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Matematica: il concetto di infinito (l'integrale e i limiti)
Fisica: gli elettroni e la meccanica quantistica
Storia: i totalitarismi (nazismo, fascismo, comunismo sovietico)
Latino: Seneca (lo stoicismo); Terenzio (l'humanitas)
Inglese: George Orwell (1984)
Italiano: Italo Svevo (la sanità); Eugenio Montale; Giacomo Leopardi; Dante Alighieri.
esprime tale area viene chiamato integrale della funzione esteso
all'intervallo . Se il grafico della funzione è costituito da uno o più
segmenti, il problema si risolve facilmente, poiché la figura si può
scomporre in rettangoli o trapezi, di cui sappiamo definire e
calcolare le aree: la somma algebrica di tali aree è – per definizione
– l'integrale cercato. Nel caso generale, l'idea di base consiste nel
suddividere la figura in sottili strisce verticali, che siano assimilabili
a rettangoli: calcolando l'area di ciascun rettangolino e sommando i
risultati così ottenuti, si può ritenere di avere un'approssimazione
del numero che cerchiamo. Il calcolo integrale non è quindi che un
esempio di calcolo infinitesimale: si può infatti dire che l’area è
tanto più precisa quanto più è elevato il numero dei rettangolini (e
quindi quanto più essi sono piccoli), il cui numero tende quindi a
infinito. A questo proposito il tedesco Bernhard Riemann definì
l’integrale in un intervallo limitato chiuso [a;b] di una funzione f(t)
proprio come il limite della sommatoria delle aree dei rettangoli di
ampiezza (b-a)/n e di altezza f(t), per n (il loro numero) che tende a
infinito; cioè:
Da questa formula emerge un altro concetto matematico che
nell’ottocento ebbe un’estrema fortuna nel campo dell’analisi di
funzioni e che può riuscire ad aggirare i problemi riguardo a infiniti
e infinitesimi che abbiamo incontrato fino ad ora: quello di limite.
Infatti, invece di analizzare i singoli punti di una funzione, si prende
δ(ε)
in considerazione un intorno sulle ascisse che racchiude quel
ε
punto (quindi si ammette un errore sulle ordinate) e poi si cerca di
δ
ridurre sempre più quell’errore fino ad arrivare a un valore
accettabile. É un po’ come cercare di volgere a nostro favore il
paradosso di Zenone. La formula generale del limite è del tipo:
Un tentativo di vera e propria matematica dell’infinito si ha però con
Georg Cantor, russo di nascita ma di nazionalità tedesca. In breve,
egli sosteneva che fossero misurabili anche gli insiemi infiniti: essi
sono quelli in cui non è vero che il tutto è maggiore di una sua
parte. Quindi secondo Cantor si possono costruire delle gerarchie di
infiniti, che distingue tra numerabili e reali. Un altra teoria sempre
riguardante insiemi infiniti ritiene che se si possono mettere in
corrispondenza biunivoca tutti gli elementi di due insiemi allora
questi sono uguali: ad esempio l'insieme N dei numeri naturali può
porsi in corrispondenza biunivoca con il suo sottoinsieme costituito
dai soli numeri pari perchè
possiamo associare ad ogni numero il suo doppio stabilendo la
corrispondenza voluta di tipo 2n:
b 0 0, 1 2, 2 4, 3 6, ...
↔ ↔ ↔ ↔
Lasciamo qui la matematica per sviluppare un altro campo in cui,
soprattutto nell’ultimo secolo, l’uomo ha dimostrato di volersi
spingere fino ai limiti della conoscenza. La fisica può essere
considerata, soprattutto dopo le innovazioni apportate da
personalità eccelse come Galilei, la scienza naturale per eccellenza.
Nel corso della storia di questa attività si devono riconoscere quindi
almeno due grandi “rivoluzioni”: prima di tutto quella, già
accennata, avvenuta nel corso del XVII secolo grazie all’operato, per
citarne alcuni, del pisano Galileo Galilei e dell’inglese Sir Isaac
Newton. Essa si può considerare il trionfo del metodo scientifico e
vide la realizzazione di numerosissime scoperte in tutti i campi
delle scienze naturali. Dunque, fino agli inizi del XX secolo, la “fisica
classica” era considerata uno dei pochi “paradigmi” scientifici, per
usare un termine kuhniano, che non potesse essere confutato.
