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L’idealismo: dall’ Io assoluto all’identificazione del reale con il razionale

Il Romanticismo si pone in rottura, spesso esplicita, con l’intellettualismo illuministico e

settecentesco: il primato non è più della ragione ma del sentimento, sentimento che, per i romantici,

ha anche una funzione gnoseologica. Attraverso di esso l’uomo può cogliere gli aspetti più reconditi

della realtà, della natura, di se stesso e, soprattutto può raggiungere l’infinito, o almeno tentare di

raggiungerlo mediante un continuo Streben o una lotta titanica!

Ma non dimentichiamo che la filosofia di maggior successo, in pieno periodo romantico, fu

l’idealismo. L'idealismo costituisce lo sbocco di un processo culturale e filosofico che ha

caratterizzato l'età moderna, con il tentativo di riunire il finito con l’infinito. L’idealismo fichtiano

ritiene che la realtà abbia un fondamento spirituale: liberandosi dall'antica soggezione alla materia,

l'uomo può comprendere diversamente se stesso, acquistare fiducia nelle proprie capacità , avviare

un processo di autoliberazione, di emancipazione da ogni servitù. Con Fichte, la filosofia idealistica

immette nell'attività conoscitiva quella dimensione della libertà che Kant aveva individuato come

costitutiva della sola sfera pratica.

La prima operazione dell’allievo Fichte è quella di rimuovere il residuo dogmatico noumenico e

affermare il soggetto come principio assoluto della realtà: la realtà viene quindi identificata con il

soggetto. Fichte è uno dei rappresentanti principali dell'Idealismo e ne esprime le idealità profonde:

Spirito, Libertà, Assoluto. Egli si riferisce a Kant e in particolare al Kant del primato della ragione

pratica, della morale. Egli tuttavia va oltre Kant e la sua filosofia del finito, considerando centrale

l'infinito, il superamento del limite. Per Fichte tuttavia non è la ragione a poter cogliere la realtà, ma

l'attività morale.

In Fichte resterà sempre la convinzione che l'umanità sia a metà strada del suo percorso storico, a

metà fra le due epoche principali del genere umano: la prima dominata dall'oscuro sentimento

dell'io, in cui predomina l'egoismo, l'utile materiale, la volontà di vivere e vivere bene; la seconda

caratterizzata invece “dall'amore per il bene in sé e non per l'utile che ne potrebbe derivare”, che sta

a fondamento del progresso dell'umanità. Quest'ultimo passaggio sarà possibile solo se si afferma il

primato dello Spirito e si avrà un'opera educativa adeguata a questo compito.

Nella sua “Dottrina della scienza”, Fichte pone l'Io come soggetto assoluto, come attività

autoproducente e autocreatrice. Egli afferma: “ io sono in quanto agisco” e l'intuizione intellettuale

– definita come l'apprensione immediata di una realtà intelligibile, collocata al di sopra della realtà

sensibile e che viene a costituirsi come fondamento della verità – con cui si coglie la purezza dell'io

è intuizione non di un essere, ma di un agire.

L’uomo per raggiungere l’infinito deve affermare i valori dello spirito: razionalità, bene, libertà,

su quelli della materialità. Non è mia intenzione operare un paragone tra il razionalismo cartesiano e

l’idealismo titanico di Fichte, più modestamente, vorrei sottolineare che, ancora, nella concezione

idealistica di Fichte, forse ancora più fortemente, c’è una supremazia dello spirito sulla materia,

dell’Io sul non-Io: il sistema fichtiano trova un’unità, parte da un’unità –a differenza del sistema

dualistico cartesiano- ma per risolvere il corpo in un ostacolo. Il non-Io, la materia (il corpo!) viene

posto dall’Io per essere….superato!

Ma è il pensiero di Hegel a costituire il momento più alto e maturo raggiunto dall'Idealismo

tedesco ed esso è, infatti, un punto di riferimento per tutto il pensiero filosofico del XIX e XX

secolo.

La filosofia di Hegel tenta di racchiudere in una grande sintesi la molteplicità degli aspetti della

realtà e della varietà delle forme culturali con cui l'uomo ha cercato di viverla e pensarla. Essa

rappresenta l'ultima tappa e l'ultimo tentativo di unificazione in un unico sistema della realtà e del

sapere, compiuto dalla filosofia occidentale con l'intento di non lasciare nulla fuori di sé.

