria imperniata sulla vicenda dell’anima che,
caduta per un fatale errore, attraverso una serie di durissime prove, alla fine riconquista, per
l’intervento della Grazia divina, la piena felicità e con essa l’immortalità.
Amore e Psiche: fabula milesia
Per ammissione dello stesso Apuleio, esplicita in due passi delle Metamorfosi, e per i caratteri del
racconto, si può ritenere che la "bella fabella" di Amore e Psiche sia una fabula milesia,
caratterizzata da aspetti erotici e viziosi.
Si possono avanzare tuttavia alcune riserve: la milesia presenta aspetti realistici, grotteschi e di
abiezione morale, mentre il tono generale della novella di Amore e Psiche è di delicato incanto,
adatto infatti allo scopo che assume nel testo, cioè quello di consolare una ragazza impaurita. Nelle
milesie non compaiono simbologie misteriche, presenti invece nella novella di Apuleio. Si può
dunque ritenere che si tratti di una milesia contaminata per le suggestioni di diversi influssi:
- misterici (per i valori simbolici)
- mitologici (per personaggi e situazioni)
- popolari (per i motivi canonici della favolistica).
La favola dal punto di vista stilistico
Per quanto riguarda la lingua di Apuleio, invece, può essere definita "liberata" per le novità che
introduce rispetto a modelli consolidati.
Apuleio infatti predilige variare le costruzioni sintattiche senza tuttavia abbandonare forme
tradizionali che alterna ad altre proprie della lingua parlata o all'uso poetico. Amplia il lessico,
introducendo arcaismi, volgarismi, neologismi o termini dal significato variato rispetto al consueto.
Introduce anche linguaggi specialistici, a volte con funzione ironica. Ama il colore e ricerca
l'effetto, in uno stile molto originale ed espressivo che alterna toni diversi, dal favoloso e magico, al
realistico. La lingua di Apuleio è composita e denota l'amore e il gusto che questo letterato,
affascinante e brillante anche come conferenziere, doveva avere per la parola elegante e inconsueta.
I
l p
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e r e f r e u d
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In psicologia, è stato Freud ad occuparsi di Piacere, individuando un Principio di Piacere ed un
Principio di Realtà, ovvero i due principi del funzionamento psichico.
Alla base dei fenomeni psichici vi é un principio economico, che Freud definisce principio del
piacere che ha la funzione di evitare il dispiacere e il dolore, legati all'aumento della quantità di
eccitazione e di provocare, invece, il piacere, connesso alla riduzione stessa dell'eccitazione. A
questo scopo provvede il principio del piacere, scaricando la tensione e, quindi, ripristinando uno
stato di equilibrio, mediante l'appagamento del desiderio, ma ciò avviene per via allucinatoria,
grazie a soddisfazioni sostitutive rispetto a quelle reali. Questa situazione non può che generare
disillusione, in modo che viene a costituirsi e ad operare, stando a Freud, un secondo principio, che
tenta di assumere una funzione regolativa rispetto al principio del piacere: si tratta del principio di
realtà , che non tenta più il soddisfacimento tramite scorciatoie e forme sostitutive, ma a seconda
delle condizioni date dalla realtà, anche se questa si può presentare come sgradita. Tuttavia in
questa ottica l’opposizione tra i due principi non è poi così profonda e radicale. Il secondo
seguirebbe, sostanzialmente, perfezionandolo nei modi, le esigenze del primo, subordinandole ad
una utile consapevolezza del mondo circostante e delle sue necessità e favorendo lo svilupparsi di
una serie di comportamenti con valore adattivo. Il principio del piacere tende ad ottenere tutto
immediatamente tramite una scarica motoria, mentre il principio di realtà può differire quella
scarica in vista di un'eventuale meta, più sicura e meno illusoria; instaurandosi, quest'ultimo
provoca una serie di adattamenti dell'apparato psichico, conducendo allo sviluppo e al
potenziamento di funzioni coscienti come l'attenzione, la memoria, il giudizio e il pensiero. Questo
non vuol dire che il principio del piacere scompaia del tutto; esso prosegue nell'operare e
nell'estrinsecarsi, specialmente nelle circostanze in cui diminuisce la dipendenza verso la realtà,
come appunto nei sogni, nelle fantasie e, in una certa misura, nelle produzioni artistiche. Questo
dualismo di princìpi, costruito in analogia alla fisica, come distribuzione e circolazione energetica,
viene però in un secondo tempo modificato da Freud; nel 1920, infatti, egli pubblica Al di là del
principio del piacere , dove accanto alle pulsioni sessuali, riconosce l'esistenza di una pulsione
antagonistica, la pulsione di morte , cioè una tendenza distruttiva inerente alla vita stessa.
A questa conclusione Freud arriva tramite l'osservazione clinica dei comportamenti caratterizzati
dalla coazione a ripetere , in cui il soggetto ripete ossessivamente operazioni spiacevoli e dolorose,
che riflettono, in modo più o meno evidente, elementi di conflitti passati. A parere di Freud, questi
comportamenti mettono in forse il primato del principio del piacere e rendono necessario introdurre
l'ipotesi dell'esistenza di una tendenza originaria alla scarica totale delle pulsioni, cioè di un
principio di morte. Quando le pulsioni di morte sono rivolte verso l'interno, esse tendono
all'autodistruzione, ma poi possono essere dirette anche verso l'esterno, assumendo così la forma di
pulsioni di aggressione e di distruzione. Nella realtà psichica le pulsioni si presentano sempre come
ambivalenti, caratterizzate cioè dalla compresenza di questi due princìpi di vita e di morte: anche la
sessualità presenterebbe dunque questa ambivalenza sotto forma di amore e di aggressività. Così
Freud tornava ad introdurre alla base della vita psichica un dualismo di princìpi, ma distinti
qualitativamente, non più quantitativamente come nel caso del principio di piacere contrapposto a
quello di realtà. Freud chiamava tali principi con i nomi greci di Eros ( eros = amore ) e Thanatos (
qanatos = morte ). Esisterebbe dunque, accanto alla tendenza alla conservazione e allo sviluppo
della vita e dell’eros, anche una tendenza all’autodistruzione, al dissolvimento di se stessi. Freud