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Inglese: John Millington Synge (The Aran islands)
Spagnolo: Federico Garcìa Lorca (Impresiones y Paisajes)
Francese: Marcel Proust (A' la recherche du temps perdu); Antoine de Saint-Exupery (Le petit Prince)
Italiano: Gabriele D'Annunzio (La pioggia nel pineto); Giovanni Pascoli (Nebbia)
Inglese e arte: Ernst Gombrich (The Story of Art, cap.25)
Filosofia: Friedrich Nietzsche
7. Giocare a tombola con tutta la famiglia
ITALIANO - Pascoli “Nebbia”
8. L’infinita bellezza e pazienza dell’Irpinia riprodotta nei
quadri di mio nonno
INGLESE e ARTE - Gombrich cap.25 Constable
9. Perché di morire non vale la pena
FILOSOFIA – Nietzsche
10. Vedere che ci sono 1000 motivi per cui vale la
pena vivere, altro che dieci
Urlare ancora una volta “Campioni
del mondo!”
“Campioni del mondo!”
Una frase che a scriverla fa sudare
la mano.
È proprio vero, le gioie più grandi
sono quelle che non ti aspetti: il
quarto mondiale della storia del
calcio italiano ha unito il nostro
paese da Nord a Sud facendoci
sentire, come poche volte accade,
fieri di essere italiani.
Italiani popolo di tifosi, 4
il calcio sport nazionale per antonomasia
Il rapporto privilegiato dell’Italia con il pallone si consolida nel corso
del Ventennio fascista, avendo il regime compreso la forza che
poteva esercitare sulle masse uno sport come il calcio.
Calcio e Fascismo”
Nel saggio “ Simon Martin indaga le strategie
attraverso cui gradualmente il calcio si trasforma da passatempo
quale era in un semplice strumento privilegiato per la costruzione di
un’identità nazionale fiera e orgogliosa. La sua natura, secondo il
Duce, lo rendeva capace di esaltare il popolo, di coinvolgere ampi e
diversificati gruppi sociali, educando ai valori predicati dal regime.
Il calcio, insieme a tutte le altre attività sportive, avrebbe riempito il
tempo libero e tenuto lontano i giovani dai crescenti problemi
sociali, politici, economici.
A partire dal 1926, infatti, il calcio venne sfruttato in patria per
distogliere l’attenzione dai contrasti politici e sviluppare il senso
dell’identità italiana, mentre all’estero divenne uno strumento
diplomatico per migliorare la posizione del regime a livello
internazionale.
“Lo sport abitua gli uomini alla lotta in campo aperto ”: così
Mussolini concepiva il senso della pratica sportiva e il calcio
rappresentò per il regime un’ottima occasione per esprimere la
propria idea di società, in cui i singoli bisogni degli individui sono
sottomessi a quelli della massa collettiva, guidata dalla figura del
capo.
I calciatori azzurri fascisti erano coloro che davano prova di
eroismo, sacrificio e dedizione alla causa della squadra nazionale.
Così “La Gazzetta dello Sport” alla vigilia dei Mondiali di Francia del
1938:
“Le maglie azzurre sono diventate, in tutti i campi, simbolo di
capacità di destrezza, di ardore, di affermazione. Il numero dei
successi singoli si fonde nella luminosa vastità del successo
d’insieme e all’estero la nostra superiorità è riconosciuta, ammirata
e invidiata”.
Il calcio era comunque diventato un elemento costante della vita di
ogni italiano, animava le sue domeniche a tal punto che non si è in
grado di stabilire quanto la gente avesse aderito al fascismo per
convinzione o tramite il calcio, visto che la partecipazione non può
essere considerata da sola elemento di consenso o meno.
Il culmine di questa politica del consenso furono i
campionati e soprattutto i Mondiali e le Olimpiadi. 5
La Nazionale vinse i Mondiali nel 1934 da nazione ospitante e fu
non solo l’occasione per mostrare al mondo i progressi e la potenza
del calcio italiano, ma anche per esibire la gamma intera delle
capacità del regime, organizzando alla perfezione la
manifestazione.
