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Storia: il Fascismo
Diritto: il parlamento
Scienze delle finanze: il bilancio dello Stato
Matematica: la ricerca operativa
Informatica: il linguaggio SQL
Inglese: Marketing and Promotion
Economia Aziendale: il bilancio
ottobre colonne fasciste, senza incontrare resistenza da parte delle forze dell’ordine o
dell’esercito, entrarono nella capitale.
Dal punto di vista militare, i fascisti non avrebbero potuto fronteggiare con speranza di
successo una reazione dell’esercito italiano; ma tale reazione non vi fu, perché il 28
ottobre Vittorio Emanuele III rifiutò di firmare lo stato d’assedio per difendere Roma
sottopostogli da Facta, che si dimise.
Il primo governo Mussolini e la transizione verso la dittatura
Il sovrano si piegò di fronte alla minaccia dei fascisti e convocò a Roma Mussolini, al
quale diede il compito di formare un nuovo ministero, che venne presentato in
parlamento il 16 novembre. La marcia su Roma e la formazione del primo governo
Mussolini segnarono il crollo delle istituzioni liberali e democratiche: per la prima volta
nella storia d’Italia un uomo politico si era fatto assegnare il mandato governativo con
la minaccia delle armi.Cosi stava per nascere in Italia una forma di governo di tipo
totalitaria.
Nuove istituzioni fasciste
Il regime fascista introdusse importanti elementi di cambiamento nel sistema politico
italiano. Furono infatti costituiti:
il Gran consiglio del fascismo, un organo che comprendeva i massimi esponenti del
partito e i membri fascisti del governo e che esercitava forte influenza sul governo
stesso;
la Milizia volontaria per la sicurezza nazionale, una sorta di esercito parallelo agli
ordini del capo di governo, che inquadrava le squadre d’azione antifasciste;
la Confederazione nazionale delle corporazioni sindacali, che riuniva i sindacati
fascisti e che di lì a poco sarebbe divenuta l’unico sindacato autorizzato a operare nel
paese.
La legge elettorale maggioritaria del 1923 e la vittoria del “listone”
La stabilità del governo di Mussolini era tuttavia sempre minacciata, oltre che dalle
opposizioni socialista e comunista, dal fatto che i popolari e i liberaldemocratici
insieme avevano la maggioranza numerica in parlamento e avrebbero quindi potuto
mettere in crisi il governo in qualsiasi momento.
Mussolini riuscì a guadagnare consensi grazie al alcuni provvedimenti contenuti nella
legge di riforma scolastica, approvata nel marzo 1923.
Al fine di rinsaldare la maggioranza di governo e di togliere spazio alle opposizioni,
Mussolini riuscì a far approvare nel 1923 una nuova legge elettorale
maggioritaria: alla lista che avesse ottenuto la maggioranza dei voti (purché
superiore al 25%) sarebbero stati assegnati i due terzi dei seggi. Con questa legge si
andò alle elezioni dell’aprile 1924, che costituirono un momento di svolta cruciale nel
passaggio alla dittatura fascista.
Il Partito fascista si presentò alle elezioni all’interno di una lista nazionale (il
listone).
cosiddetto Il listone ottenne un grande successo con il 65% dei voti:
Mussolini disponeva ora della maggioranza dei deputati ed era riuscito a portare in
parlamento ben 275 deputati fascisti. Brogli e intimidazioni di ogni tipo, operate dai
fascisti, accompagnarono le votazioni.
Il delitto Matteotti
Il 10 giugno 1924 Matteotti, che con un forte discorso alla nuova camera aveva
denunciato i brogli e le violenze elettorali, fu rapito e ucciso dalla squadra fascista.
Il delitto Matteotti scosse profondamente l’opinione pubblica, aprendo una grave
crisi politica: per la prima volta il potere di Mussolini sembrò vacillare. Le opposizioni
parlamentari decisero per protesta di non partecipare più ai lavori della camere
intendendo con questo che non riconoscevano legittimità morale e politica a un
parlamento dominato dai fascisti (fu la cosiddetta secessione dell’Aventino). 2
Questa fu una scelta di alto significato morale, ma debole politicamente. Vittorio
Emanuele III d’altra parte non destituì Mussolini.