Per Hegel la realtà è ragione. Come scrive nella prefazione ai Lineamenti di filosofia del diritto,

“ tutto ciò che è razionale è reale, tutto ciò che è reale è razionale”. L'unità fra reale e razionale

costituisce la struttura portante dell'intero sistema hegeliano. L'Assoluto stesso è identità di realtà e

razionalità. Per Hegel, dunque, la razionalità è il tessuto della realtà. Egli afferma inoltre il primato

della ragione sull'intuizione e sul sentimento: quella di Hegel è una ragione dialettica (vernuft)

capace di comprendere la dimensione dinamica, contraddittoria del reale, di riconoscere le

opposizioni e superarle. La ragione hegeliana è infatti una ragione storica, per Hegel la realtà è

storia.

Ci ritroviamo ancora una volta di fronte ad un filosofo in cui è chiaro il primato dello Spirito sul

corpo dove addirittura tutta la realtà è ragione!

La filosofia idealista-platonica, cristiana e tedesca, originariamente dualistica, ha privilegiato

l’anima a scapito del corpo, santificato lo spirito contro la materia, accreditato le Idee screditando le

percezioni, nobilitato il dolore e la sofferenza demonizzando il piacere!

L’anti-idealista

Schopenhauer si oppone in maniera diretta e inequivocabile all’idealismo, soprattutto nella sua

versione hegeliana. Egli intende rivalutare la funzione del corpo perché è attraverso quest’ultimo

che l'uomo è in grado di dire che cosa sia la realtà in sé delle cose. La strada che conduce alla

realtà nascosta è il corpo: è attraverso il nostro corpo che possiamo avvertire in noi stessi la

presenza della volontà. Qui si può dunque constatare che il corpo assume finalmente una funzione

che non sia quella negativa di impedimento dell'anima a raggiungere i suoi obbiettivi. Si può

dunque dire che Schopenhauer si avvii alla riscoperta del corpo che tanta parte avrà nella cultura del

secondo Ottocento e del Novecento.

L'uomo per lui non è solo un puro soggetto conoscente, non è solo una testa d'angelo, senza

corpo.

Il corpo ci apre la via verso il noumeno solo se cogliamo in esso una vita oscura e profonda, un

tumulto di desideri, una brama di vivere, uno sforzo ed una tensione che sono irriducibili al

pensiero e che Schopenhauer identifica con la volontà. Il corpo stesso è la manifestazione della

volontà. L'atto volitivo e l'azione del corpo sono una sola cosa. L'azione del corpo non è altro che

l'atto della volontà oggettivato, divenuto visibile all'intuizione. Ogni atto della volontà è un atto

fenomenico del corpo, ogni azione sul corpo è anche azione sulla volontà; come tale si chiama

dolore, se ripugna alla volontà; benessere se è a questa conforme. Schopenhauer analizza dunque

che l'uomo è scisso in sé stesso, ha dentro di sé due poli in perpetua tensione: da un lato la spinta

verso la chiarezza e la razionalità della coscienza, del mondo della rappresentazione , dall'altro

l'urgere della volontà, inconsapevole e irrazionale, la dimensione del bisogno e del desiderio.

L’anima carcere del corpo

Un altro grande filosofo che rivaluta la dimensione corporea è Nietzsche. Egli ha infatti

constatato che la maggior parte dei filosofi ha privilegiato facoltà come la “ragione” o la

“coscienza” e hanno trascurato o addirittura negato il corpo. Una genealogia di tale supremazia

troverebbe il proprio antenato in Socrate, vero e proprio iniziatore, a parere di Nietzsche, della

“tirannia della razionalità”.

Nella prospettiva nietzscheana, la svalutazione della dimensione corporea è una delle

conseguenze della tesi platonica secondo cui il corpo è la tomba dell'anima mentre il senso della

posizione di Nietzsche è che l'anima è la tomba del corpo. Egli vuole infatti negare ciò che il

primato della ragione implica ossia il disprezzo del corpo che era poi una conseguenza del pensiero

greco e cristiano dove il corpo è contemporaneamente vietato e desiderato.