Eppure, come tutti sappiamo, gli studi di un celeberrimo e bizzarro
ragazzo di Ulma rivoluzionarono per sempre il modo di concepire la
fisica e il mondo stesso. Non a caso ho usato il termine ragazzo:
Albert Einstein aveva appena ventisei anni quando pubblicò la sua
teoria della relatività generale, oltre a degli studi sulla meccanica
quantistica che sempre in quegli anni stava sviluppandosi
notevolmente grazie agli studi di Niels Bohr e Max Planck. Benchè
sia la relatività che la teoria dei quanti dimostrino dove l’uomo può
arrivare col ragionamento, in questa sezione mi fermerò
brevemente su quest’ultima, che arriva a studiare dei fenomeni che
si svolgono a un livello infinitamente piccolo, ma che possono avere
conseguenze macroscopiche notevoli. Prima di parlare dei quanti è
necessario definire la particella atomica elementare: l’elettrone
(anche se oggi è provato che esistano particelle ancora più piccole,
i quark). La scoperta della natura subatomica di questa particella si
deve all’inglese J.J.Thomson all'interno del Laboratorio Cavendish
dell'Università di Cambridge, mentre svolgeva esperimenti sul tubo
catodico. La scoperta di un corpuscolo di dimensioni microscopiche
e di carica negativa era già stata effettuata qualche anno prima,
ancora tramite gli esperimenti sui raggi catodici: Thomson tuttavia
riuscì a trovare il rapporto tra la carica e la massa dell’elettrone.
Egli utilizzò un tubo a vuoto in cui gli elettroni sono emessi per
effetto termoionico dovuto al riscaldamento di un filamento:
essi vengono accelerati per mezzo di una differenza di potenziale
verso l’anodo che ne lascia passare un fascio piuttosto sottile.
Successivamente, dopo aver attraversato la regione di piano
compresa tra le due piastre metalliche che formano un
condensatore, colpiscono uno schermo fluorescente lasciando come
immagine un puntino luminoso. Grazie alle leggi del moto
parabolico e rettilineo uniforme e all’uso di un campo magnetico per
correggere la deviazione del fascio e quindi per trovare la velocità
degli elettroni, Thomson riuscì a calcolare la deflessione sullo
schermo e quindi a trovare il valore del rapporto e/m. Quasi
quindici anni dopo, lo statunitense Robert Millikan completò, per
così dire gli studi di Thomson riuscendo a trovare la carica e, di
conseguenza, la massa dell’elettrone. Il dispositivo sperimentale
utilizzato per raggiungere questo scopo è essenzialmente un
condensatore, tra le cui piastre sono spruzzate, per mezzo di un
polverizzatore, delle piccolissime gocce d’olio. Mentre si formano, le
gocce si caricano per strofinio, positivamente o negativamente a
seconda che perdano o acquistino elettroni.
In assenza di campo elettrico una goccia è soggetta all’azione della
forza peso e della forza di attrito viscoso che ne contrasta la caduta.
Dopo un certo intervallo di tempo la goccia raggiunge una
condizione di regime caratterizzata da una velocità di caduta
costante: eguagliando le due forze si può determinare il raggio della
goccia e quindi risalire alla sua massa. Applicando poi alle armature
una differenza di potenziale si può regolare il campo elettrico in
modo che la goccia si fermi sospesa a mezz’aria. Dall’eguaglianza
tra forza peso e forza elettrica, si può risalire alla carica assunta
dalla goccia. Millikan notò che i valori delle cariche associate ai
corpuscoli erano tutti multipli interi di una quantità minima
e=1,602*10^-19 Coulomb. I risultati di questo esperimento
rappresentano una prova decisiva del fatto che la carica elettrica
sia quantizzata. Ma cosa vuol dire il termine
“quanto”? Per quanto riguarda appunto la meccanica quantistica si
chiama quanto una quantità discreta ed indivisibile di una certa
grandezza. La meccanica quantistica, dunque, riunisce un
complesso di teorie fisiche formulate nella prima metà del XX
secolo che descrivono il comportamento della materia a livello
microscopico, a scale di lunghezza inferiori o dell'ordine di quelle
dell'atomo o ad energie nella scala delle interazioni interatomiche,
dove cadono le ipotesi alla base della meccanica classica. Essa
permette di interpretare e quantificare fenomeni che, nell'opinione
della maggior parte dei fisici contemporanei, non possono essere
giustificati dalla meccanica classica, le cui previsioni sono in questi
casi in completo disaccordo con i risultati sperimentali. Una delle
principali peculiarità della meccanica quantistica è data dal fatto
che in essa lo stato e l'evoluzione di un sistema fisico vengano
descritti in maniera intrinsecamente probabilistica. Uno degli effetti
più famosi che questo nuovo concetto di probabilità racchiude è
dato dal cosiddetto principio di indeterminazione di Heisenberg:
esistono coppie di variabili (tra loro non compatibili), come
posizione e impulso di una particella, il cui valore non può essere in
linea di principio conosciuto simultaneamente con precisione
arbitraria. La meccanica quantistica elimina anche la distinzione tra
particelle e onde che aveva caratterizzato la fisica del XIX secolo.