Col passare dei mesi, Mussolini poté gradatamente riprendere in pugno la situazione e
l’epilogo fu il famoso discorso al parlamento, con cui egli si assunse la responsabilità
politica del delitto Matteotti.
Il capo del governo ammetteva pubblicamente di essere responsabile, sul piano
politico, dell’eliminazione di un deputato dell’opposizione. Si aprì così la fase della
dittatura.
Le leggi “fascistissime” del 1925-26 e la nuova legge elettorale plebiscitaria
Il progetto politico di Mussolini, a partire dal 1925, mirò alla fascistizzazione dello
stato e della società civile. Punto di partenza di tale trasformazione furono le leggi
dette “fascistissime”:
il capo del governo fu reso responsabile solo di fronte al re, non più di fronte al
parlamento;
il parlamento non poteva discutere alcuna legge senza il preventivo consenso
del governo;
fu soppressa la libertà di associazione, mettendo fuori legge tutti i partiti politici,
a eccezione di quello fascista;
vennero sostituiti i sindaci elettivi con podestà nominati dal sovrano;
furono chiusi i giornali antifascisti e tutta la stampa fu sottoposta a un severo
controllo;
fu istituito il Tribunale sociale per la difesa dello stato.
Questi provvedimenti abolirono di fatto la libertà democratica e il parlamento finì per
assumere una funzione puramente formale, ulteriormente accentuata dalla legge
elettorale del 1928. Questa legge prevedeva infatti che l’elettore potesse solamente
dire “si” o “no” a una lista di 400 candidati designata dagli organi supremi del
fascismo.
Partito e stato
Mussolini, inoltre, provvedeva a “normalizzare” il Partito fascista. La violenza
squadrista non era più necessaria nel momento in cui il regime aveva perfezionato i
suoi strumenti repressivi, grazie al Tribunale speciale, alla Milizia, all’efficientissima
polizia segreta (Ovra) e al pieno controllo delle forze dell’ordine. Mussolini trasformò
dunque il partito in una struttura burocratica e gerarchica, strettamente controllata dal
vertice.
Organo supremo del partito era il Gran consiglio del fascismo. Il Gran consiglio
rimase di fatto l’unico organo entro il quale fosse possibile una qualche dialettica
politica.
Dai sindacati alle corporazioni
Vennero abolite le commissioni interne (organismi di rappresentanti dei lavoratori della
fabbrica); lo sciopero fu proibito per legge.
Venne realizzato l’ordinamento cooperativo, enunciato nella Carta del lavoro del
1927, in base al quale tutti i settori della produzione, del lavoro e delle professioni
dovevano essere organizzate in corporazioni, cioè in organismi che rappresentavano
i diversi interessi ed erano soggetti a un apposito ministero.
L’ordinamento corporativo, di fatto, non venne realizzato e si risolse nell’assoluto
predominio degli imprenditori all’interno delle fabbriche e in un intreccio sempre più
stretto fra industria e stato, fra potere economico e potere politico.
Dittatura e consenso
Con gli anni trenta, il fascismo venne assumendo le caratteristiche di un regime
totalitario. Alla repressione del dissenso il regime affiancò iniziative volte a mobilitare 2
il consenso della popolazione. Un punto fondamentale di tale strategia fu il controllo
dell’informazione, ottenuto sia proibendo la stampa antifascista, sia creando enti,
come quello cinematografico (Istituto Luce), finalizzati a gestire l’informazione in
senso favorevole al regime.
Le organizzazioni di massa
L’iscrizione al partito divenne obbligatoria per i dipendenti pubblici ed era
comunque un requisito per ottenere impieghi e promozioni. Il partito controllava poi
diverse organizzazioni di massa istituite dal regime per educare la gioventù ai
valori fascisti. Queste organizzazioni svolgevano attività ricreative e nel 1937
confluirono nella Gioventù italiano del Littorio.
I patti lateranensi
Mussolini riuscì a giungere ad una conciliazione tra stato e chiesa quando l’11 febbraio
1929 la Santa sede e il governo italiano sottoscrissero i Patti lateranensi, con cui la
chiesa riconosceva la sovranità dello stato italiano, con capitale Roma, e lo stato
riconosceva la sovranità pontificia sulla Città del Vaticano.