L’apice di questa macchina organizzativa fu la festa per la vittoria
finale, giocata allo stadio Olimpico di Roma davanti a cinquantamila
spettatori, preparati a cantare inni fascisti, sventolando fazzoletti
sui quali era stampato il nome del duce.
L’Italia conquistò anche la medaglia d’oro alle Olimpiadi di Berlino
del 1936 e confermò il titolo di campione del mondo nel 1938 in
Francia.
Walking along the cliffs of the Aran
Islands 6
The Aran islands are a group of three islands
located on the west coast of Ireland. I went
there last summer on holiday with my family
and I remained fascinated, not only by the
fantastic landscape, that is visible from the
high cliffs, but in particular by the roughness
and primitive life of the islands.
The unusual cultural and physical history of
the islands have had an influence on world
literature and arts, becoming the object of
visits by a variety of writers and travelers who recorded their
experiences.
One of them is the Irish poet and playwright John Millington Synge
who, in 1897, had been encouraged to make his first visit by his
friend, William Butler Yeats, who told him: “Go to the Aran islands.
Live there as one of the people themselves; express a life that has
never found expression.”
This visit inspired him a book-length journal “The Aran Islands”,
completed in 1901 and published in 1907, that it was considered by
Synge as “his first serious piece of work”. Here’s Synge’s first
“I have seen nothing so desolate.
impression of the island:
Grey floods of water were sweeping everywhere upon the
limestone, making at times a wild torrent of the road […] I
could see the edge of the sea below me on the right, and
the naked ridge of the island above me on the other side.
[…]”
A great deal of the book is about the landscape, the terrain and the
roaring sea, but Synge talks also about the harsh conditions and the
poverty in which the islanders live. But he is also fascinated by the
secular Celtic culture and the ancient Gaelic language that
remained like “frozen” in these islands. Synge returned from his
trips to the Aran islands with the inspiration that filled his works
with color and life.
The islands will always be with me as well. The Arans islands remain
a place in the heart where I go frequently to recontact something
basic in me. I think that is what they did for Synge as well. 7
Viajar para conocer el mundo que
me circunda
Creo que todos hemos podido disfrutar de
una experiencia vital como la de poder
observar paisajes extranjeros que nunca
habíamos visto anteriormente. ¿Qué es
para mí viajar?
Pienso que es, no sólo una manera de
desconectar de lo habitual y rutinario, sino
también una experiencia única y vital que
te permite conocer nuevas culturas,
diferentes ambientes y probar nuevas experiencias y emociones.
Yo tengo la suerte de haber viajado mucho y puedo afirmar que
cada viaje fue, en mi opinión, una nueva forma de enriquecer mi
conocimiento general.
También por muchos autores o escritores, el viaje fue una
oportunidad para enriquecerse en el alma, buscar diferentes
inspiraciones y objetos sobre los que escribir.
“Impresiones y Paisajes”, el primer libro de poesías publicado
por Federico García Lorca en 1918, es el resultado de los viajes de
estudio realizados por Lorca entre 1916 y 1917, y consiste en
descripciones líricas en prosa de los lugares visitados.
Durante estos viajes, hecho con su profésor universitario Berrueta,
Lorca descubre su vocación de escritor, no sólo por su encuentro
con escritores como Machado y Unamuno, sino también gracias a
los sentimientos y a las emociones que Lorca experimentó en las
ciudades y paisajes visitados.
Lorca no se reduce sólo a describir la realidad exterior, sino también
los impulsos de su alma, escribiendo sus impresiones personales.
Es interesante como, en la poesía Avila, Lorca describe la ciudad
castellana en un estilo surrealista que organiza, clasifica e
8
interpreta la realidad dentro del marco estético, simbólico y
cognoscitivo del modernismo.
Lorca también tuvo ocasiones, en su adolescencia, para dibujar y
pintar. Con certeza y método del pintor impresionista recurre a la
descomposición cromática del paisaje para reproducir el acto de la
visión y representar las diferentes interpretaciones personales.
Entonces, este viaje fue determinante en la vida de Lorca, porque
de esta manera empezó a escribir con la expresividad y la carga
emotiva que lo diferenciaron de los demás autores y lo han
convertido en uno de los poetas contemporáneos más importantes.