Per Nietzsche dunque l'uomo è il suo corpo. È il corpo a produrre l'Io, esso è quanto di più

intimo c'è nell'uomo, mentre la coscienza è solo la superficie: l'io, in realtà, è una pluralità di forze

di tipo personale, delle quali emergono ora l'una ora l'altra, come determinazioni. Vi sono quindi più

coscienze e non una sola e anche nel corpo vi è una pluralità di forze. L'Io è uno e plurimo, si

trasforma e permane, conosce, sente e vuole.

È evidente la distanza dal cogito cartesiano: nell’interpretazione nietzscheana il pensiero non è

più l'atto dell'io e costitutivo di esso, ma un'attività autonoma dall'io.

Siamo dunque di fronte ad una concezione innovatrice del rapporto mente-corpo che ci ha

permesso, con il passare del tempo, di giungere e di analizzare questa nuova concezione di

malattia. LE MALATTIE PSICOSOMATICHE

1. Che cosa sono le malattie psicosomatiche?

La psicosomatica è un ampio campo della patologia che si colloca a metà strada tra la medicina e

la psicologia, in quanto indaga la relazione tra mente e corpo, ovvero tra il mondo emozionale ed

affettivo e il soma. Nello specifico essa ha lo scopo di rilevare e comprendere gli effetti negativi che

la psiche, la mente, produce sul soma, sul corpo.

I disturbi psicosomatici si possono considerare malattie vere e proprie che comportano danni a

livello organico e che sono causate o aggravate da fattori emozionali. I sintomi psicosomatici

coinvolgono il sistema nervoso autonomo e forniscono una risposta vegetativa a situazioni di

disagio psichico o di stress. Le emozioni negative, come il risentimento, il rimpianto e la

preoccupazione possono mantenere il sistema nervoso autonomo (sistema simpatico) in uno stato di

eccitazione e il corpo in una condizione di emergenza continua, a volte per un tempo più lungo di

quello che l’organismo è in grado di sopportare. I pensieri troppo angosciosi, quindi, possono

mantenere il sistema nervoso autonomo in uno stato di attivazione persistente il quale può

provocare dei danni agli organi più deboli.

Disturbi di tipo psicosomatico possono manifestarsi nell’apparato gastrointestinale (gastrite,

colite ulcerosa, ulcera peptica), nell’apparato cardiocircolatorio (tachicardia, aritmie, cardiopatia

ischemica, ipertensione essenziale), nell’apparato respiratorio (asma bronchiale, sindrome

iperventilatoria), nell’apparato urogenitale (dolori mestruali), nel sistema cutaneo (la psoriasi,

l'acne, il prurito, l'orticaria, la secchezza della cute e delle mucose), nel sistema muscoloscheletrico

(la cefalea tensiva, i crampi muscolari, il torcicollo, l'artrite, dolori al rachide, la cefalea nucale) e

nell’alimentazione.

I sintomi psicosomatici sono comuni nelle varie forme di depressione e in quasi tutti i disturbi

d'ansia, ma si possono avere disturbi psicosomatici veri e propri anche in assenza di altri sintomi di

natura psicologica: ciò rende più difficile, per il soggetto, imputare il malessere fisico ad un

problema psicologico piuttosto che ad un malfunzionamento organico.

1. A. Il dolore fisico per comunicare

La malattia può essere infatti oltre che conseguenza di “deterioramento” fisico, l'eco di uno stato

di angoscia o di disperazione. In chiaro, un choc psicologico può far cadere le nostre difese naturali

e per esempio dare avvio a un'infezione...È vero, lo spirito è strettamente legato al corpo e gli

trasmette spesso i suoi malesseri e le sue sofferenze.

L'impronta della psiche sul corpo prende a volte delle strani deviazioni: è tipico l'esempio della

persona che soffre del mal di mare e che vede apparire i suoi sintomi solo vedendo un “reportage”

sul mare...

Quest'influenza del morale sul fisico è sempre stata avvertita dalla saggezza popolare: non si dice

ad esempio che un tale ci fa…sudare? Fatto sorprendente: queste locuzioni trovano oggi una

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