Dalla letteratura alla scienza, passando per la filosofia una lunga serie di personaggi storici divenuti famosi per aver prodotto o aver elaborato qualcosa di geniale o rivoluzionario si sono resi protagonisti di una duplicità di comportamenti apparentemente opposti fra loro. Una caratteristica che sembra contraddistinguere persone estremamente creative, artisti con vezzi e manierismi al limite del patologico, tollerabili perché incredibilmente talentuosi e creatori di bellezza.
Un genio quasi sempre nasconde un lato un po' folle, un modo di comportarsi fuori dagli schemi ma anche una sorta di sregolatezza che induce l’individuo ad assumere comportamenti anormali portandolo, in alcuni casi, al deterioramento fisico e dell’animo. Per molti di noi la domanda sarà sorta più di una volta:
perché molti degli artisti più famosi che hanno fatto la storia della musica, della scrittura, della pittura, del cinema e del teatro, lasciando un segno inconfutabile della loro grandezza nel mondo hanno rispecchiato vite dai vizi più dissoluti e irrefrenabili, che li hanno portati alla morte o al suicidio?
Questi geni creativi sono persone turbolente, alcune delle quali precocemente messe alla prova dalla vita e dal periodo storico in cui vivevano. Ai tempi di Freud si riteneva che l’origine fosse semplicemente genetica. Questo è in parte vero, come molti studiosi oggi concordano. Ma in realtà è fin troppo riduttivo limitare la presenza di questo fenomeno unicamente alla componente genetica. Ciò che influenza in grande misura il presentarsi di sintomatologie psicotiche negli individui è il contesto storico, o per meglio dire, l’ambiente, nel quale essi sono costretti a vivere.
Da qui parte il mio percorso, dalla storia, in particolare dalla Seconda Rivoluzione Industriale, un lungo periodo di tempo che ha modificato il volto del mondo, migliorandolo da un lato e peggiorandolo sotto altri aspetti.
Seguirà l’ambito filosofico con Freud, considerato il padre della psicoanalisi.
Successivamente approderò nell’ambito della letteratura Italiana ed Inglese con Luigi Pirandello e Virginia Woolf.
Infine andrò a parlare di Vincent Van Gogh, una figura di spicco nel mondo dell’arte, fra i primi ad aver anticipato il linguaggio espressionista.
La rivoluzione industriale è un cambiamento della società che da sistema agricolo, artigianale diventa un sistema industriale moderno caratterizzato dall'uso generalizzato di macchine azionate da energia meccanica e dall'utilizzo di nuove fonti energetiche, il tutto favorito da una forte componente di innovazione tecnologica e accompagnato da fenomeni di crescita, sviluppo economico e profonde modificazioni sociali, culturali e politiche. La rivoluzione industriale comporta una profonda ed irreversibile trasformazione che parte dal sistema produttivo fino a coinvolgere il sistema economico e l'intero sistema sociale. L'apparizione della fabbrica e della macchina modifica i rapporti produttivi. Nasce così la classe operaia che riceve, in cambio del proprio lavoro e del tempo messo a disposizione per il lavoro in fabbrica, un salario. Sorge anche la figura del capitalista industriale, imprenditore proprietario della fabbrica e dei mezzi di produzione, che mira solo a incrementare il profitto della propria attività, ovvero il capitale.
• La prima rivoluzione industriale riguardò prevalentemente il settore tessile e metallurgico con l'introduzione della spoletta volante e della macchina a vapore nell'arco cronologico solitamente compreso tra il 1780 e il 1830.
• La seconda rivoluzione industriale viene fatta convenzionalmente partire dal 1870 con l'introduzione dell'elettricità, dei prodotti chimici, del petrolio e della catena di montaggio.
Fra gli anni 70 del XIX secolo e la prima grande guerra il mondo conosce una trasformazione forse unica per portata storica, sociale, economica ed artistica. Il mondo europeo e d’oltre oceano cambiano rapidamente sull’onda delle nuove scoperte scientifiche nell’ambito della fisica, medicina, tecnologia, e delle scienze economiche. Le esperienze sull’elettromagnetismo, il volo dei fratelli Wright, il cinema dei Lumiere sono solo alcuni dei passaggi che hanno cambiato le abitudini e la percezione del mondo di quei tempi.