9
Se réveiller un matin d’été
avec le parfum de la pizza frite
Vous êtes ici dans le présent, une
sensation survient et, pour des raisons
ignorées, vous êtes replongés
« physiquement » et affectivement dans
un moment de votre passé qui vous fait
revivre la scène comme si vous y étiez à
nouveau.
C’est la même sensation que j’éprouve
quand, un matin d’été, le parfum de la
pizza frite, préparée par ma mère, entre dans ma chambre à
coucher.
La pizza frite est une pizza typique de Naples qui, à la différence de
la pizza « normale », est frite dans l’huile bouillante et peut être
farcie avec de la mozzarella, de la sauce tomate ou du jambon.
Cette odeur me rappelle tous les moments passés de mon enfance
quand je me précipitais à la cuisine pour manger la pizza frite, avec
la même excitation que j’éprouvais le jour de Noël en me réveillant
tout d’un coup pour aller déballer les cadeaux.
Cette année nous avons étudié un écrivain français du XXème
A’ la recherche
siècle, Marcel Proust, qui dans son chef d’œuvre «
du temps perdu » ( 1913-1927), m’a fait apprécier encore plus
cette sensation.
Dans la première partie de son roman, intitulé « Du côté de chez
madeleine
Swann », le narrateur savoure une trempée dans le thé
et le goût du biscuit lui procure d’abord un immense plaisir et, tout
de suite après, le souvenir de son enfance à Combray chez sa tante
Léonie. 10
“Il y avait déjà bien des années que, de Combray, tout ce qui
n’était pas le théâtre et le drame de mon coucher n’existait plus
pour moi, quand un jour d’hiver, comme je rentrais à la maison, ma
mère, voyant que j’avais froid, me proposa de me faire prendre,
contre mon habitude, un peu de thé.
Je refusai d’abord et, je ne sais pourquoi, me ravisai. Elle envoya
chercher un de ces gâteaux courts et dodus appelés Petites
Madeleines qui semblaient avoir été moulées dans la valve rainurée
d’une coquille de Saint-Jacques.
Et bientôt, machinalement, accablé par la morne journée et la
perspective d’un triste lendemain, je portai à mes lèvres une
cuillerée du thé où j’avais laissé s’amollir un morceau de
madeleine. Mais à l’instant même où la gorgée mêlée des miettes
du gâteau toucha mon palais, je tressaillis, attentif à ce qui se
passait d’extraordinaire en moi. Un plaisir délicieux m’avait envahi,
isolé, sans la notion de sa cause.”
Cet épisode, à l’apparence banale, introduit le thème principal de
toute l’œuvre proustienne: le temps.
Proust, à travers «la Recherche», tente de sauver, à travers
l’écriture, le temps passé qui est souvent gaspillé (surtout avec
l’amour et la mondanité) ou qui simplement s’enfuit. Ce temps peut
être retrouvé parce qu’il est gravé quelque part dans notre
conscience. Mais comment retrouver le temps passé ? Il existe
la mémoire volontaire et la
selon Proust deux voies possibles :
mémoire involontaire.
La mémoire volontaire vient de l’intelligence, qui revient en arrière
dans le temps mais qui nous donne du passé seulement des
souvenirs partiels. Au contraire la mémoire involontaire survient à
travers des sensations que l’on éprouve quand on rencontre par
hasard un objet ( la madeleine pour Proust et la pizza frite pour
moi).
Cette mémoire nous fait retrouver la véritable dimension du passé
car la sensation (gustative/olfactive) fait remonter à la surface de la
conscience les émotions d’autrefois. Le narrateur, qui grâce au goût
de la madeleine cesse de se sentir contingent et mortel, fait
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l’expérience de l’intemporel, il réussit à soustraire au temps un
fragment de son existence.
J’ai trouvé, donc, très intéressant et enrichissant étudier l’œuvre et
la pensée de cet auteur révolutionnaire qui utilise, comme matière
du roman, les résonnances du monde extérieur dans son âme
particulièrement sensible.
Comme les poètes symbolistes, il cherche à déchiffrer les
« confuses » paroles du monde. Grâce à cet enseignement, j’
apprécie maintenant encore plus la pizza frite, et chaque fois que je
la mangerai je penserai, dorénavant , non seulement aux souvenirs