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Sintesi
Introduzione Malattia mentale - Tesina


La seguente tesina prende in esame la malattia mentale, effettuando alcuni collegamenti interdisciplinari. Argomenti tesina: Alda Merini in Italiano e il suo libro L'altra verità, in Scienze sociali i manicomi prima della legge 180-883 e Franco Basaglia, in Diritto le leggi 180 e 883 e la perdita della capacità di agire, in Storia dell'arte Luis Wain, il pittore schizofrenico.

Collegamenti

Malattia mentale - Tesina


Italiano - Alda Merini e il suo libro L'altra verità.
Scienze sociali- I manicomi prima della legge 180-883 e Franco Basaglia.
Diritto- La legge 180 e 883 e la perdita della capacità di agire.
Storia dell'arte- Luis Wain, il pittore schizofrenico.
Estratto del documento

Alice Miceli

Tesina esame di maturità

anno 2012-2013

La malattia mentale

Una malattia mentale, o disturbo mentale (in inglese: mental disorder), è un'affezione che

colpisce il pensiero, i sentimenti o il comportamento di una persona in modo

sufficientemente forte da rendere la sua integrazione sociale problematica, o da causarle

sofferenza personale. Le malattie mentali sono alterazioni comportamentali o psicologiche

che causano pericolo o disabilità e non fanno parte del normale sviluppo della persona.

Una parte considerevole della ricerca psicologica della personalità è nata in ambito clinico

( orientato alla raccolta di indizi sui singoli casi, faccio riferimento a Freud , e al rapporto 1

a 1), dalla necessità di meglio comprendere e affrontare i disturbi di comportamento.

Psicologia e psichiatria hanno studiato il rapporto fra la personalità e singoli disturbi, e si

sono occupate di comprendere in che misura disagi e patologie del comportamento possono

essere collegati a cause biologiche o alla personalità nel suo complesso. Da questi studi si

sono sviluppate, oltre che teorie e classificazioni diverse, anche differenti pratiche sociali,

nei confronti delle persone definite “ mentalmente malate” o <<folli>>.

Il concetto di “follia” può essere interpretato da molteplici punti di vista:

sociali, culturali, e psicologici ancora prima che psichiatrici.

Dal punto di vista sociale: la definizione d‘individuo come “ folle” è il frutto di una forma di

etichetta, che vuole identificare in modo convenzionale chi adotta una serie di

comportamenti giudicati socialmente devianti .

Dal punto di vista culturale: la nostra società ha progressivamente superato le interpretazioni

di follia come squilibrio umorale, spiegazione magica, possessione diabolica, per sostituire

ad essa una spiegazione almeno in parte riconducibile all’ambito medico, in cui il folle si

trasforma in malato di mente.

Dal punto di vista medico con l’espressione persona disturbata mentalmente s’intende invece

un essere umano che presenta “sintomi” e “ patologie” che possono essere così affrontate e

curate con il contributo medico della psichiatria spesso in collaborazione con la psicologia.

Tra il XIX e il XX secolo, la psichiatria ha compiuto uno sforzo poderoso per classificare la

follia come malattia, per riconoscerne la natura e per individuare le cure più efficaci, secondo

un approccio che ha privilegiato il trattamento fisico e farmacologico.

Le tecniche terapeutiche maggiormente utilizzate prima della nascita del movimento

antipsichiatrico erano:

- lo shock insulinico, oggi in disuso, consiste nell’indurre, mediante la somministrazione di

insulina, un coma ipoglicemico da cui il paziente viene risvegliato con somministrazione di

zucchero.

- l’elettroshockterapia (ECT). Essa consiste nell’indurre una crisi epilettica

mediante il passaggio di corrente elettrica alternata attraverso le tempie. Le scariche

elettriche provocano uno stato di torpore, e se ripetute in giorni successivi, producono uno

stato di passività e confusione che riesce a calmare qualsiasi stato di agitazione.

Questa tecnica, fu spesso utilizzata in manicomio per annullare la reattività del paziente ed

anche come strumento punitivo.

-Lobotomia o leucotomia è il nome dato a interventi di rimozione chirurgica di un pezzo di

corteccia cerebrale, gli esiti di questo tipo di cura sono che il paziente diventa indifferente a

tutto, ha una riduzione drastica dell’iniziativa e perde ogni sua capacità creativa.

