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Sintesi
Introduzione La mia Napoli tesina


Forse potrebbe risultare un po’ insolito portare all’esame di maturità una tesina il cui titolo è il nome di una città, ma mi sono resa conto che l’unico argomento di cui veramente avrei potuto parlare con dedizione, e magari suscitare negli altri un interesse o, perché no, un piacere nell’ascoltarmi, era appunto quello che è il mio luogo natale.

Collegamenti

La mia Napoli tesina


Latino: Stazio - "Silvae" con elogio di Napoli
Italiano: Leopardi - La ginestra
Scienze: Vulcanismo - Vesuvio
Filosofia: Nietzsche, apollineo e dionisiaco abbinati alla tammurriata
Estratto del documento

175 LA GINESTRA O IL FIORE DEL DESERTO

Καὶ ἠγάπησαν οἱ ἄνθρωποι

µᾶλλον τό σκότος ἢ τὸ φῶς

180 E gli uomini vollero piuttosto le tenebre che la luce.

Giovanni, III, 19

Qui su l'arida schiena

Del formidabil monte

185 Sterminator Vesevo,

La qual null'altro allegra arbor né fiore,

Tuoi cespi solitari intorno spargi,

Odorata ginestra,

Contenta dei deserti. Anco ti vidi Questa prima strofa ha

descrittivo,

carattere

190 De' tuoi steli abbellir l'erme contrade rievocativo polemico.

e

Che cingon la cittade Si apre con la descrizione

La qual fu donna de' mortali un tempo,

del paesaggio squallido del

E del perduto impero Vesuvio, ingentilito da

cespi fioriti di ginestre.

Par che col grave e taciturno aspetto

195 Faccian fede e ricordo al passeggero.

Or ti riveggo in questo suol, di tristi

Lochi e dal mondo abbandonati amante,

E d'afflitte fortune ognor compagna.

Questi campi cosparsi

200 Di ceneri infeconde, e ricoperti 21

Dell'impietrata lava,

Che sotto i passi al peregrin risona;

Dove s'annida e si contorce al sole

La serpe, e dove al noto

205 Cavernoso covil torna il coniglio;

Fur liete ville e colti,

E biondeggiàr di spiche, e risonaro

Di muggito d'armenti;

Fur giardini e palagi,

210 Agli ozi de' potenti

Gradito ospizio; e fur città famose

Che coi torrenti suoi l'altero monte

Dall'ignea bocca fulminando oppresse

Con gli abitanti insieme. Or tutto intorno

215 Una ruina involve,

Dove tu siedi, o fior gentile, e quasi

I danni altrui commiserando, al cielo

Di dolcissimo odor mandi un profumo,

Che il deserto consola. A queste piagge

220 Venga colui che d'esaltar con lode

Il nostro stato ha in uso, e vegga quanto

È il gener nostro in cura

All'amante natura. E la possanza

Qui con giusta misura

225 Anco estimar potrà dell'uman seme,

Cui la dura nutrice, ov'ei men teme,

Con lieve moto in un momento annulla

In parte, e può con moti

Poco men lievi ancor subitamente “Inni

Parole riprese dagli

230 Annichilare in tutto. Sacri” di Terenzio Mamiani,

Dipinte in queste rive cugino del Leopardi, seguace

Son dell'umana gente delle idee spiritualistiche del

secolo. Ma il genio recanatese

Le magnifiche sorti e progressive. mise a nudo, con sottile

ironia, la vanità

Qui mira e qui ti specchia, dell’atteggiamento fideistico

235 Secol superbo e sciocco, nel progresso scientifico e

spirituale degli uomini.

