Il primo personaggio che andrò ad analizzare è la figura di Alda Merini.
Alda Merini nasce a Milano il 21 marzo del 1931. Nell’ultimo anno di guerra Alda terminò le scuole di avviamento al lavoro, ma per ragioni familiari non poté continuare a studiare. L’interruzione degli studi costituì un punto centrale della sua tormentata psicologia, generando un oscuro senso di incompiutezza. Nel 1947, all’età di 16 anni, la Merini incontra "le prime ombre della sua mente" così le definì Maria Corti, e viene internata per un mese nella clinica Villa Turro a Milano, dove le viene diagnosticato una PSICOSI MANIACO DEPRESSIVA; comunemente chiamata “disturbo bipolare”, in cui nel soggetto si alternano fasi maniacali (esalzazione), fasi depressive (abbassamento) e fasi normali.
Dei suoi primi anni si hanno solo qualche testimonianza del fratello e un appunto scritto di suo pugno per l’antologia, curata da Giacinto Spagnoletti, Poesia italiana contemporanea. 1909-1959 (Parma 1959): «La mia infanzia non ha nulla di caratteristico: un’infanzia apparentemente, esteriormente comune ma, data la mia sensibilità acuta e forse già esasperata, ricca di toni a volte angosciosi, melanconici. Sono sempre stata isolata, chiusa in me stessa, pochissimo compresa anche dai miei e, forse per questo, il mio amore per loro non aveva confini, era assoluto».
Dopo questo primo evento psicotico torna alla sua poesia e alla sua vita milanese di sempre. Si sposerà e dal suo matrimonio nascerà una figlia Emanuela, è in questo periodo che le sue ombre prendono una connotazione nuova, coesisteranno malumori e pensieri assurdi e nel 1961 si strutturerà un vero e proprio delirio che la porterà ad un nuovo ricovero in un grande manicomio di Milano dove vi resterà per 7 anni. La diagnosi fu SCHIZOFRENIA: rottura dell’unita’ della personalita’ psichica con incordinazione fra le diverse funzioni psichiche che divengono sconnesse e anarchiche. Fu presa in cura dal dott. Gabrici che la curò con le terapie dell’ epoca: elettroschok, insulinoterapia e neurolettici, fu inoltre contenuta con la camicia di forza. Tutto questo la portò ad un mutismo che congelò la sua scrittura. Nel 1979 Alda riprende a scrivere e scriverà del suo internamento, della violenza dei trattamenti. Nel manicomio locale sperimenterà dopo alcuni anni l’orrore ancor peggiore di quello già vissuto. Lei continuerà a dire che “le sue ombre mentali non appaiono più acute ma sembrano aver preso una dimora continua, intrigante come un dolore cronico”.
Nella sua raccolta poetica La Terra Santa, pubblicata nel 1984) ci dona uno sguardo dall’interno: la realtà dell’istituzione manicomiale vista con gli occhi di una malata, che non dimentica i “compagni di sventura” ai quali restituisce umana dignità. Le sue liriche ci buttano e ci fanno affogare nella realtà manicomiale con i suoi aspetti più oscuri, soprattutto quello dell’umanità e della dignità negate al malato mentale è così che quest’opera diviene un viaggio nel dramma dell’emarginazione, dell’esclusione e dell’annullamento esistenziale.
Pensiero, io non ho più parole.
Ma cosa sei tu in sostanza?
Qualcosa che lacrima a volte,
e a volte dà luce.
Pensiero, dove hai le radici?
Nella mia anima folle
o nel mio grembo distrutto?
Sei così ardito vorace,
consumi ogni distanza;
dimmi che io mi ritorca
come ha già fatto Orfeo
guardando la sua Euridice,
e così possa perderti
nell’antro della follia.
ARTE
Anche nell’arte abbiamo casi in cui i disturbi mentali sono perfettamente proiettati nelle creazioni di un artista, come nel caso di Louis Wain. Era il primo di sei figli, l'unico maschio. Le sue sorelle non si sposarono mai e vissero con la madre tutta la vita; anche Louis visse con la madre la maggior parte della sua vita. A trent'anni la sorella minore fu riconosciuta malata di mente e ricoverata in manicomio.