La politica economica: le fasi
La politica economica del fascismo attraversò diverse fasi:
in un primo periodo, tra il 1922 e il 1925, fu una politica essenzialmente
liberista. Il governo da un lato attuò una serie di provvedimenti che favorivano
la libertà di iniziativa economica, dall’altro agì per una diminuzione della spesa
pubblica, attraverso riduzioni del personale statale e aumenti delle tariffe dei
servizi. Quindi questa su un a fase di sviluppo economico e sul piano
finanziario il governo conseguì nel 1924 il primo bilancio attivo dalla fine della
guerra;
nel secondo periodo, tra il 1925 e il 1930, incominciarono a emergere
difficoltà economiche, dovute a una serie di fattori: il rallentamento
dell’economia internazionale, che mise in difficoltà le nostre esportazioni; la
sempre più rapida svalutazione della lira rispetto alle altre monete, in
particolare alla sterlina; una forte ripresa dell’inflazione. Mussolini decise
quindi la rivalutazione della lira: il cambio con la sterlina venne
successivamente fissato a 90 lire. Questa severa manovra deflazionistica riuscì
a raffreddare l’inflazione.
nel terzo periodo, le conseguenze della crisi del 1929 si fecero sentire
pesantemente in Italia. Il regime reagì creando, nel 1933, l’Istituto per la
ricostruzione industriale (Iri), un ente pubblico che, per impedirne il tracollo,
acquisì la proprietà delle maggiori banche e dei pacchetti azionari delle imprese
che possedevano. Attraverso l’Iri lo stato si trovò ad essere il maggior
imprenditore e banchiere italiano.
Accanto agli enti pubblici economici, come l’Iri, si svilupparono anche gli enti pubblici
assistenziali e previdenziali.
Gli interventi nelle campagne e nell’agricoltura famiglia
Il fascismo spingeva per una politica demografica espansiva: quello la
numerosa era presentato come un ideale morale e patriottico e sostenuto da specifici
tassa sul celibato,
provvedimenti, quali la gli assegni familiari, gli sgravi fiscali per le
famiglie.
Abbiamo così la battaglia del grano, lanciata nel 1926 con l’obiettivo di aumentare
la produzione agricola al fine di rendere il paese autosufficiente in questo settore. Più
rilevanza ebbe la bonifica integrale, lanciata nel 1928, un vasto progetto di
bonifiche idrauliche e di risistemazione di comparti agricoli finalizzato ad aumentare
l’occupazione nelle campagne (solo nell’Agro pontino si realizzò un intervento di 2
vaste dimensioni).
La politica coloniale degli anni venti
In campo coloniale, il regime fascista consolidò i possedimenti italiani in Africa: la
Libia, l’Eritrea e parte della Somalia. In Eritrea e in Somalia, Mussolini affidò a delle
società private il compito di attuare un processo di colonizzazione: furono costruite
strade e infrastrutture e venne sviluppata la produzione di cotone e di banane,
impiegando manodopera indigena in forma coatta.
La conquista dell’Etiopia
Le ragioni che spinsero Mussolini a lanciare l’Italia in questa impresa coloniale furono:
di prestigio internazionale;
di carattere economico, per stimolare la produzione industriale e ridurre la
disoccupazione;
di politica interna, in quanto l’espansione coloniale era vista come un mezzo
per cementare l’unità nazionale.
Il 3 ottobre 1935 le truppe italiane iniziarono l’invasione dell’Etiopia, che si concluse il
negus.
6 maggio 1936 con la presa di Addis Abeba e la fuga del Fu allora che
Mussolini fondò l’impero dell’Africa orientale italiana.
Le sue conseguenze della conquista delle Etipia
La Società delle nazioni (un organismo nato dopo la guerra con lo scopo di preservare
la pace) dichiarò l’Italia paese aggressore e applicò ai suoi danni sanzioni
economiche: divieto di esportare in Italia armi, munizioni e merci per l’industria di
guerra, divieto di importare merci italiane. Durante il periodo delle sanzioni, gli italiani
l’oro alla patria,
donarono cioè consegnarono allo stato le fedi nuziali e altri preziosi.
La conquista dell’Etiopia, in primo luogo, determinò una nuova collocazione