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Sintesi
Filosofia - Il mito di Orfeo secondo Blanchot e Friedrich Nietzche
Greco - Il mito in Fanocle e la poesia Alessandrina
Latino- Il mito in Ovidio e Virgilio
italiano - Il mito in Poliziano, Cesare Pavese, Salvatore Quasimodo, Italo Calvino, il simbolismo in Europa
Storia dell'arte - Varie opere in particolare Orfeo trovatore stanco di De Chirico e Orfeo di Gustave Moreau
inglese - Il mito secondo Adrienne RIch
Estratto del documento

Le prime testimonianze della figura di Orfeo risalgono al poeta greco Ibico di Reggio (VI sec a.C.) Questi

.

definì il cantore Tracio « » mentre Eschilo, nella perduta tragedia Le Bassaridi, indicò

ὀνομακλυτὸν Ὀρφήν

Orfeo come «colui che incanta la natura intiera con i suoi carmi»; e retaggio di una cultura arcaica, primitiva è

difatti la capacità di ammansire con il canto ogni essere vivente come scrisse Simonide:

« τοῦ καὶ ὰπειρέσιοι ποτῶντο ὄρνιζες ὑπὲρ « Sul suo capo volavano anche innumerevoli uccelli e

κεφαλᾶς, ἀνὰ δ'ἰχθύες ὀρθοὶ κνανέου ἐξ ὓδατος diritti dalla profondità dell'acqua cerulea i pesci guizza-

ἃλλοντο καλᾶι σὺν ἀοιδᾷι » vano in alto al suo bel canto. »

(Simonides fr. 40 (PLG III p.408) Orfici. Testimonianze e frammenti

nell'edizione di Otto Kern. Traduzione di Elena Verzura. Milano, Bom-

piani, 2011 pp.60-1)

De consolatione philosophiae

Boezio nel vide in Orfeo l’immagine dell’anima umana, distratta dagli interessi

Orpheus Eurydicem suam /Vidit, perdidit, occidit /

terreni a tal punto da rinunciare alla sapienza autentica («

Vos haec fabula respicit, Quicunque in superum diem /Mentem ducere quaeritis. »); i primi Cristiani arrivarono

ad accostare Orfeo all’immagine di Cristo, così che l’iconografia del cantore tracio negli affreschi delle cata-

combe, venne resa simile all’iconografia del Buon Pastore. E tuttavia l’interpretazione più forte che permane

dalla mitologia greca sino alla cultura occidentale odierna, è quella di un poeta simbolo dell’esperienza arti-

stica, in grado di incarnare valori eterni, e il cui respicere ha di volta in volta assunto più di un significato.

Nativo della Piera l’antica Tracia, Orfeo è figlio di Apollo e di Calliope ed iniziatore ed eponimo dei misteri

greci. Sacerdote e musico prese parte secondo Apollonio Rodio e Stazio all’impresa degli Argonauti ;

quando la sua sposa Euridice morì a causa del morso di un serpente, Orfeo si recò nell’Ade e grazie al suo

canto ottenne che la donna tornasse nel regno dei vivi. Ma durante il tragitto, Orfeo disubbidendo al monito

degli dei, si voltò : ed Euridice scomparse per sempre.

Secondo Heidegger, la poesia di Orfeo « sorge dall’estasi e dalla mania, mostrando con profondità massima il lega-

me fra le due divinità che la governano; la poesia orfica ha contenuto dionisiaco e forma apollinea .

»

Da un lato Orfeo rappresenta il risveglio, l’integrazione superiore della coscienza, simboleggiata dalla luce

del dio Sole; dall’altro il suo smembramento a opera delle Menadi, nella parte finale del mito, sembra allude-

σπαραγμός

re al rituale dionisiaco, allo che contempla l’unione dell’uomo con il divino. D’altro canto la mu-

sica, di cui Orfeo è altro simbolo, è definita nella filosofia di Nietzsche come quell’arte sensuale legata a

un’ebrezza parossistica attraverso cui l’uomo accetta un’esistenza di dolori e di contraddizioni. Lezione assi-

milata dal poeta tedesco Rainer Maria Rilke, che celebra Orfeo nei suoi Sonetti .

La musica sorge dove il linguaggio distrugge se stesso, e nel mondo di precarietà ed incertezze del poeta, nell’im-

possibilità di conoscere appieno il reale, viene esaltata l’interiorizzazione, gli enti esterni diventano segni sa-

turi di valori emotivi, percepibili nella sola poesia; ogni aspetto della vita è pienamente accettato, fino ad arri-

vare ad un’unità cosmica vita/morte colta come inesauribile metamorfosi dove il divenire di Eraclito e l’esse-

re di Parmenide coincidono.