Che il calle insino allora

Dal risorto pensier segnato innanti

Abbandonasti, e volti addietro i passi,

Del ritornar ti vanti,

240 e procedere il chiami. 21

Dalla seconda strofa,

Al tuo pargoleggiar gl'ingegni tutti, Leopardi sfoga il suo

antiromanticismo

Di cui lor sorte rea padre ti fece, dottrinale

Vanno adulando, ancora Alla presunzione e

Ch'a ludibrio talora stoltezza del suo secolo

contrappone la propria

245 T'abbian fra sé. Non io fede nell’Illuminismo del

Con tal vergogna scenderò sotterra; ‘700, che aveva liberato

Ma il disprezzo piuttosto che si serra gli uomini dalle

Di te nel petto mio, superstizioni e dagli errori

dello spiritualismo.

Mostrato avrò quanto si possa aperto:

250 Ben ch'io sappia che obblio Al vv. 63 Leopardi afferma

Preme chi troppo all'età propria increbbe.

che lui non morirà con una

vergogna,

simile cioè

Di questo mal, che teco adulare le dottrine errate

Mi fia comune, assai finor mi rido. del suo secolo, piuttosto

Libertà vai sognando, e servo a un tempo

dice che dimostrerà il più

apertamente possibile il

255 Vuoi di novo il pensiero, disprezzo che prova nei

Sol per cui risorgemmo confronti di quello.

Della barbarie in parte, e per cui solo

Si cresce in civiltà, che sola in meglio

Al vv. 84 il poeta sostiene

Guida i pubblici fati. che il suo secolo chiama

magnanimo

260 Così ti spiacque il vero colui che

innalza la condizione

Dell'aspra sorte e del depresso loco umana in voga nel suo

Che natura ci diè. Per questo il tergo tempo, mentre gira le

Vigliaccamente rivolgesti al lume spalle a colui che segue la

luce della filosofia, la

Che il fe' palese: e, fuggitivo, appelli verità, e lo definisce

265 Vil chi lui segue, e solo codardo

Magnanimo colui

Che sé schernendo o gli altri, astuto o folle,

Fin sopra gli astri il mortal grado estolle.

Uom di povero stato e membra inferme

270 Che sia dell'alma generoso ed alto,

Non chiama sé né stima Dal vv. 111 al vv.157

Ricco d'or né gagliardo, Leopardi espone la sua

E di splendida vita o di valente morale che si fonda sulla

Persona infra la gente lotta contro il destino,

In questa quarta strofa si

condotta con dignità.

275 Non fa risibil mostra; apre una descrizione dello

Nella terza strofa viene

Il poeta qui esorta tutti gli

Ma sé di forza e di tesor mendico spazio sterminato che

definito veramente

uomini a unirsi per creare

avvolte la terra, ritorna poi

Lascia parer senza vergogna, e noma

magnanimo chi riconosce la

una società diversa,

il tono polemico contro le

condizione dell’uomo

fondata sull’amore,

Parlando, apertamente, e di sue cose credenze del suo tempo.

nell’universo e la sopporta

fraternità e solidarietà.

Fa stima al vero uguale. Quando Leopardi

con dignità; magnanimo è

È nobile quell’uomo che ha

contempla la zona

280 Magnanimo animale colui che lascia apparire se

il coraggio di guardare il

circostante, osservando le

stesso privo di salute o

suo destino infelice e che

21

stelle, che ai suoi occhi

ricchezza e delle cose che

con parole sincere dichiara

appaiono come punti, si

possiede ne parla come

il che male che gli fu dato

chiede cosa è il genere

Non credo io già, ma stolto,

Quel che nato a perir, nutrito in pene,

Dice, a goder son fatto,

E di fetido orgoglio

285 Empie le carte, eccelsi fati e nove

Felicità, quali il ciel tutto ignora,

Non pur quest'orbe, promettendo in terra

A popoli che un'onda

Di mar commosso, un fiato

290 D'aura maligna, un sotterraneo crollo

Distrugge sì, che avanza

A gran pena di lor la rimembranza.

Nobil natura è quella

Che a sollevar s'ardisce

295 Gli occhi mortali incontra

Al comun fato, e che con franca lingua,

Nulla al ver detraendo,

Confessa il mal che ci fu dato in sorte,

E il basso stato e frale;

300 Quella che grande e forte

Mostra sé nel soffrir, né gli odii e l'ire

Fraterne, ancor più gravi

D'ogni altro danno, accresce

Alle miserie sue, l'uomo incolpando

305 Del suo dolor, ma dà la colpa a quella

Che veramente è rea, che de' mortali

Madre è di parto e di voler matrigna.