Quasi tutte le scoperte più importanti e le applicazioni tecnologiche sono concentrate nella seconda metà dell’ottocento sono di questi anni il perfezionamento del motore a scoppio, la lampadina di Edison, il telefono, le innovazioni tecnologiche e le innovazioni nei processi industriali per l’ottenimento dell’acciaio si perfezionano e rendono possibili i grandi investimenti e costruzioni ferroviarie, navali, ardite opere di architettura come i ponti in ferro e la stessa Tour Eiffel, icona della sfida tecnologica all’esposizione internazionale di Parigi del 1889.
Le nuove scoperte scientifiche e le conseguenti applicazioni tecnologiche migliorarono i trasporti, aprirono ed ampliarono i mercati, favorirono l’espansione demografica, la concentrazione industriale, nacquero grandi aggregazioni urbane con tutti i vantaggi e gli svantaggi che queste comportano, plasmarono insomma una nuova società che produceva sempre di più e doveva consumare sempre di più territorio e nuove risorse.
Nel 1873 avviene però il crollo della Borsa di Vienna e conseguentemente negli anni successivi il mondo industrializzato entra in una crisi economica senza precedenti, si arrestano gli investimenti e le industrie sperimentano la sovrapproduzione in quanto l'offerta crescente delle merci non viene assorbita da un'adeguata domanda di consumo dei mercati interni.
La “grande depressione” era esplosa ed è in questi anni che si verificò, anche una profonda trasformazione del sistema capitalistico, con l'ascesa del capitale finanziario e la concentrazione oligopolistica, inoltre l'asse dell'egemonia economica mondiale cominciò a spostarsi dalla Gran Bretagna agli Stati Uniti e alla Germania. L'economia europea tenta di uscire dalla depressione con una politica imperialistica che si afferma a partire dall'ultimo ventennio dell'Ottocento e prosegue nei primi anni del novecento. Alla fine dell'Ottocento, il capitalismo si sviluppa con una politica militare e con la conquista di nuove colonie si formano grandi cartelli di produzione, concentrazioni industriali ed accanto a loro le prime grandi periferie, interi quartieri malsani dove alloggiano le forze lavoro in condizioni di estrema precarietà economica, e il divario tra i benestanti e il popolo non aveva mai avuto precedenti simili.
Scatenata dalla Seconda Rivoluzione Industriale, la questione sociale esplose con forza nel corso degli anni Ottanta del XIX secolo in Europa così come in America. Si trattò di un fenomeno estremamente complesso, che assunse dimensioni e forme differenti nelle diverse nazioni in fase di industrializzazione. La questione sociale racchiudeva in sé moltissime problematiche che colpivano la grande massa delle classi lavoratrici, le dure condizioni di lavoro nelle fabbriche e nelle campagne, le precarie condizioni di igiene e di salute, la mortalità infantile, la crescente immigrazione, la ricerca di migliori condizioni in America da parte degli europei. La povertà e il degrado in cui versava la grande maggioranza delle classi lavoratrici erano in contraddizione con la crescita economica favorita dall’industrializzazione e si tradussero in una decisa ondata di rivendicazioni sociali, duramente represse dalle autorità. Dopo le prime reazioni di forza nel lungo periodo i governi furono indotti a introdurre alcuni provvedimenti al fine di contenere il malessere dei lavoratori.
Nasce a Freiberg in Moravia. Dopo essersi laureato in medicina a Vienna, Freud, si reca a Parigi dove si applica a studi sull’isteria. Tornato a Vienna giunge alla scoperta dell’inconscio e alla fondazione della psicoanalisi: questa è rivolta soprattutto alla cura delle malattie mentali, ma offre anche molti spunti per la comprensione del comportamento umano in generale.
La scoperta dell’inconscio è la novità più importante della psicoanalisi, cui Freud giunge in seguito agli studi sull’isteria.
•In particolare è in relazione alla terapia di una paziente chiamata Anna O. che la psicoanalisi muove i suoi primi passi: la giovane donna mostrava tutti i sintomi tipici dell’isteria. In particolare, un sintomo colpisce Freud: per alcune settimane la donna non riesce a bere acqua, nonostante la sete. Solo dopo aver scoperto, durante l’ipnosi, la causa, la donna riesce a riprendere a bere: in sostanza aveva visto il cagnolino della sua dama di compagnia bere da un bicchiere, e pur reprimendo dentro di sé l’episodio, la repulsione fu tale da impedirle di bere!
