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Non potendo definire precisamente la follia in quanto argomento vario e complesso, ho presentato una rassegna di autori che ne hanno elaborato diverse definizioni. Il mio obiettivo è metterle a confronto.
Italiano: Decadentismo, Pirandello, Baudelaire
Latino: Seneca
Filosofia: Erasmo da Rotterdam, Freud
Storia dell'arte: Gericault, Dubuffet
CHARLES PIERRE BAUDELAIRE
«Tieniti i sogni: i saggi non ne hanno di così belli come i pazzi!»
(Charles Pierre Baudelaire)
Baudelaire (Parigi,1821 – Parigi,1867) è considerato il progenitore della poesia novecentesca
decadente, la prima sorgente di tutta la lirica moderna. Celebri sono le pagine in cui il critico
tedesco Erich Auerbach individua l’originalità della poesia baudelairiana nella mescolanza di lirico
e prosaico, nelle scelte stilistiche triviali e dimesse, quasi ripugnanti e spregevoli, che recuperano
quella triste e banale realtà quotidiana che finora era stata ignorata e respinta. Da un lato la poesia di
Baudelaire nasce da un rifiuto verso il suo tempo, dall’altro esprime una condanna ai miti e ai
simboli borghesi e la volontà di vincere l’insopportabile tedio della vita che questo gruppo di poeti
percepiscono. Ho trovato molto interessante una parte del suo secondo capolavoro, “Lo spleen di
Parigi”, composto negli ultimi anni di febbrile attività, prima di essere rinchiuso in una casa di cura.
Il brano che ho deciso di inserire, in quanto inerente a questo argomento, si intitola “Il cattivo
vetraio”.
«Una mattina mi ero svegliato di cattivo umore, triste, stanco e annoiato, e portato, così mi
sembrava, a compiere qualcosa di grande, un'azione clamorosa. E purtroppo aprii la finestra! […]
La prima persona che scorsi nella strada fu un vetraio il cui grido acuto e stridente saliva fino a me
nella greve e sudicia atmosfera parigina. D'altra parte, mi sarebbe impossibile spiegare perché fossi
preso da un odio così repentino e dispotico nei confronti di quel poveretto. « - Ehi! Ehi!», e gli
gridai di salire. Intanto riflettevo, non senza allegria, che, essendo la stanza al sesto piano e la scala
molto stretta, l'uomo avrebbe dovuto penare alquanto per compiere la sua ascesa e far passare senza
danno in diverse strettoie gli spigoli della sua fragile mercanzia. Finalmente comparve. Esaminai
con curiosità tutti i suoi vetri e gli dissi: «Ma come? Non avete vetri colorati? Vetri rosa, rossi, blu,
vetri magici, vetri di paradiso? Siete uno spudorato! Osate andarvene in giro per i quartieri poveri
senza nemmeno avere dei vetri che facciano vedere più bella la vita!». E lo spinsi a forza verso la
scala, dove inciampò borbottando. Mi avvicinai al balcone, afferrai un piccolo vaso di fiori, e
quando l'uomo ricomparve fuori del portone lasciai cadere perpendicolarmente il mio ordigno di 15
guerra sul lato posteriore della sua rastrelliera; il colpo lo fece cadere all'indietro, ed egli finì di
rompere, cadendoci sopra con la schiena, tutta la sua povera fortuna ambulante, che mandò il
fragore di un palazzo di cristallo colpito dal fulmine. E io, ebbro della mia follia, gli gridavo
furiosamente dietro: «Più bella la vita! più bella la vita!». Questi scherzi dei nervi non sono esenti
da pericoli, e spesso li si può pagare cari. Ma che cosa importa l'eternità della dannazione a chi ha
trovato nell'attimo l'infinito del godimento?»
VISIONE DEL MONDO DECADENTE
La visione del mondo decadente è stata definita come irrazionalismo misticheggiante: essa deriva
sia dal rifiuto della visione positivistica tipica dell’ambiente borghese, sia dalla volontà di andare
oltre la realtà razionalizzata dalla scienza per proiettarsi in una realtà nascosta. Il decadente infatti
ritiene che la ragione e la scienza non possano dare la vera conoscenza del reale perché l’essenza di
esso è al di la delle cose, misteriosa ed enigmatica. Si può raggiungere l’ignoto solo rinunciando
all’approccio razionale, solo tendendo la propria anima verso l’inconoscibile mistero che si cela
dietro le apparenze.
Ogni forma visibile perciò non è che un simbolo di qualcosa di più profondo che sta al di là di essa
e si collega con infinite altre realtà in un rete di arcane corrispondenze che solo colui che si lascia
struggere dal vortice tenebroso dell’inconscio è in grado di individuare. La scoperta dell’inconscio è
un dato fondamentale della cultura decadente e persino Freud, in seguito, riconoscerà il suo debito
verso i decadenti: ciò a cui lui aveva dato veste scientifica era stato prima di lui intuito da artisti e
poeti.
Comunque, se l’essenza segreta della realtà non può essere colta attraverso la scienza o la ragione,
altri sono gli strumenti privilegiati di questo tipo di conoscenza. Essi sono tutti gli stati abnormi e
irrazionali dell’esistere: la malattia, la nevrosi, il delirio, il sogno e l’incubo, l’allucinazione e
ovviamente anche la follia. Questi stati di alterazione ci sottraggono dal limitante e paralizzante
controllo della ragione, aprendo al nostro sguardo interiore prospettive ignote e misteriose: per
questo tali stati sono ritenuti in grado di consentire il contatto con l’assoluto e di stimolare
infinitamente la creazione artistica. La follia quindi è una stato di alterazione cognitiva che
trasforma il poeta in un veggente e lo porta a conoscere la realtà autentica.
