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Storia - Ascesa dei totalitarismi europei
Emile Lederer nasce il 22 Luglio 1882 a Pilsen
in Repubblica Ceca, in una famiglia ebrea, e
proprio per questo verrà espulso dalla
Università di Berlino, nella quale insegnava,
nel 1933. Perseguitato dal regime nazista,
scappò prima a Londra, poi negli Stati Uniti,
più precisamente a New York dove fonderà in
collaborazione con altri finanziatori
“Università in Esilio” che diventerà
“Graduate Faculty of
successivamente la
Political and Social Science” . Morirà a New
York il 29 Maggio 1939. Poco prima della sua
“Lo
morte però pubblica la sua ultima opera,
Stato delle masse. La minaccia delle società
senza classi” il cui obiettivo era quello di individuare le origini e i
fondamenti dello Stato “totalitario”, oltre ovviamente ad analizzare
la psicologia di entrambe le parti. In particolare facendo
riferimento ai sottocapitoli “Masse o folle” e “Azione di massa e
leadership” è possibile rilevare alcuni aspetti su cui riflettere.
“Lo Stato delle masse. La minaccia delle società senza
classi”
Lederer, come i suoi predecessori Le Bon e Ortega, ha cercato di
comprendere a fondo la folla e la sua psicologia, e nella sua opera
prova a darne una definizione sociologica:
“Intendo per massa, o folla, un gran numero di persone che sono
spiritualmente unite, così da sentirsi, e possibilmente agire, come
un' unità”
Da questa affermazione è possibile evincere facilmente che il
sociologo tedesco non individua come massa una semplice
moltitudine di persone: perché la folla sia tale deve essere unita
spiritualmente da un sentimento, o più in generale da un’emozione.
Infatti, di seguito riporta:
“Una folla può essere unita soltanto dalle emozioni mai dalla
ragione; la ragione non avrebbe mai effetti sulle masse, anche
quando fosse ben fondata psicologicamente. […] Ciascuno ha
dentro di sé un universo psicologico di potenzialità emotive che
possono essere risvegliate: amore, nazione, paese e razza. Se la
folla si trova di fronte a una situazione che risveglia emozioni
comuni e chiama all’azione, la gran parte è pronta a rispondere.”
Versari Matteo Pagina 3
Qui Lederer sposta l’attenzione sulla psicologia della folla e trae
alcune conclusioni rilevanti. Egli identifica l’emotività come forma
di manifestazione del subconscio dell’uomo e rileva come la sua
vera natura emerga quando fa parte di una folla. Sostiene infatti
che la massa è composta in primo luogo da individui, che però
cessano di essere isolati, che cessano di pensare. Si sentono quindi
emozionati, esaltati e uniti ai loro compagni, con i quali
condividono il momento. Dunque, secondo l’autore le folle sono da
considerare come un fenomeno sociale, che mutano nel tempo, e a
seconda delle situazioni. Ma Lederer si accorge che la moltitudine
non può esistere da sola, le sue azioni risulterebbero essere
improvvise, e la sua attività sarebbe più simile a un'esplosione che
a un'azione, di conseguenza deve sottostare a un leader come
afferma lo scrittore stesso:
Versari Matteo Pagina 4
“Anche se qualche azione scomposta può seguire uno shock subìto
dalla folla, normalmente la massa agisce soltanto se è guidata da
un leader. Quanto tutto è maturo per l’azione è la situazione stessa
che suggerirà alle persone adatte al compito di leader di accettare
la sfida. All’interno della folla ci sono sempre leader potenziali e
siccome fa parte delle caratteristiche di un leader la capacità di
comprendere e di approfittare di una situazione che invoca un
leader, sembra quasi che sia la situazione a creare il leader”.
Secondo Lederer quindi, il leader nasce dalla folla stessa, ed è
come se la situazione lo chiamasse. Starà poi al leader individuale
cogliere l’occasione per condurre la folla nel perseguimento del
suo obiettivo. La figura del “capo” perciò, deve impersonare tutte
le emozioni e i pensieri della folla e deve esaltarne i sentimenti. Di
conseguenza l’uomo leader deve essere una persona carismatica, e
deve incarnare tutto ciò che ha spinto la folla a muoversi. In
conclusione possiamo affermare che dalla folla nasce il leader, ma
in realtà è proprio lui che tramite la sua personalità forma la folla e
ne dirige le azioni. Potremmo infine definire la correlazione massa-
capo un rapporto ambivalente, dove l’uno non potrebbe esistere se
non esistesse l’altro.
