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Inglese: T.S. Eliot (the objective correlative in The Waste Land)
Latino: Lucrezio (le immagini nel De rerum natura con riferimenti ad opportuni passi); il commento di Cyril Bailey e di Henry Bergson all'opera di Lucrezio
Filosofia: le immagini nell'opera di Bergson; un modo diverso di usare le immagini in filosofia: da Platone a Nietzsche; altre immagini filosofiche (Cusano e Schopenhauer)
Storia: dall'opera "La psicologia delle folle" di Gustav le Bon, alla propaganda visiva del regime fascista (la fotografia e i fumetti)
Storia dell'arte: dall'opera dello storico dell'arte R. Arnheim (Visual Thinking) all'Astrattismo di Kandinskij
Matematica: l'utilizzo del pensiero visivo nella risoluzione di un problema
Fisica e astrofisica: i diagrammi
Astronomia: le costellazioni
La lezione sulla visibilità si apre con una splendida citazione di Dante che si
interroga sulla natura e provenienza dell’immaginazione.
Poi piovve dentro a l’alta fantasia”
(Purgatorio, Canto XVII, v. 25)
Siamo nel Purgatorio, nel girone degli iracondi e Dante sta contemplando
delle immagini che si formano direttamente nella sua mente, e che
rappresentano esempi classici e biblici di ira punita (Progne trasformata in
usignolo dagli dei, la crocefissione di Aman, ministro del re persiano Assuero;
Lavinia che piange la madre Amata impiccatasi per aver creduto che la figlia
dovesse sposare Enea). Dante capisce che queste immagini piovono dal cielo,
cioè è Dio che gliele manda.
Infatti scrive:
O imaginativa che ne rube O potenza dell’immaginazione che
talvolta sì di fuor,ch'om non s'accorge talvolta ci sottrai al mondo esteriore, a
perché dintorno suonin mille tube, tal punto che non ce se ne accorge anche
se intorno suonassero mille trombe, chi ti
chi move te, se 'l senso non ti porge? fa agire se i sensi non ti porgono la
Moveti lume che nel ciel s'informa sollecitazione a operare? Ti muove una
per sé o per voler che giù lo scorge. luce che prende forma dal cielo, o per
forza naturale o per volere di Dio che la
guida sulla terra.
Secondo Dante, spiega Calvino, c’è una sorgente luminosa che sta in cielo e
trasmette le immagini ideali, formate o secondo la logica intrinseca del
mondo immaginario (“per sé”) o secondo il volere di Dio (“o per voler che giù
lo scorge”). Dante sta parlando delle visioni che si presentano a lui (al
personaggio Dante) quasi come proiezioni cinematografiche che giungono dal
mondo ultraterreno. Ma per Dante poeta, tutto il viaggio del personaggio
Dante è come queste visioni; il poeta deve immaginare visualmente tanto ciò
che il suo personaggio vede, quanto ciò che crede di vedere, o che sta
sognando, o che ricorda, o che vede rappresentato, o che gli viene raccontato,
così come deve immaginare il contenuto visuale delle metafore di cui si serve
per facilitare questa evocazione visiva.
Questo “cinema mentale”è sempre in funzione in tutti noi, -e lo è sempre stato,
anche prima dell’invenzione del cinema- e non cessa mai di proiettare immagini
alla nostra vista interiore. (dalla lezione americana sulla Visibilità di I.Calvino) 3
La Divina Commedia illustrata
La ricchezza di scene, personaggi, avventure della Divina Commedia ha
attratto e ispirato artisti figurativi di epoche e aree diverse.
A partire dai primi manoscritti miniati, fra Tre e Quattrocento, vennero via via
realizzati veri e propri cicli illustrativi che, generalmente, rappresentavano in
singole immagini più momenti successivi del racconto, secondo il metodo
della narrazione continua.
Sul finire del Quattrocento la Commedia godette di una grande fortuna e nel
1481 apparve un’edizione del poema, a Firenze, con le illustrazioni di Sandro
Botticelli. Il progetto, commissionato da Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici,
cugino di Lorenzo il Magnifico, prevedeva un’immagine per canto ma rimase
incompiuto. La particolarità dei disegni che ci sono pervenuti è la capacità di
Botticelli di rendere in maniera appropriata la diversa, e sempre crescente,
dignità della materia trattata: differenziò stilisticamente i disegni relativi ad
ogni cantica, proprio come Dante aveva fatto per la scrittura. Nel Paradiso
infatti i disegni vengono privati della varietà che caratterizza quelli per le altre
due cantiche, e Botticelli li incentra sulle figure di Dante e Beatrice, inseriti in
ambienti essenziali e molto simili tra loro.
