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“Ho scalato le più alte montagne le mura di cinta

Ho superato i campi correndo Solo per stare con te

Solo per stare con te, Ma non ho ancora trovato

Solo per stare con te Quello che sto cercando

Sono scappato, ho strisciato Ma non ho ancora trovato

Ho superato le mura di questa città, quello che sto cercando”

“Desiderio,

Désir ! ti ho trascinato per le strade,

je t’ai traîné sur les routes , ti ho desolato nei campi,

je t’ai désolé dans les champs , ti ho ubriacato nelle città,

je t’ai soûlé dans les grand’villes , ti ho ubriacato senza dissetarti,

je t’ai soûlé sans te désaltérer , ti ho bagnato nelle notti piene di luna,

je t’ai baigné dans les nuits pleines de lune , ti ho portato in giro ovunque,

je t’ai promené partout , ti ho cullato sulle onde,

je t’ai bercé sur les vagues , ho voluto addormentarti sui flutti,

j’ai voulu t’endormir sur les flots… desiderio, desiderio che vuoi dunque?

Désir ! Désir ! que te ferai-je ? Quando ti stancherai?”

que veux-tu donc ? (Gide, Les nourritures terrestres)

Est-ce que tu ne te lasseras pas ?

La tensione all’infinito

-

L’impossibilità di delineare a che cosa l’uomo

realmente aspiri, cioè l’impossibilità di definire tutto

il desiderio che lo costituisce, coincide con la pretesa

infinita che si cela nel desiderio umano.

L’uomo, pur essendo un essere finito e limitato,

possiede questa naturale tendenza all’infinito,

poiché la realizzazione di questo o quel desiderio

non basta mai a soddisfarlo pienamente.

Questo concetto è stato reso in maniera splendida da

uno dei più grandi letterati italiani, Giacomo

Leopardi, vissuto tra il 1798 e il 1837: in questo brano

e nullità

emerge la consapevolezza della “insufficienza

delle cose” nostro”

rispetto a “l’animo e quindi della

loro piccolezza rispetto all’infinità del desiderio:

“Il non poter essere soddisfatto da alcuna cosa, né, per dir così, dalla terra intera; considerare l’ampiezza

inestimabile dello spazio, il numero e la mole meravigliosa dei mondi, e trovare che tutto è poco e piccino alla

capacità dell’animo proprio; immaginarsi il numero dei mondi infinito, e l’universo infinito, e sentire che

l’animo e il desiderio nostro sarebbe ancora più grande che sì fatto universo; e sempre accusare le cose

d’insufficienza e di nullità, e patire mancamento e voto, e però noia, pare a me il maggior segno di grandezza

e di nobiltà, che si vegga della natura umana.”

(Giacomo Leopardi, “Pensieri” LXVIII) 5

Alcune documentazioni ancora provenienti dalla musica leggera evidenziano inoltre come il

desiderio dell’amore sia ultimamente inappagabile:

“Tu tu non mi basti mai /davvero non mi basti mai/ tu tu dolce terra mia / dove non sono stato mai”. (Lucio

Dalla, Tu non mi basti mai)

“E dietro ai microfoni porteranno uno specchio per farti più bella e pensarmi già vecchio tu regalagli un

trucco che con me non portavi e loro si stupiranno che tu non mi bastavi.” (Fabrizio De André, “Verranno a

chiederti del nostro amore”)

La ricerca dell’infinito è, secondo Pavese, (1908 – 1950) persino dentro l’esperienza del piacere:

“Quello che l’uomo cerca nel piacere è un infinito e nessuno rinuncerebbe mai alla speranza di raggiungere

questo infinito”

(Cesare Pavese, da “ Il mestiere di vivere”)

- L’insoddisfazione

Questa tensione all’infinito è proprio ciò che determina l’eterna insoddisfazione dell’uomo, poiché

niente e nessuno sembra soddisfarlo totalmente e in maniera definitiva, e poiché nell’uomo ciò che

Schopenhauer definisce come la Volontà è più cosciente, egli risulta il più bisognoso e mancante

degli esseri.