Freud elabora una diversa interpretazione dei disturbi mentali. Gli studi sull’isteria avevano infatti dimostrato che la guarigione del paziente era possibile facendo riemergere alla coscienza episodi sgradevoli dimenticati a livello cosciente. Freud mette in luce un fatto fondamentale, ossia che al di sotto della coscienza esiste un mondo di desideri, di fantasie, di istinti e di pulsioni, cioè l’inconscio, di cui il soggetto non è consapevole ma che è causa di numerose nostre azioni e condiziona tutta la nostra vita psichica.
Poiché l’inconscio agisce non solo sui soggetti malati ma è presente in tutti gli uomini e ne influenza i comportamenti, dalla scoperta della forza condizionante dell’inconscio deriva una nuova e rivoluzionaria visione della natura umana: la maggior parte della vita mentale si svolge nell’inconscio, a di fuori della coscienza. Il conscio è solo la manifestazione consapevole e visibile della vita mentale, della psiche, di cui anzi occupa solo la superficie. La scoperta dell’inconscio ha influenzato non solo la tradizionale idea di uomo, ma anche tutta la cultura del nostro secolo.
In una prima sistemazione teorica della sua dottrina chiamata la prima topica, che significa i luoghi della psiche, Freud individua tre fattori, o sistemi, che operano nella vita psichica dell’uomo:
1. Il conscio, ovvero tutto ciò di cui siamo consapevoli;
2. Il preconscio, ovvero tutto ciò che non è presente a livello cosciente in noi, ma che può essere facilmente richiamato alla coscienza;
3. L’inconscio, ovvero tutto ciò che è nel profondo della psiche umana su cui nulla può la coscienza.
Più importante è la sua seconda sistemazione teorica, la seconda topica, in cui Freud distingue tre diverse componenti psichiche o strutture della personalità:
1. L’Es, cioè l’inconscio, ossia il “calderone degli istinti ribollenti”, cioè la forza caotica dell’inconscio che costituisce la materia organica della nostra psiche, la quale non conosce né il bene né il male né la morale, ma ubbidisce unicamente al principio del piacere ed ignora le leggi della logica.
2. Il Super-io o Super-ego, ciò che comunemente è chiamato la “coscienza morale”, ossia l’insieme delle norme, dei valori, dei simboli, dei divieti e delle proibizioni interiorizzati e appresi dall’individuo fin dai primi anni di vita attraverso l’educazione ed il suo inserimento nella società.
3. L’Io, o l’Ego, che rappresenta il livello conscio; esso si trova in mezzo a due spinte contrastanti, le tensioni dell’Es da una parte e i richiami del Super-io dall’altra, contrasti che si trova quindi a dover mediare, ad equilibrare mediante opportuni compromessi.
Nell’individuo normale l’Io riesce abbastanza bene a controllare la situazione.
Agendo secondo il principio della realtà (il buon senso) concede parziali soddisfazioni all’Es senza violare in forma vistosa i precetti del Super-io.
Quando l’Es risulta essere troppo forte e prende il sopravvento sul Super-io si hanno come conseguenza stati di ansia, agitazione, comportamenti asociali, delinquenziali o perversi.
Quando invece è il Super-io ad avere un maggior controllo, ad essere troppo rigido, questo può provocare la rimozione, cioè la cancellazione e la sopressione forzata dal livello della coscienza, delle pulsioni e dei desideri dell’Es, con conseguenti stati di nevrosi e di psicosi.
Oltre alla rimozione degli istinti, un meccanismo più equilibrato di difesa nei confronti dell’Es è quello della “sublimazione”, mediante cui l’Io trasferisce gli istinti dell’Es verso mete ed obbiettivi socialmente accettabili, ad esempio l’impegno e la gratificazione del lavoro e dell’arte.
Le teorie psicoanalitiche freudiane ebbero un’enorme infuenza nella cultura e nell’alrte del ‘900 e delle avanguardie artistice, in particolare l’espressionismo e il surrealismo.
Nel XX secolo, la follia iniziò ad essere considerata una visione nuova della vita, un rifugio che l’uomo si crea per sfuggire alla sofferenza della sua esistenza.
L’esempio più noto è senza dubbio l’Enrico IV di Pirandello, che, come altri personaggi pirandelliani, sceglie la pazzia per non contaminarsi con la vita impura e piena di sofferenze.
Questo tipo di follia è legato alla volontà dell’uomo di sfuggire alla vita.