LA SCAPIGLIATURA
La scapigliatura fu un movimento parallelo al decadentismo, sviluppatosi nel nord Italia, in
particolar modo a Milano, durante la seconda metà dell’Ottocento. 16
A questo movimento diedero vita scrittori ed artisti appartenenti alla borghesia benpensante, nel
tentativo di reagire alle imposizioni della famiglia e del nascente Stato italiano.
Gli scapigliati erano spiriti profondamente romantici, che si opponevano ad una letteratura ormai
scaduta nel sentimentalismo e nella sdolcinatura per mezzo di una scrittura inquieta e
anticonformista, sviluppando una sorta di anti-morale comune che portò molti di loro a una vita
sregolata e talvolta alla morte.
Le loro opere oscillavano fra rappresentazioni realistiche, portate fino all’estremo, e racconti
fantastici macabri, spesso basati sulla superstizione e la mistica esoterica popolare. La volontà di
turbare e stupire, è rivelata dall’interesse morboso o quasi provocatorio per l’abnorme e
l’eccezionale, per tutte le patologie e soprattutto psicologiche: la loro è un’arte realistica, che non
indietreggia di fronte al brutto, al banale, al patologico, al folle, anzi, cerca di svelarlo e ostentarlo.
Così come gli Scapigliati, anche diversi esponenti sia dell’arte romantica, sia, successivamente,
dell’arte contemporanea, hanno focalizzato la loro attenzione sulla realtà della follia.
Jean-Louis Théodore Géricault (Rouen, 26 settembre 1791 – Parigi, 26 gennaio 1824) è stato un
pittore francese esponente dell'arte romantica. All'età di quattro anni si trasferisce a Parigi. Cresce in
una famiglia solida e abbiente, il che gli garantisce una buona e regolare istruzione. Presto il
giovane Géricault scopre le sue passioni, quella artistica e quella militare, entrambe accomunate
dall'amore profondo per i cavalli. Successivamente la sua ricerca artistica si indirizza verso temi di
natura più sociale, particolarmente attratto dalla sofferenza umana, dalla sconfitta, dalla tragedia.
Tra il 1820 e il 1821 soggiorna a Londra per alcuni mesi: viene attirato soprattutto dai bassifondi,
dall’emarginazione, dal lato meno esaltante della metropoli moderna, quello che nessuno,
nell’euforia per il progresso industriale, voleva ancora vedere e rappresentare.
Nel 1822 l’artista si ammala di una forma depressiva che lo porta a rivolgersi al giovane e già noto
alienista dottor Étienne-Jean Georget che, a sua volta, lo presenta al celebre medico e scienziato
Jean-Étienne Dominique Esquirol. 17
Questi due eventi della sua vita stimolano l’artista ad intraprendere un indagine sulla follia, nella
quale si impegna a dimostrare che essa è una malattia, ma non una colpa da punire in quei luoghi di
orrore che erano i manicomi dell’epoca. Egli denuncia l'emarginazione dei malati mentali (contro la
quale si battevano gli stessi Georget ed Esquirol): essi devono essere considerati degli esseri umani
a tutti gli effetti, bisognosi di cure perché prigionieri di una malattia mentale e del dolore che da
essa ne consegue.
Gericault dipinge dal vivo dieci ritratti (cinque dei quali andati dispersi) di uomini e donne affetti da
alterazioni psichiche, più precisamente da monomanie, cioè ossessioni che coinvolgono un unico
aspetto del comportamento (il furto, il gioco d’azzardo, la pedofilia, l’invidia). Le monomanie che
ci restano documentate sono l'invidia, la mania del gioco, la cleptomania e l'assassinio, il rapimento
dei bambini e la mania del comando militare. La loro datazione non è certa, ma dovrebbe essere
compresa fra 1822 e 1823.
Queste opere rappresentano un’indagine scientifica della follia attraverso la pittura, che costituisce
una novità assoluta nella storia dell’arte. Per la prima volta infatti, l’intento dell’artista è quello di
compiere un lavoro sistematico, simile ad una ricerca scientifica, nel quale studiare a fondo
l'individuo e la sua interiorità. Alla comprensione del mondo interiore, misterioso e irrazionale, si
affianca il tema dell'infelicità e della sofferenza umana, tema che riguarda in particolare il mondo
dei poveri e degli emarginati.
Il suo interesse dal dramma collettivo de “La zattera della Medusa” si trasferisce a quello
individuale di questi dipinti. Dei protagonisti di queste opere il pittore rende (attraverso la
profondità espressiva degli occhi, il movimento dei piani facciali e il rapporto cromatico) il dolore
interiore, la sofferenza di chi guarda un mondo che non comprende e che gli è estraneo: pazzo è l’
“a-normale”, il “diverso”, l’ “irregolare”, colui cioè che non agisce come gli altri vorrebbero; perciò
è emarginato dalla società.
Gli "alienati" sono visti come personaggi misteriosi, che incuriosiscono, colpiscono per le facce e le
espressioni intense, così caratteristiche e molto particolari, ma allo stesso tempo, profondamente
umane. Coglie i sintomi del delirio negli sguardi, nell’abbigliamento, ma il suo pennello rivela
simpatia e partecipazione: non abbiamo di fronte mostri, ma esseri umani la cui ragione è vigile
solo in parte.
Théodore Géricault, “Alienata con la monomania dell’invidia”, 1822-1823, olio su tela,
72 x 58 cm, Lione, Musée des Beaux-Arts. 18
In questo ritratto Géricault rappresenta una vecchia donna con la monomania dell’invidia.
E’ resa con gli occhi arrossati e la fronte attraversata da numerose rughe. Il suo volto è incorniciato
dalla cuffia, d