Dalla teoria alla pratica: Esperimento
Milgram L'esperimento Milgram fu un
esperimento di psicologia
sociale condotto nel 1961 dallo
psicologo sociale statunitense
Stanley Milgram. Lo scopo
dell'esperimento era quello di
studiare il comportamento di
soggetti a cui un'autorità (nel
caso specifico uno scienziato)
ordina di eseguire delle azioni
che confliggono con i valori etici
e morali dei soggetti stessi, analizzando quindi l’effetto di
leadership su un individuo. Una volta reclutati i partecipanti
(uomini tra i 20 e i 50 anni) tramite un articolo di giornale, venne
detto loro che avrebbero dovuto, dietro retribuzione, verificare
alcuni aspetti degli stadi di apprendimento. Nella fase iniziale della
prova, lo sperimentatore, assieme a un collaboratore complice,
assegnava con un sorteggio truccato i ruoli di "allievo" e di
"insegnante": il soggetto ignaro era sempre sorteggiato come
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insegnante e il complice come allievo. I due soggetti venivano poi
condotti nelle stanze predisposte per l'esperimento. L'insegnante
(soggetto ignaro) era posto di fronte al quadro di controllo di un
generatore di corrente elettrica, composto da 30 interruttori a leva
posti in fila orizzontale, sotto ognuno dei quali era scritta la
tensione, dai 15 V del primo ai 450 V dell'ultimo. All’insegnante era
fatta percepire una scossa di 45V per fare in modo che si rendesse
conto che non era una messa in scena. Successivamente gli
venivano precisati i suoi compiti, ovvero:
Leggere all'allievo coppie di parole, per esempio: "sedia
azzurra", "tempo nuvoloso";
ripetere la seconda parola di ogni coppia accompagnata da
quattro associazioni alternative, per esempio: "azzurra – auto,
acqua, sedia, lampada";
decidere se la risposta fornita dall'allievo era corretta;
in caso fosse sbagliata, infliggere una punizione, aumentando
l'intensità della scossa a ogni errore dell'allievo.
Quest’ultimo veniva legato ad una specie di sedia elettrica
collegata al generatore di corrente posto nella stanza accanto.
Doveva rispondere alle domande, e fingere una reazione con
implorazioni e grida al progredire dell'intensità delle scosse (che in
realtà non percepiva), fino a che, raggiunti i 330 V, non emetteva
più alcun lamento, simulando di essere svenuto per le scosse
precedenti. Lo scienziato aveva il compito, durante la prova, di
esortare in modo pressante l'insegnante. Il grado di obbedienza fu
misurato in base al numero dell'ultimo interruttore premuto da
ogni soggetto prima che quest'ultimo interrompesse
autonomamente la prova oppure, nel caso il soggetto avesse deciso
di continuare fino alla fine, al trentesimo interruttore. Soltanto al
termine dell'esperimento i soggetti vennero informati che la
vittima non aveva subito alcun tipo di scossa.
Risultati:
Una percentuale considerevole di soggetti obbedì senza opporsi
allo sperimentatore. Questo stupefacente grado di obbedienza, che
ha indotto i partecipanti a violare i propri principi morali, è stato
spiegato in rapporto ad alcuni elementi, quali l'obbedienza indotta
da una figura autoritaria considerata legittima, la cui autorità
induce uno stato eteronomico, caratterizzato dal fatto che il
soggetto non si considera più libero di prendere decisioni, ma
strumento per eseguire ordini. I soggetti dell'esperimento non si
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sono perciò sentiti moralmente responsabili delle loro azioni, ma
esecutori dei voleri di un potere esterno. Alla creazione di questo
stato concorrono tre fattori:
percezione di legittimità dell'autorità (nel caso in questione lo
sperimentatore rappresentava l'autorevolezza della scienza)
adesione al sistema di autorità (l'educazione all'obbedienza fa
parte dei processi di socializzazione)
le pressioni sociali (disobbedire allo sperimentatore avrebbe
significato metterne in discussione le qualità oppure rompere
l'accordo fatto con lui).