Nelle opere di Pirandello il ruolo preminente è occupato dalla follia. La riflessione di questo tema è, in parte, influenzata dall'esperienza biografica dell'autore: infatti, a partire dal 1903, la moglie Antonietta ebbe i primi sintomi di squilibrio che la portarono all'internamento in una casa di cura, nel 1919. La follia è per Pirandello uno strumento di contestazione delle forme fasulle della vita sociale, l'arma che fa esplodere convenzioni e rituali, rendendole assurdi.
•Enrico IV
Enrico IV è una commedia in 3 atti di Luigi Pirandello. Fu scritta nel 1921 e rappresentata il 24 febbraio 1922 al Teatro Manzoni di Milano. Considerato il capolavoro teatrale di Pirandello, insieme ai Sei personaggi in cerca d'autore, Enrico IV è uno studio sul significato della pazzia e sul tema del rapporto che si viene a creare tra uomo e personaggio, tra realtà e finzione.
Trama
La tragedia inizia con il racconto dell’antefatto. Un nobile del primo ‘900, di cui non viene mai fatto il nome, partecipa ad una festa in maschera travestito da Enrico IV. Egli ha scelto di vestire i panni di quel sovrano per poter stare vicino alla donna amata, Matilde di Spina, mascherata da Matilde di Canossa. All’evento partecipa anche il barone Belcredi, suo rivale in amore, che disarciona da cavallo Enrico IV, il quale cade battendo violentemente la testa. A seguito del trauma subìto, Enrico IV si convince di essere davvero il personaggio storico di cui portava le vesti.
Credendolo pazzo, tutti lo assecondano ricostruendo l’ambientazione in cui aveva vissuto il vero sovrano. Trascorso questo tempo, Enrico guarisce e si accorge che era stato Belcredi a farlo cadere intenzionalmente per toglierlo di mezzo e poter sposare la donna contesa da entrambi. Infatti, dopo l’incidente, Matilde era scappata con Belcredi, si erano sposati ed avevano avuto una figlia. Enrico decide di continuare a fingersi pazzo per riuscire a sopportare in qualche modo il dolore che gli procura la presa di coscienza della realtà.
Dopo venti anni dall’incidente, si ritorna al presente, come all’inizio. Matilde con Belcredi, la loro figlia, Frida, e uno psichiatra fanno visita ad Enrico. Lo psichiatra è molto incuriosito dal suo caso, e, per farlo guarire, consiglia di ricostruire l’ambientazione di venti anni prima e di ripetere la caduta da cavallo. Durante la messa in scena, Enrico si trova davanti la figlia della donna che ama da sempre e per la quale è costretto a fingersi pazzo. La giovane Frida è identica alla madre, quando aveva la sua età, ed Enrico non può fare a meno di abbracciarla. Belcredi non tollera che Enrico si avvicini alla figlia, ma, quando tenta di opporsi, Enrico sguaina la spada e lo ferisce a morte. Per sfuggire alla realtà di dolore, che per di più lo costringerebbe anche ad un processo e alla prigione, Enrico si rassegna a vivere per sempre fingendosi pazzo.
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La maschera è un altro dei temi fondamentali affrontati nei testi di Pirandello.
Con questa citazione tratta da "Uno, nessuno e centomila" possiamo meglio comprendere le "maschere" che Luigi Pirandello, attraverso la sua opera, affida all'uomo del Novecento.
La sua intera produzione letteraria si basa su una semplice teoria: "L'uomo accetta la maschera che lui stesso ha messo o con cui gli altri tendono a identificarlo."
• Breve riassunto
Il libro Uno, Nessuno, Centomila ha come protagonista Vitangelo Moscarda, detto Gengè, è un uomo benestante che abita nel piccolo paesino di Richieri.
Una mattina sua moglie Dida gli fa notare un suo piccolo difetto: Vitangelo ha il naso che pende leggermente verso destra. Viene così a conoscenza di altre sue piccole imperfezioni e capisce che, dei piccoli difetti, ignorati da lui stesso, erano invece familiari a chi gli stava intorno. Moscarda si rende allora conto di non essere più lui, ma un altro, anzi, uno per ogni persona che incontra e per ogni azione che compie. In un crescente bisogno di autenticità, Vitangelo compie atti del tutto inusuali agli occhi di chi lo conosceva prima della crisi: sfratta una famiglia per poi regalarle un appartamento nuovo; decide di liquidare la banca ereditata dal padre per riavere indietro i suoi risparmi; esplode improvvisamente dall’ira, pronunciando strani discorsi, sino a sembrare matto, tanto da far fuggire sua moglie e rischiare di venire interdetto.