Nel Seicento Federico Zuccari, pittore, architetto e trattatista d’arte, eseguì una
Divina Commedia
delle più interessanti e fedeli illustrazioni della . Nelle sue
tavole, di piccole dimensioni, ci sono figure stilizzate, prive di caratterizzazione
individuale. Eppure il pittore riuscì ad adeguare con singolare abilità tecnica lo
Inferno
stile dei disegni all’atmosfera morale e al carattere di ogni cantica. Nell’
i toni sono cupi, la gestualità dei dannati è violenta e scomposta, e gli scenari
sono sinistri, con architetture ornate da teschi e ossa. Per la realizzazione di
deux crayon
questi disegni, l’artista adottò la tecnica a , in cui sono combinate
la matita nera e quella rossa (sanguigna), quest’ultima utilizzata per le figure,
le fiamme, il sangue, il riverbero dei fuochi sulle rocce degli sfondi.
Purgatorio
Nelle illustrazioni del , invece, i toni si fanno più lievi e delicati,
l’artista eseguì i disegni a penna e li completò con pennellate di bistro
(inchiostro marrone) per rendere più efficaci gli effetti di luce e di volume,
come per gli “esempi” in rilievo sulle pareti e sul pavimento.
Seguono le ultime undici tavole del Paradiso, in cui Zuccari riuscì a rendere il
progressivo aumento della luce divina graduando in modo efficace l’intensità
del segno della penna e della matita rossa. Tale luce viene irradiata
dall’Empireo agli altri cieli attraverso le nove gerarchie angeliche, ciascuna 4
delle quali presiede un cielo. Da un astro all’altro, come riflettendosi in tanti
specchi, la luce raggiunge la terra. Si hanno numerose gradazioni di luce man
mano che ci si allontana dalla sorgente principale, quindi ogni creatura
partecipa alla natura del creatore ma non nella stessa misura.
Se Federico Zuccari riuscì a comunicare visivamente questi ed altri contenuti
teologici del poema, fu certamente per la sua abilità tecnica, ma ricordiamo
che Zuccari, più di tanti artisti prima e dopo di lui, aveva optato per
un’adesione letterale al testo. Insomma, se non fosse stato per la capacità di
visibile
Dante di rendere ciò che scriveva, probabilmente i suoi disegni non
sarebbero quelli che sono.
La tecnica narrativa di Dante consiste nell’adottare, nella maggior parte dei
casi, il punto di vista di Dante personaggio, che è del tutto ignaro di cosa
potrebbe capitargli da un momento all’altro. Pertanto anche il lettore resta
all’oscuro, e scopre le cose man mano che si rivelano alla vista del
vedesse
personaggio, è come se insieme a lui.
Un affascinante esempio a questo proposito è
l’arrivo della navicella con le anime sulla
spiaggia del Purgatorio, nel canto II. Tutta la
sequenza è presentata attraverso il punto di
vista di Dante, che non sa ancora di che cosa
si tratti, e lo viene scoprendo a poco a poco.
L’occhio di Dante vede una luce avanzare
rapidissima sulla superficie delle acque. Il
narratore non ci dice subito che cosa sia.
L’immagine si precisa al lettore man mano che
l’occhio del personaggio distingue meglio i
particolari: ai lati e sotto la luce appare
qualcosa di bianco, ancora indistinto, poi
questo biancore si specifica come due ali,
successivamente Dante e Virgilio riconoscono il volto luminosissimo di un
angelo; infine riescono a distinguere il “vassello snelletto e leggero” che egli
conduce. Il procedimento in questione è molto più frequente nelle prime due
Paradiso
cantiche ma non è assente neppure nel , in cui la struttura narrativa
resta pur sempre alla base di tutto, nonostante gli ampi passi di discussione
dottrinale o di descrizione visionaria. Un effetto simile si verifica nel canto III,
nel cielo della Luna. 5
Le immagini nel cielo della Luna
Nel III canto del Paradiso sono presentate le anime che, forzate dalla volontà
altrui, vennero meno ai voti. Dante leva il capo e si rivolge a Beatrice, resa
Quel sol che pria d’amor mi scaldò il petto
attraverso la metafora del sole ( ), luce
di verità, e le dichiara di essere stato convinto dalla sua spiegazione delle
macchie lunari. Poi alle parole subentrano le immagini.
