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Inglese: William Shakespeare (Hamlet);
Matematica: John Nash (la teoria dei giochi);
Biologia: schizofrenia, malattie genetiche e mutazioni genetiche;
Fisica: EEG, TrimProb e le onde elettromagnetiche ;
Storia: Adolf Hitler
sono gli ideali in cui vorremmo serbarci coerenti, tutte le finzioni che ci
creiamo […]. Ma dentro di noi stessi, in ciò che noi chiamiamo vita, e che
è la vita in noi, il flusso continua […]. In certi momenti tempestosi,
investiti dal flusso, tutte quelle nostre forme fittizie crollano miseramente
[…]. La vota, allora, che s’aggira piccola, solita, fra queste apparenze ci
sembra quasi che non sia più per davvero, che sia come una
fantasmagoria meccanica. E come darle importanza? Come portarle
rispetto?” L’umorismo,
- Parte seconda- Pirandello
Il contrasto vita e forma è a fondamento dell’arte pirandelliana e della
stessa poetica dell’umorismo, sottolineando ironicamente come la forma
reprime la vita rivelando gli autoinganni
con i quali il soggetto si difende dalla forza
dei bisogni vitali.
Il soggetto, costretto a vivere nella forma,
non è più persona integra, coerente e
compatta, ma si riduce a una maschera ( o
personaggio) che recita la parte che la
società esige da lui e che egli stesso si
impone. Proprio per questo nell’arte
umoristica non sono più possibili né persone né eroi, ma solo maschere o
personaggi. Per Pirandello dunque tutti gli uomini sono maschere o
personaggi perché tutti recitano una parte.
L’uomo non è più coerente, solido perché non è più persona. Ha quindi
davanti a sé solo due strade: o sceglie l’incoscienza, l’adeguamento
passivo della forma, oppure vive consapevolmente la scissione tra forma
e vita. Nel primo caso è solo una maschera, nel secondo una maschera
nuda dolorosamente consapevole degli autoinganni propri e altrui, ma
impotente. La riflessione, nel secondo caso, interviene continuamente a
porre distanza fra il soggetto e i propri gesti, fra l’uomo e la sua vita, il
personaggio quindi “si guarda vivere” piuttosto che vivere veramente.
Questo distacco riflessivo, pietoso e ironico allo stesso tempo, è il segno
dell’umorismo. Ed è questo a distinguerlo dalla comicità. Nel comico è
assente la riflessione: il comico nasce la semplice e immediato
“avvertimento del contrario”. Invece l’umorismo è il “sentimento del
contrario” che nasce dalla riflessione.
Pirandello e il teatro 13
Come già introdotto precedentemente, Luigi Pirandello inizia a dedicarsi
maggiormente al teatro dal 1910, ma solo nel 1920 - 1921 la scelta
teatrale diventa centrale. Si possono quattro diverse fasi nella sua
attività: Liolà)
- la prima fase è dominata dal teatro dialettale ( e dal “teatro
del grottesco”, quest’ultimo volto a smascherare l’ipocrisia e
Così è (se vi
l’inautenticità delle convinzioni borghesi, come in
pare);
- la seconda fase è quella del “teatro nel teatro”, elaborata con la
Sei personaggi in cerca d’autore Questa sera si recita a
trilogia: ,
soggetto Ciascuno a suo modo;
e Enrico IV
- la terza fase è segnata da un altro capolavoro, (scritto nel
1921), che mette al centro i temi della finzione e della realtà, della
recita e della pazzia;
- la quarta ed ultima fase è quella ei “miti”, in cui l’arte riacquista
una capacità di rivelazione e una volontà simbolica. Il testo più
I giganti
importante di questa fase, rimasto però incompiuto, è
della montagna.
