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Sintesi
Introduzione Follia tesina


Questa tesina di maturità descrive il tema della follia. Gli argomenti che la tesina permette di sviluppare sono i seguenti: in Italiano Luigi Pirandello: Enrico IV e dimensione alternativa alla realtà, in Filosofia Sigmund Freud e Friedrich Nietzsche: Studio e influenza della follia nella Filosofia, in Inglese Virginia Woolf: Mrs. Dalloway, in Letteratura latina la follia di Medea in Seneca: scontro tra razionale e irrazionale, in Storia dell'arte Vincent Van Gogh: Tra follia e genialità, in Educazione fisica il doping: follia distruttrice, in Storia Adolf Hitler e la follia del popolo tedesco e in Geografia astronomica la follia della Terra: i terremoti.

Collegamenti

Follia tesina


Italiano - Luigi Pirandello: Enrico IV e dimensione alternativa alla realtà.
Filosofia - Sigmund Freud e Friedrich Nietzsche: Studio e influenza della follia nella Filosofia.
Inglese - Virginia Woolf: Mrs. Dalloway
Letteratura latina - La follia di Medea in Seneca: scontro tra razionale e irrazionale.
Storia dell'arte - Vincent Van Gogh: Tra follia e genialità.
Educazione fisica - Il doping: follia distruttrice.
Storia - Adolf Hitler e la follia del popolo tedesco
Geografia astronomica - La follia della Terra: i terremoti.
Estratto del documento

Presentazione

Quando si parla di “folle” spesso ci viene in mente la figura del degente in ospedale psichiatrico, ci

viene in mente una persona affetta da schizofrenia, con tanto di allucinazioni, ci vengono in mente

immagini, forse viste in televisione, di persone malate chiuse in “case di cura” che vengono

imbottite di psicofarmaci, legate ai letti o chiuse dentro le “camere d’isolamento”.

Ma nel mio percorso ho voluto scavare più a fondo sul significato della parola follia. Non solo in

termini psicologici o psicoanalitici, anche nel lato sociale e morale.

Se la follia potrebbe essere definita come la sovrapposizione della nostra parte istintuale su quella

razionale, il comportamento di un folle non potrebbe essere soltanto quello che noi tutti

possediamo nel nostro inconscio?

Allora l’artista, che riesce a tirar fuori le proprie emozioni e le proprie sensazioni in modo anche

confusionale e disorganizzato, non potrebbe essere definito folle?

Oppure quando una persona si definisce “follemente innamorata” ai nostri occhi non appare

guidata da un comportamento illogico, bensì fantastico.

Allora se la follia ci aiuta ad affrontare il nostro io, e ci aiuta a tirar fuori la parte più creativa di noi

stessi, perché non accoglierla come parte fondamentale della nostra personalità?

Nella prospettiva moderna il folle non è affatto visto come colui che manifesta la propria

personalità, ma come un individuo da isolare, e viene posto ai margini della società.

A mio parere questa visione della follia è totalmente sbagliata, basta prendere in considerazione

artisti e intellettuali dello scorso secolo, come Van Gogh, Nietzsche, o Virginia Woolf, di cui è stata

accertata la malattia mentale, per capire che il folle può esprimere una realtà che agli occhi di

persone “normali” può apparire “distorta” soltanto perché non è una visione comune.

Luigi Pirandello, analizzò il tema della follia sotto molti aspetti, e non a caso sua moglie soffriva di

“malattia mentale”, riuscì a capire ad analizzare il ruolo del folle come l’unico capace di capire la

funzione delle maschere.

Nietzsche, in “La gaia scienza” fa comparire il folle come un profeta di una realtà che non tutti gli

uomini riescono ad accettare. Ma lo stesso Nietzsche soffriva di “follia”.

Van Gogh in seguito a un attacco di follia si tagliò il lobo dell’orecchio destro.

Virginia Woolf soffrì di depressione e attacchi di ansia fino ad arrivare al suicidio. Ma scrisse testi

molto significativi per la letteratura inglese.

Ma perché non considerare una “follia umana” anche la vicenda dell’antisemitismo di Hitler? Come

ha potuto una sola persona far mobilitare l’intera massa e far uccidere milioni di persone con la

sola colpa di appartenere alla cultura ebrea e rom?

In tutte queste figure scorge una sorta di genialità, quella, che in una persona giudicata dalla

società normale, non potrebbe venir fuori. Con ciò voglio dire che alcune particolari visioni del

mondo possono venir fuori solo da chi vede il mondo in modo diverso, e nello stesso tempo, è

visto in modo diverso dal mondo.