Roelandt Savery ,Orfeo, (1628) National Gallery. Savery fu un pittore , nativo delle Fiandre, esperto nel rappresentare paesaggi e nature morte. In questo

dipinto, egli sceglie di ritrarre Orfeo non con la cetra, ma con un violino. Il cantore è inoltre attorniato da numerose specie animali, fra cui, a partire da

sinistra dei leoni, un pellicano, un bue, dei cervi, mentre a destra compaiono un elegante, un cammello, dei cavalli e dei pappagalli.

4

L’elegia eziologica di Fanocle

Il poeta ellenistico Fanocle (forse del principio del 3º sec. a. C.), autore di Amori o i

belli, racconta la vicenda dell’uccisione di Orfeo da parte delle donne della Tracia

in una elegia eziologica contenuta nell’opera (il poeta spiega perché le donne di

Tracia abbiano dei tatuaggi, ricordo del marchio imposto loro dai mariti a punizio-

ne del dell’uccisione di Orfeo)

Le donne infatti avevano punito il cantore perché gelose del suo amore per il gio-

vane Kalais. Dopo aver ucciso Orfeo, queste tagliarono la sua testa e la posero nel-

la sua cetra gettandola in mare. . La testa giunta nell’isola di Lesbo, venne sepolta

in quella terra, che da quel momento divenne patria della poesia monodica eolica.

O come il figlio di Onagro, il tacito Orfeo

Amava di cuore Kalais figlio di Borea,

e spesso nei boschi ombrosi sedeva cantando

il suo amore, e il cuore non aveva pace,

ma sempre insonni pene nell’animo

lo tormentavano guardando il fiorente Kalais

Ma lui le Bistondi malvagie circondarono e

uccisero avendo aguzzato le taglienti spade

poi che primo aveva mostrato tra i Traci gli amori

maschili e non apprezzava gli amori delle donne.

E col bronzo gli straccarono il capo, e poi

nel mare tracio lo gettarono con la lira

fissata con un chiodo, affinchè fossero trascinati dal mare

entrambi insieme, bagnati dai glauchi flutti.

E il canuto mare li spinse alla sacra Lesbo:

e un suono come di armoniosa lira tenne il mare

e le isole e i lindi mari, dove la melodiosa

testa di Orfeo, gli uomini seppellirono,

e sul tumulo l’arguta cetra posero, che per i muti

sassi persuadeva e l’odiosa acqua di Forco.

Da allora i canti e l’amabile arte della cetra

tengono l’isola, e di tutte la la più canora

E come i bellicosi Traci appresero il crudele atto

delle donne e a tutti venne grande dolore,

e le mogli marchiarono, perchè sul corpo portando il segno

livido non dimenticassero l’odiosa strage.

E la pena per Orfeo ucciso pagarono le donne

pur ora a causa di quella colpa.

5

Mosaico di Orfeo, seconda metà del II secolo d.C, Domus del chirurgo, Rimini

Il mito in Virgilio e in Ovidio

Le interpretazioni del mito nella letteratura Latina risalgono alla poesia di Virgilio (70 a.C -19 a.C) e di

Ovidio (43 a.C-18 d.C ).Virgilio narra l’episodio nel IV libro delle Georgiche, inserito all’interno di un’al-

tra narrazione—la vicenda degli sciami del pastore Aristeo—mediante l’artificio narrativo del racconto

nel racconto , di gusto Alessandrino.

Il mito sembra essere concepito in meditato contrasto con la cornice della bugonia. Secondo alcune inter-

pretazioni, mediante Orfeo Virgilio si riferirebbe in cifra a Gallo poeta. Il narratore dell’epillio è Proteo,

che rivela ad Aristeo la colpa per cui è stato punito, scoprendo la ragione della pestilenza che ha colpito le

sue api. Due sono i temi al centro dell’episodio: il potere del canto poetico, e la forza distruttiva dell’a-

more. Per quanto il poeta sia dotato della capacità di piegare gli dei più ostili, il predominio del furor con-

danna l’uomo al fallimento.

La morte di Euridice è raccontata per allusioni, omettendo i dettagli più crudi e foschi in contrasto con la

versione di Ovidio. Si ha un parallelismo fra la disperazione di Orfeo e la disperazione della natura; ma

non vengono riportate le parole con cui il poeta tenta di convincere Ade. Inoltre, al contrario delle Argo-

nautiche di Apollonio Rodio, dove Orfeo vince le Sirene con un canto scientifico sul cosmo, l’Orfeo di Vir-

gilio persuade gli dei con un canto sulla sofferenza amorosa, sul distacco.