-Dalla metà degli anni Cinquanta vennero introdotti gli psicofarmaci che, indipendentemente

dai risultati curativi, avevano l’effetto di attenuare i sintomi più gravi e vistosi, e di rendere

più governabili i momenti di crisi. Tra le sostanze più utilizzate ricordiamo: i barbiturici, e i

tranquillanti che furono poi banditi nel 1967. È evidente l’uso ambiguo degli psicofarmaci:

per un verso costituivano un ulteriore strumento di controllo dei pazienti; dall’altro, aiutando

i soggetti sofferenti nei momenti più difficili, facilitavano la sperimentazione di soluzioni

alternative al manicomio tradizionale.

Successivamente, all’inizio del XX secolo, a fianco della psichiatria si è accostato, con

grande difficoltà l’approccio psicoterapeutico, che ha determinato un evoluzione psichiatrica.

La spinta fondamentale alla nascita della psicoterapia è venuta dalla teoria psicoanalitica di

Sigmund Freud. Secondo questa teoria, l’individuo deve imparare a sottoporre al controllo

razionale e morale le sue pulsioni, permettendo alle stesse però, la soddisfazione in modalità

socialmente ammesse. Il fallimento di tali obiettivi causa l’insorgere di nevrosi e psicosi.

Queste devono essere affrontate appunto attraverso colloqui clinici, nei quali, il terapeuta

sostiene lo sforzo che il soggetto compie per interpretare il significato del proprio disagio.

Le teorie psicoanalitiche incontrarono molte difficoltà a essere ammesse alla psichiatria

ufficiale.

Una grande testimonianza di come veniva trattata la devianza mentale ci arriva dalla

poetessa e scrittrice italiana Alda Merini nel suo libro “L’altra verità”.

Alda iniziò a scrivere poesie quando era giovanissima, poco più che una bambina, e allo

stesso tempo, iniziarono, i primi segni di intorpidimento della mente.

La prima volta che Alda viene internata, è il 1961 quando un giorno esasperata dell’immenso

lavoro e dalla continua povertà, e in preda a chissà quali fumi del male, diede in

escandescenza e suo marito non trovò di che meglio chiamare un’ambulanza, non

prevedendo certo che l’ avrebbero portata in manicomio.

Alda così fu rinchiusa contro la sua volontà all’ospedale psichiatrico “Paolo Pini” di Milano,

dove a quel tempo vigeva ancora la legge n.36 del 1904 che così recitava: “ debbono essere

custodite e curate nei manicomi le persone affette per qualunque causa da alienazione

mentale, quando siano pericolose a sé e agli altri o riescano di pubblico scandalo e non siano

e non possano essere convenientemente custodite e curate fuorché dai manicomi”.

Alda non era pericolosa, eppure a quei tempi “la donna era soggetta all’uomo”, che poteva

prendere decisioni per ciò che riguardava il suo avvenire.

Alda ci racconta nel suo diario:<<In quel primo e terribile giorno fui internata a mia

insaputa, e quando mi ci ritrovai nel mezzo credo che impazzii sul momento stesso perché

mi resi conto di essere entrata in un labirinto dal quale avrei fatto molta fatica ad uscire>>; e

poi ancora << dai miei visceri partì un urlo lancinante, una invocazione spasmodica diretta ai

miei figli e mi misi a urlare e a calciare con tutta la forza che avevo dentro, con il risultato

che fui legata e martellata di iniezioni calmanti>>.

Alda si sentì sia perduta, perché strappata dalla sua vita, e sia tradita e abbondonata dal

marito, con il quale non volle tornare a casa quando lui andò a riprenderla il giorno seguente.

L’ambiente ospedaliero era saturo di odori, per il fatto che molti pazienti orinavano e

defecavano per terra, alcuni si strappavano i capelli, altri si laceravano i vestiti e altri ancora

cantavano canzoni sconce, ma la cosa peggiore era la pratica di elettroshock: << La stanzetta

degli elettroshock era quanto mai angusta e terribile, e più terribile ancora era l’anticamera,

dove ci preparavamo al triste evento. Ci facevano una pre morfina e poi ci davano del curaro,

perché gli altri non prendessero ad agitarsi in modo sproporzionato durante la scarica

elettrica, l’attesa era angosciosa; Un giorno mi ribellai e fui così sottoposta per prima al

trattamento e senza anestesia in modo che sentii tutto, e ancora ne conservo il ricordo>>.