Nacque con il labbro leporino e i medici ordinarono ai suoi genitori di non fargli impartire alcuna lezione scolastica fino all'età di dieci anni. Da adolescente spesso marinava la scuola, trascorrendo molto tempo girovagando per Londra. Non avendo vissuto la propria infanzia a contatto con i suoi coetanei, visse un vero e proprio trauma che egli proiettò subito nella sua arte.
Si sposò con Emily Richardson, la quale si ammalò di cancro solo tre anni dopo il matrimonio. Fu proprio in questa sede che trovò conforto nella compagnia di un gattino randagio bianco e nero, chiamato Peter, che i due sposi avevano accolto una notte sentendolo miagolare sotto la pioggia. La presenza di Peter sollevava l'animo di Emily e Louis iniziò a disegnare parecchi schizzi del loro gattino. Emily, che aveva incoraggiato Louis a pubblicare i disegni, morì prima di poter vedere la realizzazione del progetto. Louis però continuò a disegnare gatti in modo maniacale, come a mantenere una promessa fatta alla sua amata Emily.
Negli anni seguenti i gatti di Wain cominciarono a camminare eretti, a presentare ampi sorrisi ed espressioni facciali complesse e ad indossare vestiti alla moda. Le illustrazioni mostravano gatti intenti a suonare strumenti musicali, prendere il te, giocare a carte, pescare, fumare e trascorrere una serata all'opera. Egli rappresenta scene di vita quotidiana, probabilmente ad indicare quelle che lui non ha mai vissuto, in quanto sono gatti esteticamente apprezzabili, sicuri di sé e pieni di attenzioni.
A 57 anni, è stato colpito da un disordine mentale ignoto, probabilmente PSICOSI, che ha superato la sua vita e la sua arte. Gli ultimi 15 anni della sua vita sono stati spesi in istituzioni psichiatriche. I dipinti del suo gatto hanno cominciato a cambiare e mostrare immagini sorprendenti. Un rivelatore della sua condizione psicotica era gli occhi del gatto. Vedere come si fissa con ostilità, anche nei primi dipinti, perché lo psicotico probabilmente tende a pensare che il mondo lo guarda in modo minaccioso. Un altro segno è la frammentazione del corpo del gatto. Si alterano in modo strano sotto lo sguardo psicotico e quasi sempre sono rappresentati come forme distorte e fantasie.
LATINO
Per quanto riguarda il poeta e filosofo latino, Lucrezio il discorso è differente, in quanto siamo in possesso di poche e incerte informazioni circa la sua presunta malattia mentale, ma con i mezzi attuali si può ipotizzare una spiegazione plausibile.
San Girolamo fu il primo a sostenere che Lucrezio fosse folle, ma gli studiosi più attenti tendono tuttavia a dare scarso peso a questo aspetto della testimonianza, e a considerare la storia della follia una leggenda nata in ambito cristiano al fine di screditare l’autore del poema materialista ed epicureo, presentandolo appunto come il vaneggiamento misto a lucidità di un folle: Lucrezio avrebbe scritto il De rerum natura per intervalla insaniae, «negli intervalli della follia». Egli infatti mette in discussione la religio in cui l’uomo del suo tempo crede, poiché l'immensa complessità del cosmo non ammette che un dio possa, da solo, provvedervi costantemente; o che, se pure il dio lo potesse fare, ciò gli impedirebbe di vivere sereno, costringendolo ad immergersi in mille preoccupazioni legate alle cose terrene.
Il suo pessimismo è radicato in quelle che Luciano Perelli definisce “radici sotterranee dell’angoscia”, nasce dal fatto che l’uomo è solo con sé stesso, un anello della catena sacrificato alla legge universale senza ricevere alcun aiuto neanche di tipo provvidenziale.
