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Filosofia - Freud, Psicanalisi
Storia - Il nazismo e l'ideologia Hitleriana
Storia dell'arte - Van Gogh
Letteratura Inglese - Virginia Woolf
Letteratura Latina - Seneca, "De tranquillitate animi"
Se, durante la vita di una persona, si verifica un evento accompagnato da un'intensa
portata emotiva, che in quel momento il soggetto non è psichicamente in grado di
fronteggiare, allora l'esperienza risulta "traumatizzante" per la persona stessa.
Secondo la prima topica freudiana, per non risultare "schiacciato" dall'intensità delle
emozioni, il soggetto, servendosi dei meccanismi di difesa, rimuove l'intera esperienza
e soprattutto le emozioni vissute, "spostandole" nell'inconscio. Lì tali affetti restano
finché non vengono eventualmente riportati alla coscienza.
Inoltre, nell’individuo “normale” l’Io riesce abbastanza bene a padroneggiare la
situazione, fornendo parziali soddisfazioni all’Es, ma senza violare le proibizioni del
Super-io. Bisogna quindi cercare di reprimere le forze dell'inconscio che ci spingono
verso il piacere e verso la libido attraverso la ragione ed il principio della realtà, che
costringe le pulsioni della notte ad incanalarsi per altre vie attraverso il processo della
sublimazione. Se questo non avviene, allora si ha la nascita della malattia: la
nevrosi che porta al delirio e all'indebolimento mentale dell'individuo che è in
perenne conflitto con se stesso, ed è qui che nasce la follia.
SENECA E LE PASSIONI COME MALATTIA DELL’ANIMA
«Come certe piaghe cercano le mani che le nuoceranno e godono del contatto e la
sconcia scabbia di tutto quanto l’irrita ha diletto, non altrimenti direi che le menti in
cui i desideri eruppero come male piaghe trovino piacere nella fatica e nello
sbattimento » [de tranquillitate animi]
Se la visione scientifica della follia risale a tempi relativamente recenti, una prima
visione oggettiva dei fenomeni psicologici è stata data da Seneca nel 62 d.C. nel “de
tranquillitate animi”.
L'opera fa parte dei Dialogorum Libri, raccolta di scritti filosofici, ciascuno relativo a
singoli aspetti o problemi particolari dell'etica stoica. Il trattato è dedicato all'amico
Sereno, che aveva chiesto al filosofo una risposta a un problema esistenziale: come
risolvere il taedium vitae, ovvero l'inquietudine, il senso di vuoto e di insoddisfazione
che affliggono l'esistenza umana. Rispondere all'amico diventa per Seneca il pretesto
per esaminare e analizzare le passioni che governano l'uomo. Ogni individuo è alla
costante ricerca di felicità, crede di trovarla tuffandosi negli impegni pratici, ma poi si
ritrae nauseato e desidera la solitudine. Ma anche qui, dopo poco, sente nostalgia dei
suoi simili e delle comuni occupazioni, che prima tanto lo avevano angustiato. L'unica
soluzione sicura è quella di controllare le passioni umane ed esorta soprattutto a
vivere in serena operosità, impegnando le proprie energie per il bene della comunità,
pur senza escludere momenti di meditazione introspettiva, durante i quali "osservare"
con distacco e serenità gli eventi.
L’ampia parte precettistica di questo dialogo è dunque rivolta a chi non è saggio e
probabile mai lo diventerà, e sono consigli di moderazione, giusto mezzo,
discernimento, capacità di scelta con cui evitare o almeno depotenziare le situazioni
che inquietano e tormentano l’animo, quando si manca della forza del sapiente
d’essere loro superiore. Mette conto accennare ad alcuni dei consigli e rimedi dati da
Seneca ai meno saggi. Per chi ha tendenza all’azione la cosa migliore sarebbe
partecipare alla vita civile della res publica. Sennonché una smodata ambizione fa
spesso disprezzare i ranghi inferiori della vita civile in cui ci si trova ad agire. Bisogna
dunque sempre accettare il ruolo e la parte che la sorte ci assegna. D’altra parte la
condizione della res publica è spesso così degradata che la simplicitas (schiettezza,
sincerità) non è al sicuro, e di ciò si deve tener conto. Quando proprio non è possibile
esercitare i doveri di cittadino, sarà comunque sempre possibile esercitare i doveri di
uomo, quelli che si esercitano tutti i giorni nei rapporti privati, che diventano tanto più
importanti quanto meno si può intervenire negli affari pubblici. Uno sia dunque un
buon compagno nei conviti, negli spettacoli, nelle abitazioni private, sia amico fedele,
sappia essere di buon esempio agli altri vivendo bene il suo ritiro.