Da un lato, infatti, l'evoluzione temporale di un sistema quantistico
è un'evoluzione deterministica con fasi oscillanti — il carattere
ondulatorio — di una distribuzione di probabilità; dall'altro, la
risposta alla misura di un'osservabile per un sistema quantistico si
presenta in maniera definibile — il carattere corpuscolare. Così, ad
esempio, l'evoluzione temporale non solo di un fascio luminoso ma
anche di un fascio di elettroni, o addirittura di un solo elettrone,
presenta le caratteristiche tipiche delle onde (fenomeni di
interferenza e diffrazione). Ma allo stesso tempo, all'atto della
misura non si ottiene un flusso continuo bensì una sequenza di
quanti, sia per gli elettroni, che non risultano dunque diffusi in tutto
lo spazio come la propria distribuzione di probabilità ondulatoria, e
sia per i “fotoni” (così sono chiamati i quanti di energia trasportati
dalla luce). A questa doppia natura ci si riferisce con l'espressione
dualismo onda-corpuscolo, in cui i due aspetti sembrano essere in
irriducibile contraddizione fra loro; inoltre spesso, proprio per questo
motivo, si ricorre ad una visualizzazione del comportamento di una
particella in termini di “funzione d'onda”. Fin qui ci si è riferiti
all’interpretazione della meccanica quantistica di “Copenaghen”,
ovvero la posizione degli studiosi come Bohr ed Heisenberg che
difendono lo strumentalismo della teoria: secondo loro non si può
dare portata ontologica ai termini teorici della scienza e quindi non
esiste accanto agli oggetti “classici” un mondo di oggetti
“quantistici”; è più corretto dire che si dà una descrizione
quantistica che ci permette di intendere un determinato fenomeno
macroscopico in relazione ad un apparato sperimentale di misura
macroscopico, descritto per definizione dai concetti della fisica
classica. A questa posizione si oppone quella realistica, difesa da
Einstein e altri studiosi, che nega la completezza della meccanica
quantistica in difesa di un realismo a cui non si può rinunciare. La
teoria dei quanti oggi spazia su numerosissimi campi: ad esempio in
chimica è utile per lo studio dei modelli atomici, poiché gli elettroni
di un atomo possono trovarsi solo in certi livelli di energia
quantizzata; essa poi, come già accennato, permette di dimostrare
la natura ondulatoria della luce e di osservare il trasporto di energia
da parte di essa tramite i fotoni, studi che hanno importanti
conseguenze, ad esempio, in astronomia.
Prima di concludere questo breve percorso nei meandri delle
scienze mi sembra significativo citare un passo di uno studioso e
scrittore statunitense Bill Bryson, tratto dall’introduzione del suo
«Non
libro “Breve storia di (quasi) tutto”: dubitai nemmeno per un
istante della correttezza dell’informazione –sono uno ancora incline
a credere alle affermazioni degli scienziati […]- però proprio non
riuscivo a concepire come avesse fatto una mente umana a stabilire
l’aspetto e la composizione di spazi che nessun occhio umano ha
mai visto e che nessun raggio X potrà mai penetrare. Per me era un
vero miracolo. E tale è rimasta la mia posizione nei confronti della
scienza.» In questa affermazione è possibile ritrovare il necessario
stupore che ognuno di noi, in modo più o meno forte, non può che
provare di fronte alle capacità dell’uomo: ed è il terrore, la paura, la