“ […] è proprio la condizione naturale dell'uomo che lo rende misero e infelice, ed esso ci appare come un essere reietto dalla natura, costretto a vivere a lottare in un ambiente ostile, zimbello delle forze immense e crudeli che lo soverchiano. E questa miseria dell'uomo non viene circonfusa di pietà, ma investita dal disprezzo e dallo scherno del poeta. C'è una violenza polemica, un'acredine rabbiosa contro il genere umano ed i suoi ottimisti laudatori, che non riesce a trasformarsi tutta in poesia.”
Luciano Perelli, commento al De rerum natura
(S. Lattes & C. Editori, Torino, 1981, pp. 175-176)
Lucrezio diviene perciò poeta della lotta della ragione contro errori e falsità: lo scopo del poeta è far prevalere la verità. Il piacere è lo scopo della vita umana e consiste nell'assenza o nella cessazione del desiderio e del dolore, vi è la ricerca di una serenità imperturbabile del sapiente attraverso la filosofia, detta atarassia; e forse è proprio questa perpetua e infinita ricerca di liberazione dai turbamenti dell’animo, che ha portato Lucrezio a sviluppare una forma di PSICOSI dalla quale si era schernito da tutta una vita. Aveva sempre predicato un benessere raggiungibile attraverso la filosofia, tuttavia non aveva mai considerato la natura istintuale e insradicabile insita nell’animo umano, della quale nemmeno lui è ma riuscito a liberarsi e il suo suicidio ne è la prova.
INGLESE
For English literature, the person that I have considered is Virginia Woolf. The diagnosis was DEPRESSION WITH SUICIDAL THOUGHTS. The death of her mother, when she was 13 years old,affected her deeply and brought abour her first nervous breakdown, that will sast six months. She began to be in revolt against her father’s aggressive and tyrannical character, and his idealisation of the domesticated woman.
The doctors who cared for her were the most acclaimed, especially the psychiatrists, but they didn’t have to offer a specific and valid treatment at that time.
There was probably a familiarity if his father, suffering from a pessimistic darkness, had two slight attacks of depression and suffered from insomnia - his grandfather had three serious crises that compromised his lawyer career - his cousin, by his father, at the age of twenty he developed a paranoia that led him to die in a nursing home - his own brothers, Thoby, Vanessa and Adrian suffered from similar episodes.
In Virginia's own case, we can suppose that the illness was also a consequence of the sexual abuses which she was a victim, at the age of 12, by her step brother George Duckworth.
She left behind a remarkable body of work — from her touching diaries to her magnificent essays to her little-known children’s books to “the longest and most charming love letter in literature” — and a cohort of heartbroken friends, but the most stirring thing she left behind was her suicide letter to her husband Leonard.
All this has led Virginia to create a completely different writing than tradition, based on the Bloomsbury Group, whose idea was the rejection of the artistic convention and bourgeois sexual codes; this reputation of radical thinkers was founded in the rivolutionary stream-of-consciousness prose style developped by her, to give voice to the complex world of feeling.
“To the Lighthouse” for example is what that I define a real metaphoric journey inside Virginia’s mind. Each character recalls an autobiographical aspect of the author and each detail symbolize something. The lighthouse is the connection line that fills together each corner of the novel, it means something different to each character. On the hand, it is a positive symbol linked to light, comfort, hope and enthusiasm, a reference point in a changing world. On the other hand, it is the inaccessibile destination leading to frustration and threatening danger
STORIA
Con l'avvento della Prima Guerra Gondiale si era diffuso un entusiasmo patriottico con cui molti soldati avevano iniziato a combattere. Tuttavia i buoni propositi radicavano le proprie radici sulla convinzione che questa guerra sarebbe stata come tutte le altre in precedenza, ovvero una guerra di movimento.
Dopo una serie di clamorosi successi iniziali da parte della Germania: nelle sul fronte orientale nelle grandi battaglie di Tannenberg e dei laghi Masuru e lungo il corso della Marna , vicino Parigi; il 6 settembre 1914 la Francia riesce ad organizzare un contrattacco e la Germania si vede costretta a ritirarsi tra i fiume Aisne e Somme.
