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Giobbe e la cittadella del male
Ho scelto questo tema perché avendo letto il libro di Giobbe ho trovato molto interessante
e pieno di spunti di riflessione per poter costruire un percorso interdisciplinare che
rispecchiasse anche quelli che sono i miei interessi.
È necessario iniziare il percorso proprio da quella singolare figura biblica che è appunto
Giobbe, dalla sua vicenda e dal suo significato, o meglio dalla domanda che pone questo
antico libro, considerato un capolavoro della letteratura universale.
Giobbe era un “uomo integro e retto, temeva Dio ed era alieno dal male”,ma un giorno in
seguito ad un dialogo tra Dio e Satana viene sottoposto ad una dura prova. Egli infatti
viene privato da tutti i suoi beni, dei figli e anche della propria salute fisica, ma ciò che più
attanaglia Giobbe è un interrogativo: perché Dio ha permesso ciò? Giobbe è il modello del
vero credente, il vir sanctus, ma è anche l’impaziente, il ribelle colui che rigettando i
“sofismi di cenere” e i “decotti di malva” degli amici Elifaz, Bildad, Zofar, e poi Eliu,
trascina Dio in giudizio, fronteggia il suo silenzio, per poi tacere di fronte all’imponente
affermazione della sua potenza. Così il suo dramma si dilata assumendo una dimensione
universale. In questo libro dunque, come in altri luoghi della bibbia ma anche in altre
culture che non siano quella ebraico- cristiana vi è il tentativo di entrare in quella cittadella
apparentemente impenetrabile, inafferrabile, che è appunto la cittadella del male. Per
conquistarla occorre fare incursioni, aprire delle brecce ma alla fine, forse, ci dovremmo
accontentare di percorrere solo la periferia perché il centro resta difficile, se non
impossibile, da scoprire.
Come dicevo prima, tale interrogativo è presente anche nell’antica cultura pagana, basti
pensare il famoso status quaestionis posto da Epicuro : “ se Dio vuole togliere il male e
non può allora è debole ( e quindi non Dio); se può e non vuole allora è radicalmente
ostile nei confronti dell’uomo; se non vuole e non può, allora è debole e ostile; se vuole e
può, perché esiste il male e perché esso non viene eliminato da Dio” Ed è da qui che si
dipartono nel corso della storia le strade più disparate tese a risolvere tale questione.
Il mio percorso partendo da questo interrogativo, partendo dalla domanda di Giobbe,
consiste nel passare in rassegna alcune delle varie posizioni che hanno costellato la storia
dell’umanità. Prendendo avvio dalle tendenze dualistiche, rappresentate storicamente dal
manicheismo, e che caratterizzano anche il pensiero del poeta inglese Blake, e al
superamento di tale posizione da parte di Agostino; alle posizioni ottimistiche dello
stoicismo in Seneca, per poi passare a Kierkegaard, a Manzoni, per arrivare poi ad una
riflessione sulle catastrofi naturali, su quello che è stato definito il male assoluto nella
storia: la Shoah, accennando anche l’esperienza personale di Etty Hillesum, per
approdare, in fine, alla riflessione cristiana sulla sofferenza e all’opposta prospettiva tra il
X Agosto di Pascoli e il Giobbe di Chagall.
Come detto prima il manicheismo proponeva un dualismo tra due principi coevi,
indipendenti e contrapposti: i principi del bene e del male, Ormuz e Ariman, in eterna lotta
tra loro. Il problema del male trova in questa teoria una risposta elementare e rassicurante:
esso deriva da un principio assoluto indipendente dalla volontà umana.
Questo dualismo è presente nel pensiero del poeta Blake ma con delle significative
differenze. His dualistic view is characterized by his vision of “complementary opposites”:
good and evil, male and female , reason and imagination, cruelty and kindness. According
to Blake opposites are necessary, in fact he stated: “without contraries there is no
progression”. However, the original aspect of his theory is that the two principles coexist
not only in the human being but also in the figure of God who can be at the same time the
God of love and innocence and the God of energy and violence. In the book of Job we can
read: “It is all the same to me; so I say, He puts an end to the sinner and to him who has
done no wrong together. If death comes suddenly through disease, he makes sport of the
fate of those who have done no wrong.” (Per questo io dico: «È la stessa cosa»: egli fa
perire l'innocente e il reo! Se un flagello uccide all'improvviso,della sciagura degli innocenti
egli ride. Gb. 9,22-23)
La concezione dualistica della realtà venne superata da Agostino che, allontanandosi dal
manicheismo si avvicinò al neoplatonismo che lo aiutò a intendere il male non come
sostanza ma come privazione di bene (defectus boni). Per quanto riguarda il male fisico
esso consiste nella minor perfezione delle creature inferiori (cfr. Confessiones); in quanto
al male morale esso consiste nel peccato che è una debolezza della volontà dell’uomo e
dunque dipende dal libero arbitrio (cfr. De libero arbitrio). Con le riflessioni di Agostino sul
male riusciamo a varcare le mura della cittadella o, comunque, a circoscrivere, delimitare il
problema. Tuttavia l’enigma della sofferenza patita dal giusto resta senza risposta. È infatti
nel discorso di Eliu che Agostino ha riconosciuto la parola di Dio: inaccessibile è il disegno
divino, la sapienza umana deve riconoscere i propri limiti (L'Onnipotente noi non lo
possiamo raggiungere […] Gb 37,23)
Tra le posizioni ottimistiche vi è lo stoicismo secondo il quale l’Universo è governato da un
principio razionale e provvidenziale: il Logos. Con il dialogo De providentia, Seneca
affronta una questione postagli dal destinatario Lucilio : come è possibile che il male possa
accadere spesso a persone integre se esiste una provvidenza divina? Il filosofo risponde a
tale interrogativo affermando che le sciagure che colpiscono i buoni hanno il carattere di
prova. Essa esalta e valorizza la virtù del sapiente il quale altrimenti sarebbe caduto nell’
ignavia e nel torpore.