Enrico IV e il contrasto vita - forma
Enrico IV è una commedia in 3 atti di Luigi Pirandello. Fu scritta nel 1921
e rappresentata per la prima il 24 febbraio 1922 al Teatro Manzoni di
Milano. L’opera si apre narrando di una mascherata in
costume a cui prendono parte un nobile del
primo '900 che impersona Enrico IV, Matilde di
Spina, donna di cui l’uomo è innamorato, ed il
suo rivale in amore Belcredi. Quest'ultimo
disarciona Enrico IV che nella caduta batte la
testa e si convince di essere realmente il
personaggio storico che stava impersonando. La
follia dell'uomo viene assecondata dai servitori
che il nipote di Nolli mette al suo servizio per
alleviare le sue sofferenze; dopo 12 anni Enrico
guarisce e comprende che Belcredi lo ha fatto
cadere intenzionalmente per rubargli l'amore di
Matilde, che poi si è sposata con Belcredi ed è
14
fuggita con lui. Decide così di fingere di essere ancora pazzo, di
immedesimarsi nella sua maschera per non voler vedere la realtà
dolorosa. Dopo 20 anni dalla caduta, Matilde, in compagnia di Belcredi,
della loro figlia e di uno psichiatra vanno a trovare Enrico IV. Lo psichiatra
è molto interessato al caso della pazzia di Enrico IV, che continua a
fingersi pazzo, e dice che per farlo guarire si potrebbe provare a
ricostruire la stessa scena di 20 anni prima e di ripetere la caduta da
cavallo. La scena viene così allestita, ma al posto di Matilde recita la
figlia. Enrico IV si ritrova così di fronte la ragazza, che è esattamente
uguale alla madre Matilde da giovane, la donna che Enrico aveva amato
e che ama ancora. Ha così uno slancio che lo porta ad abbracciare la
ragazza, ma Belcredi, il suo rivale, non vuole che sua figlia sia
abbracciata da Enrico IV e si oppone. Enrico IV sguaina così la spada e
trafigge Belcredi: per sfuggire definitivamente alla realtà "normale" (in
cui tra l'altro sarebbe stato imprigionato e processato), decide di fingersi
pazzo per sempre. Sei personaggi
Considerato il capolavoro teatrale di Pirandello insieme a
in cerca di autore, Enrico IV è uno studio sul significato della pazzia e sul
rapporto tra personaggio e uomo, finzione e verità.
L'Enrico IV appartiene alla terza fase del teatro pirandelliano, quella
cosiddetta del teatro nel teatro.
Enrico IV sembra restaurare il clima e la scenografia della tragedia: lo
spazio è quello tradizionale della reggia, le tre unità aristoteliche (spazio,
tempo e azione) sono rispettate e il protagonista è un re che parla con
dignità e linguaggio reali.
In realtà ciò che il lettore/spettatore si trova davanti è ben diverso: la
reggia non è altro che è una messa in scena e il re è un comune
borghese che finge d’essere Enrico IV. Egli infatti continua a recitare
consapevolmente la parte del pazzo, agevolato da servitori che si
vestono e si comportano da medievali, anche dopo che per dodici anni
era stato effettivamente folle. Il personaggio, così, viene proiettato nel
passato perduto, nel presente che non può vivere
nella sua identità normale e nel futuro nel quale è
impossibilitato a proiettarsi poiché considerato
pazzo.
La tragedia insomma si rivela degradata, e
l’opera si propone piuttosto come discorso sulla
tragedia e sulla sua impossibilità al presente.
L’immagine del rivale d’amore trafitto dalla
spada, tipico dramma della tragedia 15
ottocentesca, è un puro pretesto per mettere in scena la necessità
drammatica dell’estraneità. L’uomo diventa così un’identità fittizia che
solo ritirandosi dalla vita, rifugiandosi nella storia passata e nella follia,
può conservare una lucida estraneità, necessaria non solo nei confronti
dell’esistenza reale, ma anche dei propri stessi sentimenti.
Enrico è vittima non solo della follia, prima vera poi cosciente, ma
dell'impossibilità di adeguarsi ad una realtà, stritolato nel ruolo fisso del
pazzo. Così, quando Matilde, Belcredi e uno psichiatra, vent’anni dopo
l’episodio della caduta da cavallo, vanno a trovare il presunto Enrico IV
nel tentativo di guarirlo, questi trafigge il rivale non tanto per gelosia,
quanto per cancellare il mondo del rimosso, delle pulsioni del passato
che sono tornate improvvisamente a manifestarsi, e soprattutto per
conservare un’immagine di pazzo che gli consentirà di continuare a
guardare la vita da fuori, esasperando la situazione di disagio di Enrico IV
che non riesce a trovare un ruolo nel suo presente.