Costei chiama inimica; e incontro a questa

Congiunta esser pensando,

310 Siccome è il vero, ed ordinata in pria

L'umana compagnia,

Tutti fra sé confederati estima

Gli uomini, e tutti abbraccia

Con vero amor, porgendo

315 Valida e pronta ed aspettando aita

Negli alterni perigli e nelle angosce

Della guerra comune. Ed alle offese

Dell'uomo armar la destra, e laccio porre

Al vicino ed inciampo,

320 Stolto crede così qual fora in campo 21

Cinto d'oste contraria, in sul più vivo

Incalzar degli assalti,

Gl'inimici obbliando, acerbe gare

Imprender con gli amici,

325 E sparger fuga e fulminar col brando

Infra i propri guerrieri.

Così fatti pensieri

Quando fien, come fur, palesi al volgo,

E quell'orror che primo

330 Contra l'empia natura

Strinse i mortali in social catena,

Fia ricondotto in parte

Da verace saper, l'onesto e il retto

Conversar cittadino,

335 E giustizia e pietade, altra radice

Avranno allor che non superbe fole,

Ove fondata probità del volgo

Così star suole in piede

Quale star può quel ch'ha in error la sede.

340 Sovente in queste rive,

Che, desolate, a bruno

Veste il flutto indurato, e par che ondeggi,

Seggo la notte; e su la mesta landa

In purissimo azzurro

345 Veggo dall'alto fiammeggiar le stelle,

Cui di lontan fa specchio

Il mare, e tutto di scintille in giro

Per lo vòto seren brillare il mondo.

E poi che gli occhi a quelle luci appunto,

350 Ch'a lor sembrano un punto,

E sono immense, in guisa

Che un punto a petto a lor son terra e mare

Veracemente; a cui

L'uomo non pur, ma questo

355 Globo ove l'uomo è nulla,

Sconosciuto è del tutto; e quando miro

Quegli ancor più senz'alcun fin remoti

Nodi quasi di stelle,

Ch'a noi paion qual nebbia, a cui non l'uomo

360 E non la terra sol, ma tutte in uno,

10 21

Del numero infinite e della mole,

Con l'aureo sole insiem, le nostre stelle

O sono ignote, o così paion come

Essi alla terra, un punto

365 Di luce nebulosa; al pensier mio

Che sembri allora, o prole

Dell'uomo? E rimembrando

Il tuo stato quaggiù, di cui fa segno

Il suol ch'io premo; e poi dall'altra parte,

370 Che te signora e fine

Credi tu data al Tutto, e quante volte

Favoleggiar ti piacque, in questo oscuro

Granel di sabbia, il qual di terra ha nome,

Per tua cagion, dell'universe cose

375 Scender gli autori, e conversar sovente

Co' tuoi piacevolmente, e che i derisi

Sogni rinnovellando, ai saggi insulta

Fin la presente età, che in conoscenza

Ed in civil costume

380 Sembra tutte avanzar; qual moto allora,

Mortal prole infelice, o qual pensiero

Verso te finalmente il cor m'assale?

Non so se il riso o la pietà prevale.

Come d'arbor cadendo un picciol pomo,

385 Cui là nel tardo autunno

Maturità senz'altra forza atterra, Nella quinta strofa, per

D'un popol di formiche i dolci alberghi,

dimostrare l’indifferenza

Cavati in molle gleba della natura verso le sue

Con gran lavoro, e l'opre creature, viene fatto un

390 E le ricchezze che adunate a prova

paragone tra la distruzione

della vita operosa di un

Con lungo affaticar l'assidua gente

formicaio, causata dalla

Avea provvidamente al tempo estivo, caduta di un pomo e

Schiaccia, diserta e copre l’eruzione del Vesuvio

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