Nel mio percorso analizzerò tutti questi aspetti di “follia” e di sorta di “genialità”. Al fine di riflettere

sulla stigmatizzazione sociale che consegue sulla figura del malato mentale.

“Trovarsi davanti a un pazzo sapete che significa? Trovarsi davanti a uno che vi scrolla dalle

fondamenta tutto quanto avete costruito in voi, intorno a voi, lo logica di tutte le vostre costruzioni”

(L.Pirandello, Enrico IV)

La follia in Pirandello: dimensione alternativa alla

realtà

La follia di Enrico IV è legata alla volontà di sfuggire alla vita, ed in questo senso la follia in Pirandello

svolge un ruolo analogo a quello che la morte svolge in altri autori, chiudendosi in una forma storica già

definita e vissuta. Il folle che si crede l’imperatore Enrico IV simboleggia l'impossibile liberazione da una

società borghese chiusa e definita dai ruoli e dalle maschere che ognuno ha e nelle quali ognuno chiude la

sua vita; la sua pazzia è un'apertura di orizzonti al sogno, al gioco, alla risata, alla differenza, che contrasta

con la miseria spirituale degli altri personaggi che non hanno capito il gioco delle parti. Anche se in realtà

Enrico sa di non essere più pazzo da ben otto anni, finge di esserlo ancora per la disperazione di essersi

ritrovato al risveglio ormai vecchio e escluso dalla vita e in una società che, allo stesso tempo, non gradisce

e non capisce. Il rinchiudersi nello spazio irreale e senza tempo della pazzia diviene per lui l’unica possibilità

di essere se stesso e di salvarsi dalla rapina del tempo: indossando la maschera dell’imperatore antico, tenta

di rifugiarsi e di salvarsi dal caos imprevedibile e assurdo dell’esistenza. Ma anche questa, purtroppo, è

un’illusione. Quando Matilde gli appare davanti, egli riesce

a stento a continuare la sua finzione, ma poco dopo rivela

ai presenti il suo segreto. La finzione dell’eroe, che P.

porta in scena secondo la tecnica del teatro nel teatro , è

la continuazione cosciente, portata all’estremo, della

finzione che è di tutti gli uomini, costretti dal meccanismo

sociale ad indossare delle maschere. Ad esempio Enrico

IV costringe anche gli altri personaggi a mascherarsi e a

recitare per assecondarlo, ma proprio così mette in luce la

finzione di cui sono prigionieri nella vita quotidiana. Tutti i

personaggi, quindi, oscillano tra due identità molto diverse

tra loro, solo Enrico rimane coerente fino in fondo

all’identità che, oramai, ha assunto da anni.

Verso la sua maschera l’eroe ha un atteggiamento

ambivalente: da un lato ne prova fastidio, sentendo la

nostalgia della vita; dall’altro, però, la commedia sociale lo disgusta, e la maschera che lo isola dal mondo

costituisce una sorta di rifugio, così il gesto finale che lo costringe a chiudersi per sempre nella parte si può

intendere come dettato da una volontà di fuggire da quella realtà intollerabile. Con Enrico IV ricompare la

figura dell’eroe estraniato dalla vita, dotato di una superiore consapevolezza, che si esclude da essa,

rifiutando di assumere la sua parte, e guarda dall’alto la miseria della commedia mondana assumendo un

atteggiamento umoristico quanto critico (detto appunto “poetica dell’umorismo”) che mira a scomporre la

realtà ,ma anch’egli è doppio, turbato da passioni e rimpianti che lo legano alla vita. Il gesto finale , che lo

chiude nuovamente nel guscio protettivo della follia, può essere letto allora anche come la manifestazione di

una debolezza, di una assoluta incapacità di vivere. Perciò Enrico IV suggerisce di “sfuggire” alla vita, oltre

che con la follia, con la cristallizzazione della storia e, solo nel terzo atto, rivela di non essere più pazzo, di

esserlo stato davvero ma di aver poi finto, per molto tempo. Perché? Perché un giorno, rinsavito, “m’accorsi

che sarei arrivato con una fame da lupo ad un banchetto già bell’e sparecchiato”.

Nel teatro di Luigi Pirandello vi è la sua vita e il tema della follia, centrale nella sua opera, egli lo elaborò

proprio tra le mura domestiche: a causa dei disturbi psichici della moglie dello scrittore Antonietta in casa

Pirandello si recitava quasi come nella reggia di Enrico IV, a tal punto che alcuni studiosi hanno coniato

l’espressione “Pirandello nel suo labirinto” er indicare quanto complicata fosse la vita all’interno della famiglia

dello scrittore.