La fissità della forma nella quale Enrico IV è rinchiuso rappresenta perciò,
al contempo, anche una salvezza per l'uomo, che vi si è rifugiato,
estraniandosi dalla vita reale:
« Preferii restare pazzo e vivere con la più lucida coscienza la mia pazzia
[...] questo che è per me la caricatura, evidente e volontaria, di
quest'altra mascherata, continua, d'ogni minuto, di cui siamo i pagliacci
involontari quando senza saperlo ci mascheriamo di ciò che ci par
d'essere [...] Sono guarito, signori: perché so perfettamente di fare il
pazzo, qua; e lo faccio, quieto! - Il guaio è per voi che la vivete
agitatamente, senza saperla e senza vederla la vostra pazzia.»
(Enrico IV, atto terzo)
Pirandello trova sensatezza nella follia, che diviene secondo lui punto di
Enrico IV
rottura con la falsità della realtà: è quindi la metafora
dell'uomo moderno con tutte le sue problematiche.
La follia può apparire come dimensione autentica di fronte
all'inautenticità delle convenzioni: il folle capovolge i valori consueti, fa
apparire malato ciò che viene dichiarato sano, e viceversa.
Il treno ha fischiato
Accade così nella novella (1914): l'impiegato Belluca,
sottoposto alle angherie dei compagni d'ufficio, considerato da tutti un
“vecchio somaro” e poco più che un “casellario ambulante”, cerca nella
pazzia un'evasione e un rifugio, smascherando la meschinità e grettezza
di coloro che lo circondano. La follia diventa così una contestazione
contro la società ma, essa assume soprattutto un significato metaforico.
16
Essa ha un preciso scopo, quello di mettere in dubbio, sino a dissolvere,
Così è (se vi pare).
la nozione di verità. È questo il tema di
Alla fine del dramma, infatti, riesce del tutto impossibile stabilire chi sia il
folle tra la signora Frola e il signor Ponza: ma quel che è certo è che la
follia ha sconvolto la percezione della realtà dei curiosi e degli spettatori.
La follia rivela così un terribile potere distruttivo.
nell'Enrico IV
Ma la follia non mette più solo in discussione la verità,
Cosi è (se vi pare),
come accadeva nel ma l'identità personale. Questa si
disgrega e viene sostituita da una maschera: l'uomo reale scompare e
resta solo il travestimento assunto nella festa in maschera.
“Trovarsi davanti a un pazzo sapete che significa? Trovarsi davanti a
uno che vi scrolla
dalle fondamenta tutto quanto avete costruito in voi, attorno a voi,
la logica di tutte
le vostre costruzioni.” Enrico IV)
(
L'unica verità è che non esiste verità e che nulla è conoscibile. 17
Hamlet’s madness: an instrument of
revelation of truth of the human soul
William Shakespeare
William Shakespeare (baptized 26 April
1564; died 23 April 1616) was an English
poet and playwright, widely regarded as
the greatest writer in the English language
and the world's pre-eminent dramatist. His
plays have been translated into every
major living language and are performed
more often than those of any other
playwright.
Shakespeare was born and brought up in
Stratford-upon-Avon. At the age of 18, he
married Anne Hathaway, with whom he
had three children: Susanna, and twins
Hamlet and Judith. Between 1585 and
1592, he began a successful career in London as an actor, writer, and
part owner of a playing company called the Lord Chamberlain's Men,
later known as the King's Men. He appears to have retired to Stratford
around 1613 at age 49, where he died three years later. Few records of
Shakespeare's private life survive, and there has been considerable
speculation about such matters as his physical appearance, sexuality,
religious beliefs, and whether the works attributed to him were written by
others.
Shakespeare produced most of his known work between 1589 and 1613.
His early plays were mainly comedies and histories. He then wrote
Hamlet,
mainly tragedies until about 1608, including King Lear, Othello,
and Macbeth, considered some of the finest works in the English
language. In his last phase, he wrote tragicomedies, also known as
romances, and collaborated with other playwrights.
Many of his plays were published in editions of varying quality and
accuracy during his lifetime. Shakespeare was a respected poet and
playwright in his own day, but his reputation did not rise to its present
18
heights until the 19th century. The Romantics, in particular, acclaimed
Shakespeare's genius.
Hamlet : plot
Hamlet is Shakespeare's longest play and among the most powerful and
influential tragedies in the English language. The protagonist of Hamlet is