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Pedagogia - Freud (le fasi dello sviluppo umano, il narcisismo
Metodologia - Creatività e Motivazione; tossicodipendenza e narcolessia
Storia - La società di massa (la massificazione)
Filosofia - Il nichilismo e Nietzsche
Arte - l'opera: "Quadrato nero su fondo bianco" di Malevic e il rapporto con il suprematismo
Autore trattato: Jerzy Grotowski con riferimenti all'opera: "Per un teatro povero" (1968)
La malattia della fantasia
Tesina
maturità Anno 2013/2014
IIS M. Ricci (MC)
Corso socio-psico-pedagogico (5B)
Alessandra Principi
Prefazione
Il presente lavoro nasce dal mio forte interesse per il mondo teatrale, nel quale, ultimamente, ho
trovato posto. “sguardo dentro di sé”
Sono le esperienze sceniche, ma anche e soprattutto quelle introspettive, lo ,
che mi hanno sempre affascinata, seguita e motivata. “maschera”,
Il linguaggio quotidiano utilizza, spesso, in modo limitativo il termine connotandolo di un
“mettere la maschera”
significato negativo: significa nascondersi, sfuggire alla trasparenza delle
relazioni, non mostrare la vera natura di sé.
La maschera, quindi diventa uno strumento “non chiaro” per la comunicazione.
Il mondo del teatro, cui farò riferimento, non è considerato il regno della finzione e della falsità bensì
un mondo creativo.
Di conseguenza la scena non è luogo di inganno, ma ambiente di rappresentazione; il palcoscenico non è
lo spazio in cui si finge, bensì quello spazio in cui si compiono azioni, a partire principalmente dall’uso
del corpo.
..Nella seconda metà del Novecento il teatro italiano è attraversato da almeno tre fenomeni distinti
ma intrecciati fra di loro.
regia
Il primo riguarda la , che nel periodo tra le due guerre aveva visto in Italia la sua nascita e la sua
prima affermazione e che trionferà con la costituzione dei Teatri Stabili.
Si afferma, cioè, un tipo di spettacolo che prevede la presenza di un nuovo “autore” della scena; il
regista, colui che controlla e dirige gli attori in nome della realizzazione di un’opera replicabile sempre
uguale a se stessa.
In secondo luogo, in parziale controtendenza rispetto all’affermarsi della regia, si può osservare una
“grande attore”
certa persistenza della prassi teatrale che si richiama alla stagione del . Resiste, cioè,
nei primi decenni del dopoguerra, un tipo di spettacolo basato ancora sull’esibizione di un attore che
fa della sua arte il fulcro dello spettacolo. “di
In terzo luogo si afferma, a partire dai primissimi anni ’60, un nuovo e diverso tipo di teatro, detto
sperimentazione” , che intende opporsi al teatro ufficiale, incentrato sulla regia. Si inizierà ad
evidenziare la centralità dell’attore che si fa regista di se stesso richiamando, con scelte artistiche, il
clima culturale delle avanguardie novecentesche.
JERZY GROTOWSKI
Grotowski nasce in Polonia nel 1933.
Nel 1955 si laurea presso la Scuola Superiore d'Arte Teatrale di Cracovia con una tesi sulla
recitazione. Subito dopo la laurea si reca a Mosca per studiare regia al Lunacharsky Institute
of Theatre Arts (GITIS). Durante il suo soggiorno a Mosca impara i nuovi indirizzi teatrali
introdotti da figure di spicco del teatro russo come Stanislazskij.
Grotowski, ritornato in Polonia, amplierà moltissimo i suoi studi di regia ed iniziò a rivoluzionare
il teatro tanto da essere considerato uno dei padri del “teatro contemporaneo”.
1968: scrisse “Per un teatro povero” in cui dichiarò che il teatro avrebbe dovuto concentrarsi
sulla radice più profonda dell'atto teatrale: gli attori di fronte agli spettatori.
1986: fondò, a Pontedera, il Workcenter of Jerzy Grotowski; Centro per la Sperimentazione e
la Ricerca Teatrale.
Egli morì a Pontedera nel 1999.
Lo scopo di Jerzy Grotowski era quello di:
“Eliminare, non di insegnare qualcosa; intensificare ciò che esisteva
utilizzando, specialmente, il corpo dell’attore; evitare il magnifico se non
favoriva la verità”.