In sintesi, la serenità dell'animo è frutto dell'equilibrio tra la vita attiva e quella
meditativa, che devono alternarsi in modo da mantenere vivo il desiderio ora dell'una
ora dell'altra.
VIRGINIA WOOLF, IL DISAGIO ESISTENZIALE
“Perché una volta che il male di leggere si è impadronito dell'organismo, lo indebolisce
tanto da farne facile preda dell'altro flagello, che si annida nel calamaio e che suppura
nella penna.” [orlando]
La pazzia non è stata solo oggetto di studio dei diversi ambiti culturali, ma anche fonte
d’ispirazione. Una delle più famose autrici inglesi, Virginia Woolf, ha dovuto
combattere coscientemente con il proprio disagio esistenziale, ed il solo rimedio che
ella ha trovato è la produzione letteraria.
Virginia Stephen-Woolf nacque nel 1882 a Londra, di famiglia agiata. Dopo una felice
infanzia, turbata tuttavia dal bigottismo vittoriano del padre, nel 1895, a soli tredici
anni Virginia è colpita da un primo grave lutto: muore la madre. Solo due anni dopo
muore invece la sorellastra, Stella e nel 1904 il padre. Questi eventi, insieme alle
violenze del fratello, hanno sicuramente influito sui frequenti esaurimenti nervosi,
sulle crisi depressive e sui forti sbalzi d'umore che hanno caratterizzato la vita
della scrittrice e che la porteranno, dopo diversi tentativi, al suicidio. Sposata con
Leonard Woolf Per farle trovare fiducia ed equilibrio il marito le propone di fondare
un'impresa editoriale e nasce la Hogarth Press, grazie alla quale riuscirà a pubblicare
numerosi libri. Inoltre ella diede vita al primo nucleo del circolo intellettuale anti-
vittoriano, cioè il Bloomsbury group : le ideologie dei componenti hanno influenzato
la letteratura, l'estetica, la critica e l'economia, come anche il femminismo, il
pacifismo e la sessualità umana, ed è proprio qui che Virginia ama circondarsi di
persone, allontanando i suoi disturbi
Ma quando è sola ricade nello stato d'ansia e di sbalzi d'umore tipico della malattia. A
contribuire all'aumento delle sue fobie è il procedere della guerra, portandola, il 28
marzo del 1941, al suicidio.
Fu proprio la sua malattia ad esaltare le sue doti di romanziera: attraverso le sue opere
riusciva ad esternare tutto il disagio esistenziale che la affliggeva, attraverso
l’alienazione del suo ego nei personaggi e la profonda introspezione psicologica dei
moments of being, rivelazioni sul senso della vita e sugli eventi che l’hanno
caratterizzata: essi, come le epiphanies di joyce, avvengono improvvisamente, nei
contesti più disparati, ed una volta esaurite lasciano vuoto e malinconia nell’animo.
Virginia Woolf è considerata una profonda innovatrice dello stile e della lingua inglesi.
Nella sua opera complessiva ha sperimentato la tecnica del flusso di coscienza ed
ha dotato i suoi personaggi di uno straordinario potere psichico ed emotivo. La sua
reputazione ebbe un forte calo dopo la seconda guerra mondiale, ma la sua
preminenza è aumentata nuovamente con l'aumento della critica femminista negli
anni 1970.
VINCENT VAN GOGH, LA FEBBRILE VISIONE DEL MONDO
“Io sono un uomo istintivo, capace di fare cose più o meno insensate, delle quali mi
accade più tardi di pentirmi.” (lettera al fratello theo, luglio 1880)
Nell’arte la malattia mentale si è manifestata, tra gli altri, nella persona di Vincent van
Gogh.
La natura della sua malattia, che si manifestò prima dei trent'anni, è stata oggetto di
numerose ricostruzioni e interpretazioni diagnostiche: quando le sue crisi si
manifestavano, caratterizzate soprattutto da allucinazioni, l'artista "cadeva" in uno
stato di profonda depressione, ansietà e confusione mentale, tanto da renderlo
totalmente incapace di lavorare. Inoltre van Gogh fece uso di una bevanda alcolica
decisamente tossica ma assai in voga nella Francia di quel periodo, l' assenzio, che
influì negativamente sulla sua malattia.