Un’amica della moglie, Annarosa, lo avvisa delle pratiche in corso, attuate dalla stessa Dida e da altri suoi amici, per farlo rinchiudere in manicomio.
Per difendersi da questo complotto, Vitangelo diventa amico di Annarosa e, spinto dal desiderio di avere qualcuno con cui confidarsi, le svela le conclusioni che ha tratto dalla sua vita. Anch’ella, donna buona ma troppo semplice per capire l’animo di Moscarda, ne rimane talmente sconvolta da tentare di ucciderlo. Vitangelo troverà pace solo dopo essersi rivolto al vescovo Mons. Partanna, il quale gli consiglia di donare tutti i suoi beni ai poveri. Moscarda finirà i suoi giorni in un ospizio per i poveri, fondato da lui stesso, paradossalmente più felice di prima, nel tentativo di liberarsi di quell’Uno e di quei Centomila, allo scopo di diventare, per tutti e per se stesso, Nessuno.
Attraverso la storia di Vitangelo Mosca il protagonista del romanzo, vediamo come ognuno di noi è "Uno", perchè è solo una la personalità che pensiamo di possedere, "Centomila", perchè ognuno può avere tante personalità, in base a quante sono le persone che ci giudicano, e "Nessuno", perchè in realtà non possediamo nessuna personalità. Questa filosofia decreta così una perdita dell'individuo che diventa la tematica chiave nell'opera di Pirandello.
Soltanto una figura nella poetica di Pirandello è capace di liberarsi della maschera: il "folle", l'unico capace di manteere un'esistenza autentica e vera.
In conclusione, quando ci avviciniamo all'opera pirandelliana, facciamolo con la consapevolezza che tutto potrebbe essere reale così come tutto potrebbe essere solo una gran mascherata.
Virginia Woolf (1882-1941) like James Joyce, was one of the most important modernist novelist, in fact she gave voice to the complex inner world of feelings and memory; she thought that human personality was not a fixed monolithic entity, but as a continuous shift of impressions and emotions.
Her father was a Victorian man of letters, so she grew up in a literary and intellectual atmosphere. She spent her summers at St. Ives, Cornwall; and Tolland House and the sea remained central to her art, figuring in Jacob’s Room (1922), The Lighthouse (1927), The Waves (1931). The variety of her experience found its synthesis in the symbols of the water, the sea and the waves. Water on the one hand represented what is smooth flowing, harmonious, feminine; on the other hand, it stood for the possibility of the resolution of intolerable conflicts in death. After her mother death she had her first breakdown and began to be in revolt against her father’s aggressive and tyrannical character. Only after his death she started her poetical career.
She challenged Victorian values, which were founded on an ideal of morality and respectability and questioned the conventional values of sexual and personal relations. In fact, the images she uses establish her idea of true reality and at the same time reject a whole tradition of literature. In Woolf’s novels the omniscient narrator disappears and the point of view shifts inside the characters’ mind through flashback, association of ideas, momentary impression presented as a continuous flux (the so-called «stream of consciousness»).
In 1912 Virginia married Leonard Woolf and in 1915 she published The Voyage Out, her first novel, which still followed a traditional pattern. Because of her severe headaches and her sleep badly, she entered in a nursing home but this only made matters worse, in fact the last thing she needed was force-feeding and isolation from those she loved; and she attempted suicide by taking drugs.
In 1917 she founded with her husband a publishing company, the Hogarth Press. In the following years appeared Mrs Dalloway, The Common Reader, To the Lighthouse, and Orlando, in which she extended the character’s life over four centuries and avoided the rigid distinction between the sexes making her character share both masculine and feminine traits.
The Second World War increased her anxiety and fears. She became haunted by the terror of losing her mind. Finally, she could stand it no longer. She chose the only possible death for her, «death by water» and drowned herself in the river Ouse. She was fifty-nine.
•Mrs. Dalloway
The story of Mrs. Dalloway develops in a single day in London. It’s a June morning and Clarissa Dalloway leaves her home to buy flowers for the party she has organized for the evening. During the day Clarissa has many changes of moods and memories.