L’attore doveva essere libero; libero da tutti i condizionamenti esteriori, dalle influenze del teatro
borghese e da tutti gli aspetti acquisiti nel corso della storia così da potersi esprimere secondo la sua
vera natura: la creatività.
Questo processo inizierà con il crollo delle tradizionali idee di teatro e rimarrà, solamente, l’attore,
come unico elemento univoco, il quale sperimenterà un’ascesi personale. Tutto questo porterà alla
liberazione dalla maschera confrontandosi “faccia a faccia con la realtà senza paure” ed analizzando il
“contaminare”
rapporto percettivo che l’uomo-attore fa con se stesso per, poi, anche lo spettatore.
Grotowski rimase sempre convinto che il teatro non avrebbe mai potuto competere con il cinema e che
il cinema offrisse un'esperienza diversa dal teatro. Voleva portare al pubblico un teatro che
stimolasse il confronto, che mettesse alla prova e che coinvolgesse l'esperienza. Era un teatro basato
non tanto sull'immagine ma sulla presenza dell'attore. “azioni fisiche”
Infatti, elementi principali ed imprescindibili, nella sua pratica attoriale, sono le , che
non sono intese solamente come banali movimenti, gesti o parole che sorgono alla luce di un copione, di
uno spettacolo. Esse si inseriscono come parti integranti del processo di autocoscienza, il quale
“trampolino”
caratterizza la ricerca dell’attore; un attore che utilizza il personaggio come con lo scopo
di comprendere cosa si nasconde dietro alla semplice maschera ritrovando l’essenza più intima della
personalità.
Il regista, nella sua opera: “Per un teatro povero” ammette che l’individuo si occupa di arte per
abbattere le frontiere, trascendere i propri limiti e riempire quel vuoto che ne caratterizza
l’esistenza. Più che di teatro, infatti, il regista polacco, finalizza la sua arte ad una continua ricerca
esistenziale ed è proprio per questo che l’attività teatrale non si riduce, solamente, alla preparazione
di uno spettacolo ma gli esercizi fisici offrono maggiore motivazione all’attore diventando esperienza
attiva e di sperimentazione.
Seguendo l’ideologia del “teatro povero” di Yerzy Grotowski mi sono immersa nel suo mondo con uno
spettacolo volto ad evidenziare la creatività e l’utilizzo del corpo dell’attore. Tratto dal celebre
romanzo di Lewis Carroll (“Alice nel Paese delle Meraviglie”) ,“Alice e il Paese che si Meraviglia”, è
uno spettacolo in cui si mettono in evidenza qualità che raramente si trovano ben radicate in giovani
menti ancora in formazione.
TRAMA:
E’ la storia di una bimba che si ritrovò in una sala d’attesa qualunque..
metafora della vita
La ; dopo l’attesa nel pancione della mamma, veniamo chiamati al mondo a nostra
insaputa. La rappresentazione ha voluto essere un motivo di riflessione nei confronti di un sistema
creatività
sociale che frena la delle giovani generazioni, che ne tarpa la capacità critica, l’originalità.
Alice è una ragazzina curiosa che reclama un suo spazio vitale, il suo diritto al pensiero volto a
maturare la sua personalità in modo completo. All’ingresso del teatro il pubblico è stato accolto da un
soggetto con un camice bianco, il quale consegnava ad ogni persona un cartoncino con scritto un
numero.
Il tempo sembra fermarsi quando Alice, chiamata dal dottore, ancora bambina, prende posizione sul
palco, trasformato per l’occasione in un istituto psichiatrico. Proprio in quel momento inizierà la
frantumazione dell’ Io del personaggio. Da qui a poco a poco tutti i personaggi del racconto faranno il
loro ingresso, trasformati con maestria in poveri soggetti psicotici. Alice, inizialmente divertita,
diventerà un ostaggio, sino ad arrivare al colpo di scena finale..
La clinica è gestita da Regina, la regina di cuori, che seduce dapprima la protagonista, dominandola
con atteggiamenti decisi ma cordiali. Via via che il racconto prosegue, i suoi ingressi in scena
dichiarano il vero obbiettivo della direttrice/dittatrice: rendere Alice disciplinata e, allo stesso
“Diritto al Pensiero”
tempo, innocua, poiché, la bambina, con le sue tante domande e il suo è stato un
“scomodo” “poco educato”
soggetto definito o nella società.
Alla fine dello spettacolo, il cerchio sembra chiudersi sull’amaro e inevitabile destino delle menti
creative, ma la regista ci suggerisce che forse non è mai troppo tardi per ribellarsi ad una società che
Meravigliarsi
promuove l’omologazione, in un mondo che, se ancora riesce a , perduto del tutto non è .