Alla fine di novembre e gli eserciti si erano ormai attestati in trincee improvvisate su un fronte lungo 750 km che andava dal mare del Nord al confine svizzero. Cominciava quindi una guerra di tipo nuovo nè prevista né preparata: la guerra di logoramento o di usura che vedeva due schieramenti praticamente immobili affrontarsi in una serie di attacchi sterili attacchi inframezzati da lunghi periodi di stasi.
Pochi mesi di guerra saranno sufficienti per svanire l’iniziale esaltazione, la guerra ormai era vista come una dura necessità e la guerra di trincea monotona è rischiosa logorava i combattenti moralmente e fisicamente dettando i soldati in uno stato di apatia e di torpore mentale. Sono poco più di un centinaio i soldati che, durante gli anni della Grande Guerra, varcarono le porte dell’ospedale psichiatrico «Roncati» di Bologna. Nessuno di loro ebbe accesso diretto dal campo di battaglia al manicomio: l’invio era sempre mediato da altre strutture sanitarie, che, a loro volta, potevano essere strutture “intermedie” (ospedali militari territoriali, manicomi di altre città, centri di prima raccolta), oppure strutture di prima linea, quali gli ospedali da campo o della Croce Rossa. Analizzerò due casi distinti:
Caso di mutismo transitorio
PIETRO P. (classe 1891)
Diagnosi: mutismo isterico con oscuramento psichico transitorio
Dal momento in cui fu trasportato in questo Ospedale non ha pronunciato parola. Smarrito, disorientato, in istato di depressione assai grave, del tutto inerte ed abulico, si dimostra sordo ad ogni stimolo. Ha muscolatura rilasciata, volto inespressivo. Non si nutre spontaneamente, e deve essere imboccato. Talora lo si vede gesticolare e borbottare tra sé, probabilmente in preda ad allucinazioni. Ritenendolo pericoloso a sé stesso lo si invia d’urgenza al Manicomio ove può essere trasportato senza nocumento della sua salute»
Nella cartella clinica del manicomio sono presenti un paio di annotazioni che descrivono l’atteggiamento del soldato: «mette le gambe penzoloni nel margine del letto e si stropiccia le mani», che «non parla né spontaneamente né interrogato»
«non protende la lingua fuor delle chiostra dei denti «ha dormito e si è nutrito. Si mostra normale in tutto e scrive a lungo, dietro domande, rispondendo coerentemente.
Caso di stupore catatonico
RAFFAELE M. (classe 1892)
Diagnosi: stupore catatonico
Entrò nel reparto Osservazione di questo Ospedale Militare il giorno 7 corrente. Da allora si mantenne subeccitato, confuso, incoerente nel contegno, disordinato, insonne, talvolta violento; non mangia se non imboccato. Ritenendolo pericoloso a sé e agli altri lo si invia al locale manicomio ove può essere trasferito senza alcun nocumento per la sua salute
Nella sezione “Andamento della malattia e cura” della cartella clinica del manicomio, sono presenti alcune annotazioni delle parole che il soldato pronuncia durante il ricovero: se il 9 gennaio, giorno d’ingresso, si limita a emettere qualche monosillabo (Uhm!, lì, là, accompagnandolo con l’indice esteso), qualche giorno più tardi dirà piccole frasi riferite alla guerra, come “Uhm! Lì una fortezza” o “il cannone spara di là”.
Ma ancora più emblematica della situazione psichica del soldato è una lettera rinvenuta nel suo fascicolo sanitario.
MATEMATICA
Georg Cantor
Da adolescente iniziò ad interessarsi agli studi di matematica.
A Halle Cantor iniziò lo studio delle funzioni basandosi sui metodi di Weierstrass, che lo condussero al concetto di convergenza. Era profondamente attratto dai metodi che utilizzavano l'infinito potenziale, i quali, presenti in matematica fin dal tempo degli antichi greci, erano stati modernizzati dagli analisti di Berlino.