Ed è nella tempesta della prova che Kierkegaard colloca la vicenda di Giobbe. Giobbe è
colui che in mezzo ad atroci sofferenze riesce a dare alla luce la categoria della prova, la
quale è una categoria del tutto trascendente. È attraverso la prova, lo scandalo del male e
del dolore che appartengono all’esistenza concreta dell’ uomo, e quindi alla sua libertà,
che il singolo perviene a una più ampia conoscenza di sé e a una più compiuta
realizzazione del rapporto con Dio.
Provvidenza e sofferenza si trovano strettamente intrecciati nella cosiddetta “provida
sventura” nel Manzoni delle tragedie. Essa, in Ermengarda e in Adelchi, si manifesta nella
forma della Grazia divina che permette loro, attraverso la sofferenza individuale, di
riscattarsi dalle colpe del loro popolo, nei Promessi sposi è opportuno parlare di
eterogenesi dei fini per cui la disgrazia, la sofferenza diventano occasione di conversione,
redenzione. Per Manzoni è certo che la Provvidenza agisca nella storia ma i modi in cui
agisce sono impenetrabili per la mente umana. Il male dunque resta un enigma. Esso non
è interpretabile semplicemente come punizione divina o come prova da superare, ma
risponde a ragioni che non possono essere ricostruite dalla mente umana (il sugo di tutta
la storia). Certo, il male prodotto dall’uomo può essere evitato, ma il male naturale, la
peste? Essa tra l’altro colpisce indistintamente don Rodrigo e fra Cristoforo.
La peste, così come i terremoti, le eruzioni vulcaniche con i rispettivi effetti quali gli
tsunami i lahar sono quegli eventi naturali che proprio per la loro violenza con cui si
abbattono sulle popolazioni umane, vengono definiti “catastrofi naturali”. L’uomo fin
dall’antichità ha riconosciuto/visto in essi l’ira della divinità o li ha considerati come
strumenti di punizione per colpe da parte di Dio esse come rifletteva Manzoni pongono
una riflessione in quanto si abbattono indifferentemente sui buoni come sui cattivi in modo
particolare vorrei fare riferimento ad un famoso evento catastrofico che è il terremoto di
Lisbona del 1° novembre 1755. Tale evento naturale ebbe gigantesche proporzioni: con
epicentro poco lontano da Lisbona, sotto l’Oceano Atlantico, interessò una superficie di 11
milioni di kmq e avrebbe raggiunto un’intensità tra gli 8,7 e i 9,0 della scala Richter, causò
tra i 60.000 e i 90.000 morti ( a seconda delle fonti). Il sisma causò uno tsunami che
investì la capitale del Portogallo. Questa immane catastrofe non poteva non suscitare le
riflessioni da parte dei teologi, e dei filosofi del tempo tra i quali lo stesso Kant, in
particolare Voltaire utilizzò l’evento per screditare il concetto di “miglior mondo possibile” di
Leibniz e dunque ogni tentativo di teodicea.
Jonas confronta l’evento di Auschwitz con quello di Lisbona, evento naturale, che non
coinvolgeva la responsabilità degli uomini. Ma ciò che avvenne ad Auschwitz è ben più
grave di un terremoto, infatti rappresenta l’esistenza stessa del Male quale oggetto della
volontà umana e non più le disgrazie e le tribolazioni che provengono dalla cieca casualità
naturale. La shoa è stata definita da molti il male assoluto nella storia, (H. Arendt: attacco
ontologico all’umanità) per molto tempo l’olocausto è stato considerato in qualche modo al
di sopra della storia e dunque non è stato oggetto di indagine e discussioni storiografiche
perché si temeva che ciò avrebbe potuto comportare una sottovalutazione dell’orrore
subito dal popolo ebraico o determinato una qualche forma di giustificazione di ciò che è
accaduto. Ad ogni modo l’orrore dell’olocausto ha ripresentato con maggiore forza il grido
di Giobbe “ ma dov’è Dio?” Giobbe diventa così l’universale rappresentante della
sofferenza umana. Le vie che si sono aperte possono essere ricondotte a tre: la prima è
quella che intende negare il polo divino (non è possibile che ci sia un dio che sta di fronte
al dolore del mondo = ateismo tragico) la seconda possibilità di risposta è quella che nega
il polo umano (Dio diventa colui che ha sempre ragione = risposta degli amici di Giobbe)
Giobbe rappresenta in qualche modo una terza via quella che intende salvaguardare Dio,
sperare in lui e allo stesso tempo quella di non voler schiacciare ogni attesa, ogni ricerca
dell’uomo assumendosi così il peso della complessità di questo rapporto (tra Dio e
l’uomo). Ma anche ad Auschwitz emerge una possibile nota di speranza anche allora ci
furono uomini giusti che si adoperarono per aiutare, nascondere, salvare vittime, spesso a
rischio della vita. Essi rappresentano un segno e una dimostrazione della non-onnipotenza
del Male.