Lo stesso concetto veniva affermato dal filosofo Pascal (1623 – 1662) centocinquant’anni anni

prima:

“L’uomo è una canna pensante, cioè una canna che può essere spezzata in ogni attimo dall’universo, ma che

ha su di esso un vantaggio: è consapevole della propria fragilità, mentre l’universo non sa niente”

(Blaise Pascal, “Pensieri”)

E ancora:

“Chi scioglierà questo garbuglio?”

Significativo, in riferimento all’insoddisfazione, è

anche questo bellissimo dialogo fra Caligola ed

Elicone:

Caligola: era difficile da trovare.

Elicone: che cosa?

Caligola: ciò che volevo.

Elicone: e cosa volevi?

Caligola: la luna…

Elicone: che?

Caligola: la luna. Sì. Volevo la luna

Elicone: ah, per fare che cosa?

Caligola: …sì,

è una delle cose che non ho…

d'accordo. Ma non sono pazzo e posso dire perfino di non essere mai stato così ragionevole

come ora... Semplicemente mi sono sentito all'improvviso un bisogno dì impossibile... Le cose

così come sono non mi sembrano soddisfacenti.

Da “Caligola” di Camus 6

- L’esigenza di significato

Di fronte a questa insoddisfazione infinita, l’inquietudine diventa il riverbero esistenziale che la

mancanza di una risposta provoca nell’animo umano cosciente e sensibile. Manifestazione

dell’inquietudine è quindi innanzitutto la ricerca di un senso per la vita, la ricerca di risposte stabili

al desiderio di significato.

L’essere umano si esprime infatti esaurientemente in domande esistenziali: “che senso ha la

vita?”,”perché io esisto?”,”per che cosa vale la pena vivere?”. Spesso queste domande affiorano

più impetuosamente a seguito di esperienze di dolore personale o di avvenimenti tragici nella

storia che inducono l’uomo a riflettere sul senso del dolore stesso e dell’esistenza. È E’ il caso

dell’uomo del Novecento che, a causa della terribile esperienza delle due guerre mondiali e

sprovvisto di qualsiasi certezza, manifesta l’urgente bisogno di una risposta alla questione della

vita. Non solo il dolore, ma anche lo stupore di fronte ad una bellezza evidente, può provocare

dentro di noi queste domande profonde ; per esempio la bellezza della natura, come la vista di un

tramonto o del cielo stellato: è il caso di Leopardi che, ammirando le stelle, si domanda il

significato dell’esistenza:

“E quando miro in cielo arder le stelle dico fra me pensando, a che tante facelle? Che fa l’aere infinito e quel

profondo infinito seren? Che vuol dire questa solitudine immensa? ...ed io che sono?”

(Leopardi, “Canto notturno di un pastore errante dell’Asia")

L’inquietudine è a livello di queste domande, che esigono una risposta totale, cioè una risposta che

esaurisca tutto il desiderio dell’uomo di dare un significato alla propria vita.

Infatti, una delle correnti filosofiche che ha maggiormente inciso nel periodo fra le due guerre

mondiali e negli anni immediatamente successivi al secondo conflitto bellico, è quella

dell’Esistenzialismo. Molti filosofi tedeschi come Kierkegaard, Husserl e Heidegger, principali

esponenti di questa corrente, si concentrano sul tema centrale della riflessione circa l’esistenza,

come modo di essere proprio dell’uomo. Egli è considerato un essere in preda all’angoscia, poiché

incapace di trovare un principio razionale alla sua vita nel mondo.

A’ l’origine le mouvement existentialiste est d’abord philosophique, mais il se trasforme aussi dans

un mouvement littéraire et sociale. En

France, deux grands auteurs, philosophes

de formation, s’engagent dans la réflexion

sur l’existence : le marxiste athée Jean Paul

Sartre (1905-1980) et le moraliste

agnostique Albert Camus (1913-1960)

mettent en lumière la notion d’existence

pure et simple, dont le sentiment est

précisément celui de l’angoisse, qui naît au

moment où l’homme prend conscience de

l’absurdité de son existence. En effet la

parenté de situation est évidente :

lendemains de conflits internationaux d’une exceptionnelle violence, crise des valeurs et des

idéologies, crises des individus devant le sens et l’ordre d’un monde qui devient de plus en plus

terrible.

“L’existence est absurde, sans raison, sans cause, sans nécessité”, et le Néant.

