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Filosofia: Dibattito epistemologico sulla teoria delle stringhe (Popper, Circolo di Vienna, Feyerabend)
Italiano: I cori nella Divina Commedia
Greco: Perì Mousikès dello Pseudo-Plutarco
Biologia: Corde vocali
Musica: Sinfonia Dante sulla Divina Commedia di Franz Liszt
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LA SINFONIA DEL TUTTO: LA TEORIA DELLE STRINGHE
Tu sarai il quark e io un leptone. Se avessimo il coraggio di cuocerci fino a un quadrilione di gradi, la
scissione, la divisione, la lacerazione, la contusione finirebbero. A questa temperatura la forza debole e
quella elettromagnetica si uniscono. Un poco più caldo ancora, e la forza elettrodebole e quella forte di
muovono insieme e appaiono le simmetrie GUT. E alla fine? Quand’è che la gravità e le GUT si uniscono?
Ascolta: uno suona il liuto e l’altro l’arpa. Le corde vibrano e dalla musica delle sfere si forma un universo
perfetto. Amante e amato si fondono l’uno nell’altra identificati dal suono.
Jeanette Winterston, Simmetrie amorose
1.1 Dal conflitto all’unificazione
La fisica moderna pone le sue basi su due grandi colonne d’Ercole: la relatività generale di Einstein, che
fornisce un quadro teorico di riferimento dell'universo a grande scala, e la meccanica quantistica, che ci
permette di comprendere l'universo alle scale piú piccole, entrambe confermate sperimentalmente, con un
grado di precisione impensabile. Ma le stesse teorie, nel modo in cui sono oggi formulate, non possono
essere giuste entrambe.
Ci si potrebbe chiedere, e a ragione, perché questo non venga percepito come un vero conflitto non solo
dall’opinione pubblica (sempre meno educata alla scienza e ai suoi progressi) ma anche dalla stessa
comunità “addetta ai lavori”; il motivo è presto detto: se si esclude qualche situazione eccezionale, i fisici
studiano oggetti che sono piccoli e leggeri (come gli atomi e i loro componenti), oppure grandi e pesanti
(come le stelle e le galassie). Questo significa che ci si rivolge di volta in volta alla relatività generale oppure
alla meccanica quantistica e che le proteste dell’altra teoria possono essere ignorate. Nell'universo esistono
tuttavia situazioni eccezionali: nel centro di un buco nero, una massa enorme assume dimensioni
minuscole, all'epoca del big bang, l'intero universo è schizzato fuori da un punto microscopico. In tali casi
siamo in presenza di oggetti minuscoli e incredibilmente pesanti, e quindi abbiamo bisogno sia della
relatività generale sia della meccanica quantistica. Ne consegue che è necessario un livello di comprensione
più profondo. O dobbiamo forse concludere che l'universo è scisso, a livello fondamentale, e che sono
necessarie delle leggi per gli oggetti grandi e delle altre leggi (incompatibili con le prime) per quelli piccoli?
La teoria delle superstringhe risponde con forza di no, proponendosi come una TOE, una Theory of
Everything, capace di dare ragione di ogni cosa e che “ci rassicurerebbe per sempre sulla penetrabilità dei
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misteri dell’universo” . Coniugherebbe, infatti, relatività generale e meccanica quantistica, che
sembrerebbero irrimediabilmente confliggenti, in un’unica teoria coerente che rivoluzionerebbe il concetto
di spaziotempo.
La prima menzione della teoria è rintracciabile al 1968, in un lavoro di Gabriele Veneziano. In seguito si
ampliò grazie alle ricerche di numerosi fisici, in particolare il Veneziano stesso, Miguel Virasoro, Pierre
Ramond, Andrè Neveu, John Schwarz, Joel Scherk, Michael Green, Aleksandr Polyakov e David Gross. A un
certo punto, grazie soprattutto a Peter Townsend, Joseph Polchinski ed Edward Witten, si procedette ad
una vera evoluzione della teoria nella sua versione p-‐brane.
Dell’abbondanza dei condizionali utilizzati in questa introduzione, e che talvolta non potremo evitare anche
nelle sezioni descrittive della teoria, parleremo quando se ne discuteremo gli aspetti epistemologici.
B. GREENE, L’universo elegante. Superstringhe, dimensioni nascoste e la ricerca della teoria ultima.
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1.2 Relatività generale versus meccanica quantistica: il paradosso
Uno dei cardini della meccanica quantistica è il principio di indeterminazione di Werner Heisenberg,
formulato nel 1927. Esso afferma che non è possibile conoscere contemporaneamente la posizione e la
quantità di moto di una particella con precisione arbitraria. Infatti qualora si cerchi di determinare la
posizione di un elettrone, o di una particella in generale, la sua quantità di moto aumenta
indeterminatamente fino a poter acquisire una energia cinetica tale da dare origine a coppie “particella-‐
antiparticella”. Per comprendere questo straordinario risultato della fisica moderna è necessario ricordare
che esso è strettamente legato con la procedura osservativa. Qualunque misura, per quanto sia precisa,
non può essere portata a termine senza che l’oggetto indagato venga illuminato. È proprio la luce a
trasportare ai nostri occhi, o al rilevatore impersonale, l’informazione definitiva della misura. A scale
“quotidiane” ciò non ci preoccupa: le variazioni dovute al principio di indeterminazione sono molto più che
trascurabili! Ma questa situazione cambia radicalmente quando vogliamo, ad esempio, determinare la
posizione di un elettrone “illuminandolo” con un’opportuna radiazione elettromagnetica; è pertanto
necessario che almeno uno dei fotoni della radiazione venga diffuso dalla particella e giunga ai sensori del
rilevatore. A questa scala la quantità di moto del fotone è rilevante rispetto a quella della particella e
nell’urto gli trasferisce una certa quantità di moto, modificandone in modo imprevedibile la traiettoria. Ne
deriva il fatto che, approdati a dimensioni microscopiche, possiamo parlare della natura soltanto in termini
probabilistici, non definitivamente e assolutamente “veri”.
Come anticipato nel paragrafo 1.1, relatività generale e meccanica quantistica lavorano in domini molto
diversi: quasi sempre una sola delle due entra in gioco; però, se proviamo a combinarle, otteniamo risultati
privi di senso. I paradossi emergono nel momento in cui si prende in considerazione lo spazio vuoto.
Anche nella situazione più inerte immaginabile, come in una regione vuota dello spazio, il principio
d’indeterminazione di Heisenberg riesce a svelare un’insospettata e frenetica attività dal momento che
esiste un perpetuo e convulso trasferimento di quantità di moto anche in regioni vuote. L’universo a scala
microscopica, per la meccanica quantistica, è dunque un’area caratterizzata da fluttuazioni che coinvolgono
non di meno il campo gravitazionale. Più ci si avventura nell’infinitamente piccolo, più risulta rilevante
quella che Wheeler chiamò “schiuma quantistica” e, contemporaneamente, perdono di significato le
normali concezioni di spazialità: destra o sinistra, avanti o indietro, la stessa nozione di tempo smarrisce il
suo senso.
D’altro canto, la relatività generale, che si applica a scale astronomiche, ci mostra che, in assenza di massa,
nel vuoto assoluto, lo spazio è piatto, mentre, in presenza di essa la curvatura dello spazio-‐tempo è
regolare.
Capiamo allora che è a scale ultramicroscopiche che incontriamo l’incompatibilità di fondo fra relatività