Proprio per questo, Pirandello indaga a fondo sui rapporti tra realtà e finzione, che fino al novecento erano

solitamente separate, mentre negli anni successivi saranno soggette a sconfinamenti reciproci. Tutto questo

ricorda l’atteggiamento del folle, che si costruisce una realtà mentale separata e compie azioni coerenti con

tale rappresentazione mentale.

Secondo Pirandello la follia può non essere una condizione clinica, ma il rifugio razionale di chi ha subito una

violenza senza rimedio. Sulla scena si alternano dunque due livelli di realtà, tra loro incompatibili: quello

della sanità e quello della follia, due modi di pensare e guardare alla vita del tutto opposti, come è ben

espresso nelle parole che seguono, di Enrico: “Ecco, ci siamo fissati tutti in buona fede in un bel concetto di

noi stessi... però, mentre voi vi tenete fermo aggrappato con tutte e due le mani alla vostra tonaca santa, di

qua, dalle maniche, vi scivola, vi scivola, vi sguscia come un serpe qualche cosa, di cui non v'accorgete. La

vita! E sono sorprese, quando ve la vedete d'improvviso consistere davanti così sfuggita da voi!”. I sani sono

coloro che predicano la coerenza, la fermezza dei principi, la forza della coscienza; mentre la vita è un flusso

continuo, essi si fissano in una forma, in una realtà che non ha un valore obiettivo, ma è una costruzione

soggettiva, una semplice illusione: la costruzione e l'illusione di un soggetto che, a sua volta, non possiede

consistenza e continuità sostanziale, ma muta continuamente assumendo volti diversi a seconda delle

diversità delle situazioni in cui si trova... e vedendo in maniera diversa le cose e gli altri esseri in relazione al

suo continuo mutare interno. Pazzi, invece, sono coloro che sono liberi di far essere ciò che non può essere

(comunemente, nel così detto mondo normale), di creder vero ciò che non è vero (idem) e bearsi della loro

libertà.

Dal momento che una verità non esiste, gli uomini, per poter pur vivere in una trama di rapporti sociali,

devono fingere che la verità sia una (la convenzione o il pregiudizio o quant’altro); i pazzi, invece, sono

felici, perché schiavi di nessuna verità che non sia tutta loro. Essi, sono liberi di inventare se stessi ogni

giorno e (poiché senza logica) privi del bisogno dell'assoluto, del certo, dell'immobile che assilla i non pazzi,

costringendoli a fissarsi in un ruolo e a sperimentare la tragedia del dover essere sempre uno, mentre si

vorrebbe essere tanti ovvero si vorrebbe essere uno in misura assoluta e totalmente appagante. Essi

dunque non aspirano ad una condizione di compattezza psicologica durevole negli anni (che è tragicamente

impossibile quando la vita che scorre impone i suoi richiami di sirena). Ma l’

elemento discriminante tra follia e normalità, tra salute e malattia, è

impossibile da definire, come si può evincere dalle parole dello stesso

Enrico: “Il guaio è per voi che la vivete agitatamente, senza saperla e senza

vederla, la vostra pazzia."

Anche alla base di quest’opera, come di tutta la poetica pirandelliana vi è

una concezione vitalistica del mondo: tutta la realtà è vita, eterno divenire,

flusso continuo. Tutto ciò che si stacca da questo flusso comincia a morire.

Gli uomini sono una parte dell’universale ed eterno fluire della vita, ma

tendono a cristallizzarsi in forme individuali, a fissarsi in una data

personalità. In realtà questa personalità è un’illusione e ognuno, vedendo

secondo la propria particolare prospettiva, da agli altri determinate forme.

Gli uomini credono di essere uno per se stessi e per gli altri, mentre sono

tanti individui diversi. Ciascuna di queste forme è una maschera che l’uomo

stesso si impone e che è imposto dal contesto sociale. Sotto questa

maschera non c’è nessuno, o meglio un fluire indistinto e incoerente di stati

in continua trasformazione.

La crisi dell’idea di identità e di persona risente molto dei grandi processi in

atto nella società novecentesca, dove si muovono forze che tendono alla

frantumazione e alla negazione dell’individuo. La presa di coscienza dell’inconsistenza dell’io suscita nei

personaggi pirandelliani smarrimento e dolore. L’individuo soffre anche ad essere fissato dagli altri in forme

in cui non può riconoscersi, che sono sentite come una trappola (anche Mattia Pascal, seppur in modo

diverso da Enrico, cerca di sfuggire dalla sua vita schematica di bibliotecario e marito).

La società appare a Pirandello come una costruzione artificiosa e fittizia, che isola l’uomo dalla vita e lo

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