-I PERSONAGGI-
Il testo, in questo spettacolo, è stato lo scopo ed il fine del lavoro. Anche Grotowski considerava,
spesso, la parola inutile. Proprio per questo motivo tutti i personaggi si muovono liberamente sul palco
e mostrano un forte controllo dello spazio, dominato, principalmente, dall’uso del corpo. Ogni
personaggio del racconto di Lewis Carroll è stato rivisitato, per l’occasione, ed è stato collocato
all’interno di un ospedale psichiatrico dopo un accurato studio, teorico e fisico, riguardo le diverse
patologie che i ragazzi hanno affrontato e sperimentato. “Stregatto”
Il conosciutissimo Stregatto è stato trasformato in “Gatta” la
quale rappresenta il prototipo dell’artista. L’artista è colui che
inventa, che rinnova, che si mette sempre in discussione ma è, anche,
colui che plasma le sensazioni per trasformarle in emozioni
rifiutando il concetto di normalità. L’artista è colui che fa dell’arte la
sua ragione di vita. “Gatta”, infatti, per interpretare al meglio questo
ruolo estrapolò molte caratteristiche tipiche dell’esteta, il quale vive
la propria vita come un'opera d'arte, quindi, una manifestazione artistica. Egli intende vivere nel culto
«vita inimitabile»,
di una secondo l'espressione di D'Annunzio, sostituendo alla morale il culto del
bello e andando continuamente alla ricerca di piaceri raffinati ed impossibili per una persona comune.
In lui è inoltre presente un continuo stimolo a godere della giovinezza fuggente. Il principio che regola
la vita dell’esteta è il “bello” e la bellezza è intesa come suprema manifestazione del genio.
Ilaria Carlini
“Marzolina”
“Marzolina” rappresenterà la donna/bambina che grida a gran voce i
colori per farci sorridere e per condurci in un mondo apparentemente
fantastico, gioioso e libero; il mondo del bambino. L’attrice, nel suo
le fasi dello sviluppo umano di Sigmund Freud
percorso, studiò . Nel
processo di sviluppo dell’individuo si possono rilevare degli “stadi”, o
“periodi”, ciascuno con specifici tratti e compiti evolutivi. Se, per i più svariati motivi (es. relazioni e
accadimento inadeguati, malattie, traumi..), durante una delle tappe relative alla crescita la persona
non sviluppa pienamente i compiti evolutivi ad essa connessi, si verificherà l’arresto di un ambito più o
meno ampio dell’evoluzione infantile, che avrà effetti sulla tappa successiva e sull’intera vita.
Marzolina ne è un chiaro esempio.
Sono 5 fasi:
Orale (0-18/24 mesi) in cui la gratificazione avviene mediante la stimolazione della regione
della bocca, come nell’allattamento e nella suzione del pollice.
Anale (2-4 anni) in cui la gratificazione si realizza attraverso la ritenzione ed espulsione delle
feci.
Fallica (4-6 anni) in cui la gratificazione si ottiene con la sollecitazione degli organi sessuali.
Complesso di Edipo: caratterizzato dal forte desiderio sessuale nei confronti del genitore del
sesso opposto, e ritenuto contemporaneo alla fase fallica.
Di latenza (6-10/11 anni) in cui gli stimoli sessuali cessano di essere attivi; ciò fa si che il
bambino di scuola elementare indirizzi i propri interessi all’ambiente.
Genitale (dagli 11 anni in poi): si ha il sorgere degli interessi sessuali (fase prepuberale e fase
puberale). Alessandra Principi
Il “Bianconiglio”
Marzolina sorridendo ci presenta il famosissimo “Bianconiglio” del
racconto di Carroll denominato, per questa volta, “Lucio” il quale,
durante lo spettacolo, non riuscirà mai a formare una frase
complessa ed articolata poiché verrà sommerso da un
profondissimo sonno. Ecco perché verrà soprannominato il “Ghiro”
narcolessia
affetto dalla ; una patologia neurologica costituita
ipersonnia
principalmente dall’ . I sintomi connessi a questa
patologia posso essere diversi tra cui, oltre all’eccessiva
cataplessia
sonnolenza diurna, la caratterizzata dalla perdita
della forza muscolare in seguito ad un’intensa emozione, ad una grande risata, ad una rabbia