Incredibilmente, nonostante il trauma dei primi giorni, con il tempo Alda riuscì a trovare una

sorta di equilibrio all’interno dei manicomi, come lei stessa spiega nel suo diario: <<per

cinque lunghi anni mi adattai a quel ménage veramente pazzesco…dopo un po’ cominciai ad

accettare quell’ ambiente come buono, non mi rendevo conto che andavo incontro a quello

strano fenomeno che gli psichiatri chiamano ospedalizzazione per cui rifiuti il mondo esterno

e cresci unicamente in un mondo estraneo a te e a tutto il resto del mondo…>>.

Quello che Alda voleva far conoscere nel suo diario era il punto di vista di un degente di

questi manicomi, che si esprime così: “ il manicomio è sicuramente un’istituzione falsa, una

di quelle istituzioni che altro non servono che a scaricare gli istinti sadici dell’uomo”,

tuttavia Alda ammette che vi erano persone bisognose di cure ma che vi erano anche molte

persone internate perché “scomode”, cioè intralciavano la sete di potere di altre persone,

oppure erano semplici poveri rinchiusi per ripulire le città.

L’Internamento di Alda, durò fino al 1972, intervallato da rientri a casa.

In seguito si alternarono periodi di salute e malattia con sporadici episodi di ricovero e nel

1979 Alda fece definitivamente ritorno a casa, fu allora che ricominciò a scrivere

raccontando la sua esperienza di internamento e di torture, facendo così conoscere al

pubblico che cosa erano veramente i manicomi prima della legge Basaglia.

Franco Basaglia fu uno dei tanti psichiatri che contribuì alla nascita in Italia di una vera e

propria contrapposizione <<all’approccio organicista>>, che in parte persiste ancora oggi,

l’Antipsichiatria.

Franco Basaglia in Italia compì esperienze da avanguardia, tra cui ricordiamo Gorizia, Parma

e Trieste, ristrutturando gli spazi ospedalieri in “comunità aperte” .

Queste comunità, realizzate nel ventennio tra il 1950 e il 1970, erano basate sulla

diminuzione della distanza fra pazienti e operatori, sull’uso delle dinamiche di gruppo e del

dialogo per incoraggiare il paziente ad <<aiutare se stesso>> all’interno di clima

democratico e partecipativo.

Con la legge Basaglia i pazienti non furono più divisi in base al sesso, e alle caratteristiche

del loro comportamento, ma raggruppati in base alla loro provenienza territoriale.

Si formarono gruppi di lavoro con incontri e discussioni tra pazienti e operatori, vennero

eliminate le terapie convulsive con i sistemi di contenzione fisica.

La vita di comunità si anima di numerose iniziative come feste, bar, giornali per i ricoverati e

si moltiplicano le uscite in città e l’accesso ai luoghi pubblici.

Con la spinta delle esperienze di Basaglia, e grazie ai movimenti politico-sociali della fine

degli anni Sessanta e inizio anni Settanta prendono avvio due importanti riforme legislative

attraverso la legge del 13/05/1978 N.180 che pone l’obiettivo di abolire i manicomi e la

legge del 23/12/1978 N.883 che istituisce il servizio sanitario nazionale.

LA LEGGE 180

Il 13 maggio del 1978 entrò in vigore la legge 180, inserita integralmente nella legge 833 che

istituiva il Servizio Sanitario Nazionale.

I punti essenziali della legge 180 sono i seguenti:

1 - Abolizione degli ospedali psichiatrici, divieto di costruirne di nuovi, pubblici o privati,

divieto di ricoverare pazienti in quelli ancora esistenti.

2 - Istituzione dei Dipartimenti di Salute Mentale per attuare interventi preventivi, curativi e

riabilitativi sul territorio.

3 - Definizione di una precisa procedura per attuare i ricoveri psichiatrici: tutti i ricoveri sono

volontari ad eccezione di quelli che richiedono un Accertamento Sanitario Obbligatorio

(ASO)* e un Trattamento Sanitario Obbligatorio (TSO)*.

La legge 180 è una legge quadro che fissa dei principi, ma non detta le norme attuative su

come organizzare un Dipartimento di Salute Mentale (compito demandato alle Regioni) se

non per la procedura dei Trattamenti Sanitari Obbligatori.

* L'accertamento Sanitario Obbligatorio (A.S.O.) è una procedura legale, valida in tutta

Italia, che consiste nel visitare un paziente con problemi psichici critici che non accetti di

sottoporsi volontariamente ad una visita medica.

* Con trattamento sanitario obbligatorio (T.S.O.), in Italia si intendono procedure sanitarie

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