Her day is contrasted with the figure of Septimus Smith, a shell-shocked veteran of the War. At the end of the day he commits suicide by jumping out of the window of his room. News of his death intrudes upon Clarissa’s party.
Learning about this tragic event, Clarissa reflect on how necessary it is for her that Septimus dies because as he embrace death, she can embrace life.
Time is often dilated and a single moment can last for a very long time, this is possible through the technique of the indirect interior monologue, used by Virginia to represent the gap between chronological and interior time.
Virginia is interested in the impressions of the characters who experience some events in their subjectivity. One of Virginia Woolf’s aim in writing Mrs. Dalloway is reduce the time unit.
Virginia didn’t write for fashion or fame, she wrote for the taste of writing.
She begins to privilege the interior monologue because reality lost its importance and the focus is on the life of the mind.
[central] VINCENT VAN GOGH [/central]
[central] (1853-1890)[/central]
[central] Arte e follia [/central]
La vita di Van Gogh, breve intensa e tormentata, assomiglia a un pellegrinaggio verso una mèta, ambita quanto sconosciuta. Egli stesso scrive: «Noi siamo dei pellegrini, la nostra vita è un lungo cammino, un viaggio dalla terra al cielo».
Dal paesino di Groot Zundert, dove nasce nel 1853, alla città dell’Aja, dove inizia a lavorare come mercante d’arte, a Londra, dove vive per quasi due anni a partire dal 1873. E ancora ad Amsterdam,
dove seguendo la sua vocazione religiosa inizia a studiare teologia, tra i poveri minatori del Borinage, a Bruxelles dove finalmente inizia a studiare disegno, ad Anversa dove per un breve periodo frequenta l’accademia.
Nel 1886 il passo più importante: il trasferimento a Parigi dall’amatissimo fratello Theo.
Parigi rappresenta per Vincent un punto di svolta, è la scelta di dedicarsi esclusivamente alla pittura, è l’incontro con Monet, Degas, Renoir e Toulouse- Lautrec, è la scoperta dell’impressionismo, è la rivelazione del colore.
La sua pittura, fino a quel momento fedele alla tradizione olandese, densa di chiaroscuri e tonalità profonde letteralmente esplode in un caleidoscopio di frammenti colorati intensi e luminosi.
Parigi però è anche il luogo del caos, della sregolatezza, del confronto e della dura legge del mercato che non lo comprende e lo respinge, il luogo delle tante delusioni d’amore, dove la sua sensibilità e la sua autostima vengono costantemente messe sotto pressione.
Il suo pellegrinaggio si sposta dunque verso sud, alla ricerca di pace, solitudine e calore.
Ad Arles Vincent ci arriva in realtà in inverno, nel febbraio del 1888 e anche se si dispiegano davanti ai suoi occhi paesaggi innevati è fiducioso e pieno di speranza. In Provenza arriva la primavera ed è tutto un fiorire di prati e di alberi.
Vincent è inebriato e appagato dalla bellezza della natura, pensa di aver trovato finalmente un
luogo in cui vivere. Pensa ad una casa, una casa con un giardino, dove gli alberi da frutta siano anche
all’interno, dipinti sulle pareti, da dove, affacciandosi a una finestra si possa vedere il fiume e nelle limpide notti d’estate guardare le stelle che si riflettono sull’acqua.
Una casa per sé e i suoi amici, dove vivere, lavorare e non sentirsi più solo.
È la celebre casa gialla, vicino alla stazione di Arles, dove Vincent arreda (e poi immortala in un quadro) la sua camera da letto, da cui ritrae l’incantevole Notte stellata sul Rodano, e dove per pochi mesi vive felice con il suo amico Paul Gauguin.
La felicità dura poco, i due pittori, così diversi per temperamento e visione artistica entrano presto in conflitto e Vincent resta profondamente ferito nel comprendere che per Paul la casa gialla è solo una tappa del suo cammino e non la meta definitiva come lui spera. La ferita dell’anima, attraverso un gesto autolesionista, sfocia in una ferita del corpo, quando Vincent si taglia un orecchio quasi a punirsi per come ha trattato l’amico.
Guarito in fretta Van Gogh si rituffa con furore nel lavoro, sua unica consolazione, unica fonte di gioia. Le crisi depressive però si fanno vive sempre più di frequente e la gente di Arles lo vede ormai come un pazzo. Di sua iniziativa sceglie di farsi ricoverare nell’ospedale psichiatrico di Saint-Rémy.