Cantor si dedicò intensamente alla ricerca, ma durante il suo periodo più produttivo accadde qualcosa. Nell'estate del 1884 venne colpito da una profonda depressione, che lo costrinse all'inattività per alcuni mesi. Il suo stato di salute mise a dura prova la moglie e i figli, e preoccupò i colleghi che vedevano in lui un matematico che poteva aspirare a grandi risultati. Comunque, senza alcun aiuto medico e senz'alcuna terapia Cantor guari e riprese una vita normale. Scrisse una lettera a un collega che gli era molto vicino, il matematico svedese Gustaf Mittag-Leffler, in cui gli diceva della sua malattia menzionando il fatto che immediatamente prima di essere colpito dalla depressione stava lavorando al problema del continuo.
A distanza di pochi anni dal primo attacco si ammalò di nuovo. Sembra che immediatamente prima della seconda crisi nervosa di cui fu vittima, stesse lavorando al problema del continuo.
Ma più passavano gli anni, più i ricoveri presso la clinica psichiatrica diventavano frequenti.
Non sappiamo quale fosse la natura della malattia. Alcuni sintomi somigliano a quelli che oggi vengono associati alla mania depressiva. La cosa cosa certa era che essa fosse connessa ai suoi studi sull’ipotesi del continuo.
L'IPOTESI DEL CONTINUO
Per determinare la grandezza di un insieme bisogna determinare il numero degli elementi interni all’insieme stesso. D'altra parte, quando si tratta d'insiemi con infiniti elementi, l'idea di numerare ciascuno di essi è possibile mediante quella che chiamiamo corrispondenza biunivoca, che è una corrispondenza che assegna un numero naturale a ciascuno degli elementi di un insieme. Abbiamo chiamato numerabili gli insiemi in cui ciò era possibile. Abbiamo anche visto, però, che ci sono insiemi che non sono numerabili e per far riferimento, in qualche modo, alla "quantità" di elementi che hanno, siamo ricorsi al concetto di cardinalità. In modo che il cardinale di un insieme non è esattamente un numero, ma piuttosto un concetto associato all'idea di grandezza numerica. Di fatto, il trucco consiste nel confrontare insiemi mediante una regola di gioco molto ben definita che ci permetta di essere sicuri che entrambi gli insiemi sono uguali di grandezza oppure no, senza che importi se si tratta di insiemi finiti o infiniti.
Così come Cantor chiamò aleph-zero il cardinale dei numeri naturali,
|ℕ|=ℵ0|N|=ℵ0 , a quello dei numeri reali ℝR diede un nome alternativo, lo chiamò
c, il continuo.
A questo punto Cantor si pose la seguente domanda: esiste un cardinale (ovvero una corrispondenza biunivoca) che sia compreso tra quello dei numeri naturali e il continuo? In qualche modo Cantor intuì che si verificava l'uguaglianza: 2ℵ0=ℵ1
Ossia che non esistono insiemi la cui "grandezza" si trovi tra quella dell'insieme dei numeri naturali e quella dei numeri reali.
Se si trovasse un insieme S che rendesse falsa l'ipotesi del continuo, sarebbe impossibile trovare una corrispondenza biunivoca tra S e gli interi: ci sarebbe sempre qualche elemento di S (in realtà un numero infinito) "lasciato fuori". Allo stesso tempo, sarebbe impossibile trovare una corrispondenza biunivoca tra S e i numeri reali; in questo caso saremmo sempre costretti a "lasciare fuori" un numero infinito di numeri reali.
Cantor fece grandi sforzi, al limite dell'esaurimento, per dimostrare questo risultato. In più di un'occasione credette di esserci vicino, ma non ottenne mai una dimostrazione totalmente soddisfacente, forse proprio questo che lo trascinò attraverso una profonda depressione. Come lui stesso diceva “L'essenza della matematica è la libertà”, libertà di pensare al di fuori delle regole per riuscire a fare la differenza nel mondo della matematica stessa, ed è proprio ciò che lui ha fatto.