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Storia dell'arte: Gustav Klimt
Storia: Adolf Hitler (la seconda guerra mondiale)
Inglese: Samuel Beckett
Geografia: l'area Caraibica
Psicologia: i bisogni e le motivazioni
Economia aziendale: la concorrenza (marketing)
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10 I SETTE PECCATI CAPITALI
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S.
A. Premessa
Ho voluto prediligere un tema molto attuale per presentare la mia
tesina.
La scelta dell’argomento è nata dalla consapevolezza che siamo tutti
vittime o carnefici dei sette peccati capitali,
ma per noi peccare è diventata quotidianità, abitudine e non ci
facciamo caso né tanto meno poi l’ammettiamo!
Nella società moderna, spesso l'uomo si sente protagonista del mondo,
invincibile, non accorgendosi che in realtà è solo una pedina, L'uomo
tende a puntare il dito sugli altri prima che a se stesso, accusando e
condannando.
Il peccato nasce quindi nelle convinzioni sbagliate che l’uomo
considera e accetta come giuste.
Se ci si riflette un po', ci accorgeremo tutti che almeno una volta
abbiamo peccato nel sentirci non adatti né preparati al ritmo
incessante che la vita impone, nel non saper resistere a quel dolce che
sembra chiamarci da dietro una vetrina, nel restare impigliati nella
trappola dei piaceri del corpo, a tutti sarà capitato di invidiare
qualcuno non per quello che l'altro possiede ma nel non avere ciò che
l'altro ha, quante volte ci sentiamo superiori non rendendoci conto che
nessuno è inferiore e quanti non hanno mai perso il controllo lasciando
spazio alla rabbia o hanno preferito tenere chiuso il portafogli…
I seguenti collegamenti chiariranno ogni dubbio sull’ argomento
sopraccitato… 2
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S.
A. Italiano
Avarizia: Mastro don Storia dell’arte
Gesualdo / Giovanni
Geografia I sette peccati
Verga Lussuria: Gustav
Ira: la natura si klimt e la pittura
scatena (terremoto capitali lussuriosa
nell’area caraibica) Giuditta I e II 3
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S.
A. INGLESE
Accidia: samuel Storia
Barclay beckett Superbia:
Economia Aziendale Adolf Hitler
Invidia: Concorrenza Seconda
(Analisi) - Marketing guerra
mondiale
Tecniche di
comunicazione e
relazione
Gola: Bisogni e
motivazione
Eccessivo desiderio di
non spendere
Che cos’è?
L'avarizia è la scarsa disponibilità
A spendere e a donare ciò che si possiede. 4
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S.
A. Mastro Don Gesualdo e la voglia
irrefrenabile di ricchezze
Mastro Don Gesualdo, un
• uomo avaro che vive una vita
di privazioni per accumulare
ricchezze e per entrare nel
mondo dell’aristocrazia.
La morte di Mastro Don
• Gesualdo, il dialogo con la
figlia e la preoccupazione per
le sue ricchezze che andranno
sperperate.
Il ciclo dei vinti di Verga, (
• I Malavoglia,
Mastro Don Gesualdo, La duchessa di Leyra,
la
l’Onorevole Scipioni e l’Uomo di lusso )
“roba” e l’inevitabile caduta nella
“fiumana del progresso” e
l’importanza di non allontanarsi dalla
famiglia: “l’ideale dell’ostrica”.
Verga, il contesto storico-sociale,
• l’importanza dell’intellettuale come
“fotografo” ed opportune differenze
con il naturalismo Zoliano.
“Mastro Don Gesualdo”
di Giovanni Verga 5
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S.
A. In mastro-don Gesualdo Verga abbandona la visione “corale” de “I
Malavoglia” per concentrarsi su un soggetto individuale e scavare nella
sua vita e nella sua interiorità. Gesualdo è il personaggio più complesso
mai creato dall’autore. E’ una persona povera che riesce ad arricchirsi
enormemente, per poi fragorosamente cadere nell’anonimato; a lui
tocca, nel mondo verghiano, assieme a Mazzarò della Roba, il triste
destino di solitudine e di sconfitta che è insito nel meccanismo
dell’arricchimento.
L’opera si struttura in quattro parti, ognuna delle quali è composta da
diversi capitoli:
- parte prima 7 capitoli
- parte seconda 5 capitoli
4
- parte terza capitoli
5
- parte quarta capitoli
La più ampia è la prima, quasi un “romanzo nel romanzo”: Verga vi
ricostruisce, come in un lungo antefatto, la “biografia” di Gesualdo, con
una precisione analitica che è un chiaro residuo del romanzo naturalista
Francese. L’attenzione si concentra via via sull’ascesa del protagonista, che “era sulla strada di farsi
riccone”. Il racconto procede intorno al duplice asse “roba”/amore. Il matrimonio tra Gesualdo e
Bianca, con cui si conclude la prima parte dell’opera, diviene per lui una trappola, in quanto i due
sposi si rivelano, l’uno per l’altro, degli antagonisti, presenze estranee e reciprocamente
sconosciute.