écrivait Sartre dans l’Etre

7

Alors comment comment faire face à la tragicité de l’existence en n’ayant pas des points de repère

deux certitudes que je sais que je ne puis concilier: mon appétit

sur lesquelles construir la vie? “Ces

d’absolus et d’unité, et l’irréductibilité de ce monde à un principe rationnel et raisonnable” (Le Mythe de

Sisyphe).

SECONDA PARTE

POSIZIONI UMANE RISPETTO ALL’INQUIETUDINE

Di fronte a questa continua tensione dell’uomo, che instancabilmente desidera e cerca una risposta

all’inquietudine, il soggetto umano, nel corso della storia e naturalmente ancora oggi, ha reagito e

continua a reagire prendendo una posizione.

Occorre però dire che, così come sono vaste ed estese le esigenze ed evidenze originarie dell’uomo,

altrettanto vasto ed esteso è il “campo d’azione” dell’uomo che tenta di rispondere

all’inquietudine: per questo motivo le posizioni filosofiche o letterarie, e non solo, prese in

considerazione in questa seconda parte non sono che alcune, scelte nell’immensità delle possibilità

umane.

SCHOPENHAUER: LE VIE DI LIBERAZIONE

Il pessimismo radicale di Schopenhauer, che deriva dalla constatazione che essere = dolore, in

quanto l’universo è solo Volontà inappagata, conduce il filosofo a porre come unico rimedio al

dolore la soppressione della Volontà di vivere. Egli delinea quindi le cosiddette vie di liberazione

dal dolore, varie tappe attraverso cui l’uomo cerca di liberarsi della Volontà e che si identificano

con l’arte, la morale e l’ascesi; quest’ultima costituisce il traguardo della liberazione totale.

L’ascesi è l’esperienza per la quale l’individuo, cessando di volere la vita ed il volere stesso, si

la parola ascesi... io

propone di estirpare il proprio desiderio di esistere, di godere e di volere: “con

intendo il deliberato infrangimento della volontà, mediante l’astensione dal piacevole e la ricerca dello

spiacevole(…), per la continua mortificazione della volontà”.

Questa tragica soluzione è quindi tesa ad annientare tutto il desiderio costitutivo dell’uomo, tutta

la volontà potremmo dire che la posizione del filosofo rispetto all’inquietudine consiste

ultimamente nella sua eliminazione. Infatti la presa di coscienza del dolore come essenza del

quietivo

mondo non è un motivo, ma al contrario un del volere; l’uomo cerca di liberarsi da questa

inquietudine proprio per raggiungere uno stato di quiete, quiete dal desiderio, dal dolore,

dall’insoddisfazione. Per Schopenhauer questo stato di quiete coincide con il Nirvana buddista,

che è l’esperienza del nulla. 8

NIETZSCHE: IL SUPERUOMO

Uno dei filosofi che forse ha maggiormente influenzato il pensiero del Novecento, è Friedrich

Nietzsche (1844 – 1900). Egli rappresenta infatti la posizione filosofica inquieta per eccellenza, quel

portarsi appresso l’inquietudine che si raggiunge decretando la morte di Dio.

“A libere altezze vuoi ascendere, di stelle ha sete l’anima tua” (Nietzsche, Così parlò Zarathustra, pag. 32)

“Dite dove si trova la giustizia che è amore con occhi veggenti? Inventatemi dunque l’amore che non porta

su di sé soltanto il castigo, ma tutta la colpa. Inventatemi dunque la giustizia che assolve ognuno, tolto il

giudicante! (…) Ma come potrei essere giusto fino in fondo!” (pag. 54)

Il Nietzsche desideroso di infinito, di amore e di giustizia, non è conosciuto, ma forse a generare

l’inquietudine è proprio il fatto di non aver trovato una risposta a questo grido, che porta il grande

filosofo a tentare di creare una nuova visione della realtà e dell’uomo: a seguito dell’annuncio della

morte di Dio, l’essere umano cade nel nichilismo (passivo), la specifica condizione dell’uomo

moderno che, non credendo più in un senso o scopo metafisico delle cose e nei valori del passato,

finisce per avvertire di fronte all’essere lo sgomento del vuoto.

Al nichilismo passivo Nietzsche antepone un nichilismo attivo, che diventa possibile con la nascita

di un nuovo essere ideale, il Superuomo: egli è colui che è in grado di accettare la morte di Dio e di

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