Grazie all'esperimento, Milgram arrivò a dimostrare che
l'obbedienza dipende anche dalla situazione. Ogni situazione è
infatti caratterizzata da una sua ideologia che definisce e spiega il
significato degli eventi che vi accadono, e fornisce la prospettiva
grazie alla quale i singoli elementi acquistano coerenza. La
coesistenza di norme sociali contrastanti (da una parte quelle che
inducono a non utilizzare la violenza e dall'altra quelle che
prevedono una reazione aggressiva a certi stimoli) fa sì che la
probabilità di attuare comportamenti aggressivi venga di volta in
volta influenzata dalla percezione individuale della situazione (che
pertinenti al contesto
determina quali norme siano e debbano
pertanto essere seguite). Dal momento che il soggetto accetta la
definizione del frangente proposto dall'autorità, finisce col
ridefinire un'azione distruttiva, non solo come ragionevole, ma
anche come oggettivamente necessaria. Sarà proprio questa
accettazione della situazione circostante che permetterà la nascita
dei due principali totalitarismi europei: Fascismo e Nazismo.
I due totalitarismi del Novecento
Ascesa del Fascismo:
La situazione nell’Italia del 1918 non era delle
migliori. La conferenza di Parigi aveva
lasciato insoddisfatte le rivendicazioni
dell’Italia circa il possesso dell’Istria e della
Dalmazia, nel rispetto del patto di Londra. Ciò
diede vita al mito italiano della “vittoria
mutilata”, in quanto non venne riconosciuto
all’Italia l’importante apporto che diede alla
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Prima Grande Guerra. In segno di protesta, un gruppo di volontari,
capeggiati dal poeta Gabriele D’Annunzio, occupò nel 1919 Fiume,
dando vita alla reggenza del Quarnaro. In questa atmosfera di forte
tensione politica e sociale le principali città italiane divennero
teatro di una serie di violenti tumulti contro il caro viveri. Questo
aumento del costo della vita determinò una continua rincorsa fra i
salari e i prezzi, dando vita ad un ondata di scioperi delle industrie
e dei servizi pubblici. In questi anni, inoltre, furono molto intense
le lotte dei lavoratori agricoli soprattutto al centro-sud, dove leghe
rosse (socialisti) e leghe bianche (cattolici) lottavano per affermare
i propri modi di amministrare il terreno. Mentre le leghe rosse
miravano alla socializzazione della terra, le leghe bianche
lottavano per affermare la piccola proprietà contadina. Si aggiunge
alla lotta dei lavoratori agricoli anche l’agitazione dei
metalmeccanici, i quali scioperavano per ottenere un compromesso
sindacale, che ottennero solo dopo avere occupato le fabbriche. In
questo biennio post bellico però le agitazioni sociali vennero
comunque controllate anche grazie alla mancanza di un
collegamento reciproco. Nel 1920, infatti, anche D’Annunzio fu
costretto ad abbandonare il sogno di Fiume, interrotto
bruscamente da Giolitti, che stipulò il trattato di Rapallo, che
attribuiva a Fiume il titolo di città indipendente. Terminato il
“biennio rosso” con le agitazioni metal meccaniche, e l’aumento
sempre crescente della disoccupazione diedero vita ad un
fenomeno che non aveva riscontro in nessun altro paese: lo
sviluppo del fascismo. Nel 1920 il movimento subì un rapido
processo di mutazione, passando da un’impostazione radical-
democratica, a una organizzazione fondata su strutture
paramilitari ovvero le squadre d’azione, ponendosi come obiettivo
quello di lottare contro i socialisti. Questa trasformazione avvenne
in seguito alla decisione di Mussolini di cavalcare l’ondata di
riflusso anti socialista, dovuta al fallimento del biennio rosso. Il
primo obiettivo di Mussolini era quello di indebolire le file rosse, e
per farlo mobilitò le squadre per impedire la cerimonia di apertura
della nuova amministrazione comunale socialista a Bologna. (Più
precisamente a Palazzo D’Accursio). I socialisti incaricati di