Quali per vetri trasparenti e tersi, Come attraverso i vetri trasparenti e
puliti, oppure attraverso acque
o ver per acque nitide e tranquille,
non sì profonde che i fondi sien persi, limpide e calme, non così profonde
12 che il fondo sia scuro, vengono
tornan d’i nostri visi le postille riflessi i lineamenti dei nostri volti,
debili sì, che perla in bianca fronte così tenui che una perla su di una
non vien men forte a le nostre pupille; fronte bianca non risalta più ai nostri
15 occhi, così vidi io alcune facce
disposte a parlare; per cui io caddi
tali vid’io più facce a parlar pronte; nell’errore contrario a quello che
per ch’io dentro a l’error contrario corsi fece innamorare Narciso della
a quel ch’accese amor tra l’omo e ’l fonte. 18 propria immagine riflessa nella
fontana, scambiandola per quella di
Sùbito sì com’io di lor m’accorsi, un uomo. Non appena mi accorsi di
quelle stimando specchiati sembianti, loro, ritenendole immagini riflesse,
per veder di cui fosser, li occhi torsi; 21 volsi gli occhi indietro per vedere chi
fossero; ma non vidi nulla, e li rivolsi
e nulla vidi, e ritorsili avanti in avanti fissando gli occhi di
dritti nel lume de la dolce guida, Beatrice, mia dolce guida, la quale,
che, sorridendo, ardea ne li occhi santi. 24 sorridendo, risplendeva negli occhi
santi.
Secondo la tecnica cinematografica della dissolvenza, analoga a quella usata
nel secondo canto del Purgatorio, sono materializzati i volti, tenui, quasi
sbiaditi.
La resa di questa realtà sostanzialmente incorporea, avviene con tre
similitudini consecutive e realisticamente riconducibili alla vita quotidiana. Le
prime due sono incentrate sul motivo dello specchiarsi, nei vetri nitidi o nelle
acque limpide, dei lineamenti del volto o “postille” (audace e ricercata
metafora che indica le note a margine in un manoscritto e quindi i suoi
contorni o limiti); la seconda che riconduce a un aspetto della vita mondana,
quello degli ornamenti femminili del tempo, delle perle portate sulla fronte
che doveva essere più bianca possibile. L’evanescenza di quei volti, la loro 6
inconsistenza e immaterialità portano Dante a voltarsi all’improvviso, in
quanto le crede immagini riflesse. A Dante accade il contrario di quanto era
avvenuto a Narciso, quando, specchiandosi nell’acqua di una fontana,
s’innamorò dell’affascinante immagine riflessa, credendola vera e appartenente
ad un altro. Questo errore è dovuto al fatto che l’intelletto non è ancora in
grado di raggiungere la verità da solo.
Il poeta chiede il nome e la condizione, sua e dei suoi compagni, all'anima
che più si mostra desiderosa di parlare. Si tratta di Piccarda Donati, sorella
dell’amico di Dante, Forese, che in vita era stata una monaca.
Dante vuole subito sapere se i beati che si trovano in questo cielo, il più
lontano dall'Empireo, desiderano poter salire più in alto per avvicinarsi a Dio.
La monaca risponde dicendo che in Paradiso le anime desiderano soltanto ciò
che già hanno e per questo non sentono bisogno di altro. La loro felicità
consiste in un totale adeguamento a quella che è la volontà di Dio. Il
desiderare un'altra posizione in cielo sarebbe in contrasto con il desiderio
divino, mentre la loro beatitudine presuppone un desiderio comune,
condiviso.
Chiaro mi fu allor come ogne dove Allora mi fu chiaro come ogni parte del
in cielo è paradiso, etsi la grazia cielo è luogo di beatitudine, sebbene la
del sommo ben d’un modo non vi piove. grazia divina non sia dispensata in uguale
90 misura. Ma come accadde, se siamo sazi
Ma sì com’elli avvien, s’un cibo sazia di un cibo e di un altro rimane ancora la
e d’un altro rimane ancor la gola, voglia, per cui si richiede quest’ultimo e si
che quel si chere e di quel si ringrazia, 93 ringrazia dell’altro, così feci io con gesti e
con parole, per sapere da lei quale fu la
così fec’io con atto e con parola, tela che non aveva finito di tessere
per apprender da lei qual fu la tela
onde non trasse infino a co la spuola. 96
Nuovamente, con due concrete metafore, l’una presa dal cibo, l’altra
dall’ambito domestico della tessitura, Dante chiede ulteriori particolari sui
motivi che impedirono Piccarda di adempiere al voto di monaca. Le due
metafore hanno anche lo scopo di indirizzarci gradualmente all’ambito della
vita terrena, a cui farà riferimento la donna nella successiva risposta. Nelle