La seconda parte del nuovo romanzo racconta l’ascesa sociale di Gesualdo. Egli cerca d’inserirsi in
un contesto per lui del tutto nuovo.
Il povero che diviene ricco – da mastro, cioè umile lavoratore manuale, diventa don- viene
raffigurato, nella terza parte, come un re nel suo regno: il podere di Mangalavite rappresenta il suo
potere incontrastato.
Ma proprio al culmine di tale ascesa, comincia il declino di Gesualdo, un declino psicologico e
affettivo, ma anche fisico. Nel frattempo si introduce la storia di isabella, figlia di Bianca e
Gesualdo, che sarebbe dovuta diventare la protagonista della Duchesse de Leyra, il terzo romanzo
del “Ciclo dei vinti”. Il padre non riesce a farsi accettare dalla ragazza, in tutto simile alla madre.
Ciò che resterà a Gesualdo è il titolo di mastro-don. Il finale, che giunge con un ritmo veloce, è
tragico: Gesualdo morirà nella casa della figlia e del genero, solo e disprezzato.
RIASSUNTO mastro-don Gesualdo:
Scritta da Giovanni Verga nel 1889, la vicenda è ambientata a Vizzini, una
località della provincia di Catania, nel periodo compreso tra il 1819 e il 1848.
Protagonista è Gesualdo Motta, un uomo del popolo, umile lavoratore, tenace
ed accorto che dedica la vita al lavoro per accumulare terre, denari e ricchezze.
La fortuna raggiunta lentamente è stata veramente sudata e meritata, anche
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A. se non cambia il carattere di Mastro Don Gesualdo che rimane onesto e
generoso, sempre pronto ad aiutare parenti ed amici. Per aumentare
ulteriormente il suo potere, Gesualdo sposa Bianca Trao, ragazza di nobile
famiglia in decadenza. Purtroppo il matrimonio si rivela un cattivo affare per
l'uomo. Tutti gli sono contro: i familiari, benché da lui aiutati, lo ritengono un
traditore perché li ha abbandonati per un mondo diverso; i parenti nobili lo
disprezzano. Anche Bianca, che ha accettato il matrimonio solo per salvare
l'onore macchiato dopo i suoi amori con il baronetto, suo cugino, Ninì Rubiera,
non riuscirà mai a vincere un'istintiva freddezza nei confronti del marito. Anche
la figlia Isabella, in realtà nata dalla relazione di Bianca con Niní, risulta essere
molto ostile al padre. La ragazza, infatti, innamorata del cugino Corrado La
Gurna, poeta e spiantato, è ostacolata dal padre nel suo amore e finirà per
cedere al suo volere sposando il Duca di Leyra, un uomo spietato, che non la
amerà mai, ma dissiperà tutta la dote della ragazza in ricevimenti. Dopo la
partenza di Isabella per Palermo, parenti, amici, vicini, tutti si accaniscono a
gettar fango sulle ricchezze di Gesualdo. La moglie, Bianca, muore poco dopo
consumata da un male inesorabile, la tisi, e dalla lontananza dalla figlia. Don
Gesualdo rimane solo, sofferente e torturato da atroci dolori di stomaco. Il
genero, che lo detesta e lo disprezza, ma che vuole a tutti i costi venire in
possesso dell'eredità, lo costringe a seguirlo a Palermo. Morirà di cancro
qualche tempo dopo nell'indifferenza generale, solo e abbandonato,
accompagnato nelle ultime ore dalle parole malevole di un servitore, unico
testimone della sua agonia. La roba
di Giovanni Verga
Mazzarò era un uomo che aveva tratto la sua ricchezza
dalle terre dove una volta zappava e su cui avevo
faticato, e nonostante i suoi possedimenti non si era
insuperbito. Egli dava lavoro a moltissime persone e
andava molto spesso nei campi per avere tutto sotto il
suo controllo personale.
Aveva imparato il significato della “roba” quando
faticava quattordici ore al giorno per guadagnare tre
tarì; proprio per questo, aveva impiegato tutta la vita
per metterla insieme ed ora le sue terre non erano
delimitate da nessun confine, erano infinite. Tutta la
sua “roba” quindi l’aveva guadagnata con le sue sole
forze.