Vincent resta a Saint-Rémy per più di un anno e contrariamente a quanto si possa pensare è per lui un periodo di serenità. Disegna, dipinge, continua la fitta corrispondenza con il fratello.
Nel periodo del soggiorno parigino Van Gogh osserva senz’altro la tecnica innovativa dei post-impressionisti che si basa sulla separazione dei colori, stesi in pigmenti puri e distribuiti sulla superficie pittorica con piccoli tocchi o minuti puntini. Il colore viene poi sintetizzato automaticamente dall’occhio. L’effetto è di maggiore brillantezza e luminosità rispetto ai colori mescolati sulla tavolozza.
Partendo da questi presupposti Van Gogh sviluppa quindi una tecnica personalissima, che utilizza pennellate divise e accostamenti di tonalità contrastanti. Nel periodo provenzale la pennellata diventa via via sempre più materica. Il pennello, sostituito a volte dalla spatola, deposita sulla superficie del quadro una grande quantità di colore, che crea grumi e strati spessi e corporei.
Nei dipinti realizzati a Saint-Rémy e a Auvers-sur-Oise, ultima sua dimora, oltre che divisa, densa e materica la pennellata diventa anche vorticosa, serpentinata, dall’andamento fortemente curvilineo.
In quest’ultima fase della sua produzione artistica e della sua vita Van Gogh può essere considerato precursore del linguaggio espressionista, in cui partendo dall’osservazione della realtà, l’artista la riproduce modificandone, alterandone alcuni tratti, del colore o della forma, sull’onda della propria emotività.
La salute e l’equilibrio che Vincent sembra ritrovare a Saint-Rémy lo spingono a trasferirsi nuovamente. L’ultima tappa del suo viaggio è Auvers-sur-Oise, vicino Parigi, dove trova una nuova casa e un nuovo amico, il dottor Gachet, e ancora paesaggi, prati e campi.
L’equilibrio apparentemente ritrovato dopo quest’ultimo trasferimento sembra aver dato pace all’artista, ma ancora una volta i forti contrasti del suo essere prendono il sopravvento e nel mese di luglio del 1890, dopo aver dipinto un campo di grano, egli pone fine alla sua vita con un colpo di pistola.
Questo mondo, in fondo, non era fatto per un’anima così bella.
• Notte Stellata
Van Gogh esegue la famosa tela della Notte Stellata nell’estate del 1889, alcuni ritengono tra giugno e luglio considerando l’allineamento delle stelle e le fasi lunari.
A differenza di quanto avviene per le altre opere, il pittore non fa in questo caso un accurato resoconto nelle sue lettere ma ne accenna solo di sfuggita. Nonostante questa curiosa reticenza la potenza espressiva del quadro si impone all’osservatore con evidenza travolgente.
Nella parte bassa del dipinto il paese addormentato, non un solo lume è ancora acceso. A destra i tetti violacei si intuiscono sotto la luce lunare. Spicca la guglia altissima del campanile, che ricorda più l’architettura olandese che quella provenzale. A sinistra la sagoma scura del cipresso svetta verso l’alto in una forma serpentinata, simile a una fiamma vibrante. Sullo sfondo le colline, dolci, adagiate, anch’esse sopite.
Ma il sonno non è riposo, la calma non è stasi e la notte non è buio.
Nella parte alta della Notte Stellata di Van Gogh, la più ampia, il cielo, che varia dalle gradazioni del cobalto, dell’indaco e dell’azzurro è attraversato, popolato dagli astri.
Stelle grandi, immense e pulsanti. Le stelle sono vive e solo dal pittore si lasciano guardare, a lui solo sembrano rispondere dilatandosi nell’oscurità. Luci buone che si alimentano di sogni, che danno
speranza. Il cielo amplifica le sensazioni del pittore. È agitato, febbrile, mosso da un vento che non turba le chiome degli alberi e le case.
È un turbine creativo, che non porta distruzione ma accoglie la natura e tutto quello che contiene in un abbraccio avvolgente. Il dipinto trasmette intatto il silenzio che doveva circondare il pittore in
quella notte magica ma anche il gesto forte, irruento con cui ha distribuito il colore sulla tela.
Possiamo contare le pennellate, misurare l’ampiezza dei movimenti, quasi vederlo mentre imprime sulla tela le sue emozioni, con uno slancio che è insieme fisico e mentale.