Al contrario della versione di Ovidio, l’enfasi è posta sulla commozione delle anime, più che sull’arresto

dei tormenti infernali; le condizioni del patto degli dei vengono riferite solo in seguito, quando sono sul

punto di essere violate (IV, vv 492 rupta tyranni/foedera). Orfeo si volta per furor, e contra legem guarda

l’oggetto del suo amore: passione vista come follia, dementia (IV, vv288:cum subita incautum dementia cepit

amantem) . Sotteso è il monito a non disobbedire agli ordini divini ( aspetto è in accordo coll’ideologia del-

le Georgiche ) . Il poeta si ritrova così isolato , si ripiega su se stesso e tenta di risolvere tutto nel canto ma

il furor erotico finisce per perderlo.

Lo stesso paradosso che appare nella poesia elegiaca: la poesia nasce come consolazione per vincere l’in-

felicità della passione amorosa. (IV, vv 464 solans aegrum … amorem). Così che il dolore diviene irrinuncia-

bile alimento della poesia, la sostanza dei suoi contenuti. In una tale esasperazione progressiva della poe-

sia, questa non può che ridursi a sola voce, nucleo della rappresentazione Virgiliana di Orfeo, in contrasto

con la vita del georgos Aristeo. 6

Illustrazione da un manoscritto tedesco delle Metamorfosi di Ovidio, XIV secolo

Ovidio, nel X libro delle Metamorfosi, mostra la sua tecnica raffinata soprattutto nel discorso di Orfeo agli

dei dell’Ade, in un saggio di abilità retorica che ricorda le argomentazioni delle suasorie; non mancano

tuttavia segni di partecipazione e di commozione.

L’enfasi della narrazione è posta sull’arrestarsi dei tormenti infernali, e sulla commozione delle varie

creature fra cui le stesse Eumenidi (X, vv45-46)Tunc primum lacrimis victarum carmine fama est /Eumenidum

maduisse genas...). I re degli Inferi stringono subito il patto di cui vengono riferite le condizioni. (X, vv 51

ne flectat retro sua lumina ). Sulla via del ritorno, Euridice arranca e Orfeo la prende per mano. Il poeta si

volta per sfiducia negli dei e ansia di rivedere Euridice, non per furor (X, 56 hic, ne deficeret, metuens avidu-

sque videndi / flexit amans oculos...) .

La donna amata appare come un personaggio marginale, non proferendo parola (X, vv 61 non est de co-

niuge quicquam questa suo); scompare sotto lo sguardo di Orfeo, il quale rimane attonito impietrito (X, vv

67 saxus per corpus aborto).

Nell’XI libro delle Metamorfosi Orfeo è dilaniato dalla follia delle baccanti; la scena è descritta da parti-

colari vividi e cruenti ( XI, vv 18 tum denique saxa, non exauditi rubuerunt sanguine vatis) . Il capo reciso di

Orfeo giunge infine all’isola di Lesbo mentre la sua ombra si ricongiunge all’amata Euridice, che trova

negli arva piorum . Le anime dei due amanti possono così abbracciarsi nuovamente, dopo l’infelice tentati-

vo nei versi 58-59 del X libro (brachiaque intendens prendique et prendere certans/ nil nisi cedentes infelix arripit

auras). Quest’ultima immagine, ricorda altri celebri versi come quelli che Omero mette in bocca a Odisseo

quando rievoca il momento più commovente del suo incontro con la madre nel regno dei morti. (Omero,

Odissea, XI, vv 204-208)

“ E mi slanciai tre volte, il cuore mi obbligava ad abbracciarla; tre volte dalle mie mani, all’ombra simile o al sogno

volò via… ” (Traduzione R. Calzecchi Onesti).

Anche Virgilio utilizza lo stesso tòpos (VI libro dell’Eneide, vv 76-80) . “ Tre volte cercò di gettargli le braccia

al collo, tre volte l’ombra, invano abbracciata, gli sfuggì dalle mani” (Traduzione C. Vivaldi). Infine Dante senza

dubbio tenne presente sia Virgilio sia Ovidio quando nel II canto del Purgatorio incontra l’anima di Ca-

sella (Dante, Purgatorio, II , vv. 76-81) .

“Io vidi una di lor trarresi avante /per abbracciarmi, con sì grande affetto, che mosse me a fare lo somigliante. /Ohi

ombre vane, fuor che ne l’aspetto!/Tre volte dietro a lei le mani avvinsi, e tante volte mi tornai con esse al petto.”

7

La fabula di Poliziano

Dopo il suo allontanamento da Firenze Angelo

Poliziano soggiorna a Bologna, Padova e Venezia,

e infine giunge a Mantova. Qui compone la Favo-

la (o Fabula) d’Orfeo, spettacolo drammatico di ar-

gomento profano, considerato un primo esempio

di dramma pastorale.

“Silenzio. Udite. E’ fu già un pastore

figliuol d’Apollo, chiamato Aristeo.

Costui amò con sì sfrenato ardore

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