I possedimenti terrieri dapprima appartenevano al barone che “per carità” aveva dato lavoro a
Mazzarò, un barone che però non sapeva badare alla sua “roba” e che veniva derubato da tutti
i suoi dipendenti.
Mazzarò andava in gito sempre senza soldi, perché riteneva che avessero un’importanza poco
rilevante o quasi nulla, non erano “roba”! Se metteva da parte una somma abbastanza 7
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A. cospicua, la investiva nell’acquisto di nuovi lotti. Era un uomo che si lamentava solo del fatto
che cominciava ad essere vecchio, e nel momento in cui gli fu detto di lasciare la “roba” perché
era tempo che pensasse alla sua anima, Mazzarò uscì nel cortile e come un pazzo cominciò ad
uccidere gli animali che capitavano sotto il tiro del suo bastone, urlando:”Roba mia, vientene
con me!”. GIOVANNI VERGA (1840-1922)
La Vita
Verga nacque il 31 Agosto de 1840 a Catania da una
famiglia di nobili di Vizzini. La sua formazione scolastica
fu affidata a un parente, Antonino Abate. Tra il 1856 e il
1857, Verga scrisse il suo primo romanzo storico, Amore
Patria. Il primo romanzo di Verga fu I carbonari della
montagna, nel 1861-62. Intanto cominciava a uscire a
puntante, nelle appendici del periodico fiorentino “La
Nuova Europa”, un altro romanzo, Sulle lagune.
Il suo primo viaggio risale nel Maggio 1865 a Firenze,
allora capitale d’Italia; qui Verga compose Una peccatrice
(1866), romanzo che non gli procurò successo. Nel 1869 si
stabilì a Firenze dove compose due nuovi romanzi: Storia di una capinera (1871), suo primo
romanzo di successo, ed Eva. Si legò intanto d’amicizia con Luigi Capuana, teorico del Verismo, e
s’innamorò di Gisella Fojanesi, con la quale compì il viaggio di ritorno in Sicilia, dove lo narrò 10
anni dopo nella novella Fantasticheria.
Nel 1874 Verga scrisse in soli tre giorni Nedda: un “bozzetto siciliano” ambientata nella natia
Sicilia e perché tesa a risollevare la povertà di vita della sua gente. Si avviò in tal modo la
“conversione” di Verga al Verismo. Pochi mesi dopo iniziò a ideare il
“bozzetto marinaresco” Padron ‘Ntoni, che si amplierà via via fino a
diventare il romanzo I Malavoglia. Nel 1880 uscirono in volume le novelle
veriste di Vita dei campi. Verga lavorava intanto ai Malavoglia, di cui
inviò a Treves i primi capitoli; il libro uscì nel 1881, ma senza successo.
Intanto Verga cominciava la stesura di un nuovo romanzo, Mastro-don
Gesualdo, seconda opera del progettato “ciclo dei vinti”. Tra il 1882 e il
1883 uscirono a stampa il romanzo Il marito di Elena, ultima opera
dell’antica maniera “mondana”, e altri due volumi di racconti veristi: le
novelle rusticane e Per le vie.
Nel maggio 1883 Verga incontrò Emile Zola. Dal 1886 cominciò a
trascorrere lunghi periodi a Roma. Nel 1888 uscì a puntate sulla rivista
letteraria “Nuova Antologia” il Mastro-don Gesualdo, che poi fu
profondamente revisionato e pubblicato in volume da Treves nel 1889; fu
il suo ultimo capolavoro. Nel 1893 Verga rientrò stabilmente a Catania. Dopo alcuni mesi si mise a
lavorare alla Duchessa di Leyra, terzo romanzo del “ciclo dei vinti”.
Gli ultimi riconoscimenti vennero nel 1920, grazie alla nomina a senatore del Regno d’Italia e
grazie all’intenso discorso pronunciato da Luigi Pirandello al Teatro Massimo di Catania per il suo
ottantesimo compleanno. Morì a Catania il 27 gennaio 1922. 8
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S.
A. Il termine, nel greco classico, designa
la negligenza, l'indifferenza, la
mancanza di cure e di interesse per
una cosa. Designa inoltre
l'abbattimento, lo scoraggiamento, la
prostrazione, la stanchezza, la noia e
la depressione dell'uomo di fronte alla
vita.
É lo smarrimento estremo: si produce
uno stato d'animo che intacca e
rischia di disorientare tutto ciò che
raggiunge.
Due conseguenze tipiche sono
l'instabilità e il disprezzo per gli
impegni della propria vita.
L'uomo non padroneggia più la vita; le
vicende lo avviluppano inestricabili,
ed egli non sa più 9
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