Il suo disturbo lo portò a gesti inauditi, tra cui il più famoso è sicuramente la
mutilazione del lobo: dopo una violenta discussione con il pittore amico Gauguin, si
recise l'orecchio sinistro per poi regalarlo ad una prostituta. Un suo autoritratto
testimonia l'episodio di automutilazione che contrassegnò la sua malattia. Il suo
carattere instabile è visibile nella frenesia che caratterizza le sue opere: le pennellate
utilizzate sono forti, cariche di colore giocando molto sulla sovrapposizione delle
pennellate e non del colore stesso che non va a mescolarsi, secondo la tecnica
divisionista. E' un modo per riversare la sua febbrile visione del mondo sulla tela.
Per analizzare nel profondo la filosofia artistica del Van Gogh bisogna analizzare il suo
testamento artistico: “la notte stellata”, ovvero il suo rapporto quotidiano, visivo,
con il mondo esterno e, nella fattispecie, col firmamento. È evidente l'intento
dell'autore di rappresentare un mondo che affascina per la sua grandiosità: Van Gogh
rimase sveglio tre notti ad osservare la campagna che vedeva dalla sua finestra,
affascinato soprattutto da Venere. Non è tuttavia una fedele riproduzione del
paesaggio che egli vedeva, ma una immaginaria visione in cui affiorano anche
elementi, quali il quieto paesino, presi dai suoi ricordi olandesi. Dei cipressi fanno da
immaginario ponte tra la terra e il cielo, diversi luoghi trattati con evidente dualismo:
calma e tranquilla la terra assopita nel buio e nel sonno, pulsante di energia e di
vitalità il cielo notturno solcato dalla luce vibrante delle stelle.
LUIGI PIRANDELLO, L’INCOMUNICABILITà SOCIALE
“Io non l'ho più questo bisogno, perché muojo ogni attimo io, e rinasco nuovo e senza
ricordi: vivo e intero, non più in me, ma in ogni cosa fuori” [uno, nessuno e centomila]
La follia non si deve vedere solo nella sua individualità, ma anche in caratteristici
comportamenti della società, che considera folle chi non si attiene alle sue rigide
imposizioni. Infatti, è proprio nella borghesia decadente del ‘900 che Luigi Pirandello
ambienta una delle sue più grandi opere sul relativismo dell’io.
In “Uno, nessuno e centomila” , Il protagonista, Vitangelo Moscarda, viene messo
in crisi della moglie che nota che il suo naso pende verso destra, mentre egli lo
credeva "almeno molto decente". L'uomo non so più se è quello che crede di essere:
infatti l’uomo è
Uno, perché ogni persona crede di essere un individuo unico con caratteristiche
particolari;
Centomila perché l'uomo ha, dietro la maschera, tante personalità quante sono
le persone che lo giudicano;
Nessuno, in quanto, paradossalmente, se l'uomo ha 100.000 personalità, in
verità non ne possiede nessuna, poiché nel continuo cambiare non è capace di
fermarsi nel suo vero "io".
Questa disgregazione di personalità di Moscarda travolge tutta la sua vita, dalle
amicizie alla suo posizione sociale. Egli, infatti, ritenendo che solo attraverso la
"lucida follia" può distruggere l'immagine che gli altri hanno di lui ed essere
finalmente se stesso, si comporta in modo irrazionale, compiendo azioni liberatorie,
ma in netto contrasto con le sue convenzioni sociali.
Al termine dei romanzo però, il protagonista costretto ad accettare l'ennesima
"forma" attribuitagli dalla comunità, quella dell'adultero, riuscendo finalmente a
liberarsi dalle angosce che lo ossessionano, dalla solitudine provocata della sua
consapevolezza di non essere nessuno: ora, infatti, accettando di buon grado di
alienarsi totalmente della sua personalità, rifiuta addirittura qualsiasi nome o
identità personale abbandonandosi gioiosamente al mutevole fluire della vita,
morendo ogni attimo e rinascendo sempre nuovo senza fissarsi in alcuna forma.
ADOLF HITLER E IL FANATISMO NAZISTA
“Dobbiamo essere crudeli, dobbiamo esserlo con la coscienza pulita, dobbiamo
distruggere in maniera tecnico-scientifica.” [Adolf Hitler]