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Introduzione Magia nel mondo romano arcaico, tesina
Nella mia tesina di maturità ho deciso di parlarvi della magia perché sin da bambina sono sempre stata attratta da tutto ciò che fosse circondato dal mistero; stimolava la mia curiosità e la mia fantasia perché mi divertivo ad inventare possibili soluzioni per tutto ciò che non riuscivo a spiegarmi. Quando siamo piccoli pensiamo che tutto sia intriso di magia; se non la magia, cos'altro potrebbe mai far funzionare un'auto, una lampadina o far accendere un fuoco? Crescendo però subentra la scienza e l'analisi critica nei confronti di tutto ciò che ci circonda; tuttavia la magia e il mistero non ci abbandonano mai perché nel momento in cui non possiamo più basarci sull'analisi scientifica per spiegare un fenomeno ecco che torna la magia, il soprannaturale, ciò che l'uomo non è in grado di comprendere in modo razionale, e la curiosità di scoprire cosa si celi dietro tali eventi. La tesina permette vari collegamenti con le materie scolastiche.
Collegamenti
Magia nel mondo romano arcaico, tesina
Italiano: Carlo Levi "Cristo si è fermato ad Eboli".
Latino: Apulegio "Apologia"; Lucano "Pharsalia".
Storia: Il confino.
Fisica: .I fulmini
Inglese: "The Rime of the Ancient Mariner" by Coleridge.
Scienze Umane (antropologia): Alfred Metraux; Ernesto De Martino.
Arte: I ritrovamenti archeologici e documenti fotografici; Gauguin "Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo?".
Erictho; alla quale si rivolge Sesto (figlio di Pompeo) per conoscere gli
esiti della guerra. In una scena di necromanzia, Erictho fa tornare l’anima
di un defunto nel corpo di un soldato caduto; il quale predice la sconfitta di
Pompeo nella battaglia (battaglia di Farsàlo). La scena di necromanzia e
quindi il richiamo dell’anima al mondo dei vivi dal Tartaro è così descritta:
Il racconto inizia con la scelta del cadavere da parte di Erictho.
“La lugubre testa avvolta in una fosca nube, si aggirò fra i cadaveri…
mentre sceglie il proprio veggente, frugando fra le viscere... e cerca di
suscitare la voce nel corpo del defunto… Infine, trafitta la gola del corpo
prescelto... lo porta, per farlo rivivere, ai piedi dell’alta rupe di un monte”.
“Qui ella mescola quanto di sinistro produce la natura. Non mancavano
bava di cani, viscere di lince, vertebre di iena feroce, midolla di cervo che
si sia nutrito di serpi, occhi di drago.”
“Più forte di tutte le erbe a evocare gli dei dello Stige, dapprima emise
mormorii dissonanti e molto diversi dal linguaggio umano. Contengono i
latrati dei cani, gli urli dei lupi, il lamento del trepido gufo e del vampiro
notturno, le strida e gli ululati delle belve, il sibilo dei serpenti. Poi con
emonio (tessalo) scongiuro, esprime le altre formule, la voce discende nel
Tartaro”. A questo punto la descrizione prosegue con l’invocazione da
parte di Erictho delle divinità infernali per far si che concedano all’anima
del defunto di rientrare nel corpo per predire il futuro.
Un evento simile si verifica anche nelle comunità tribali in cui il mago\
sciamano entra in contatto con l’anima di un defunto non solo per predire
il futuro ma anche per la risoluzione di problemi. La prima fase di tale rito
prevede che il mago attivi i suoi poteri psichici della visione per andare
oltre il dato sensibile per trovare nella dimensione spirituale l’origine del
problema; azione resa possibile attraverso l’ingresso del mago in un
profondo stato di trance. In molte culture è inoltre importante che il mago
si metta in contatto con l’anima di uno stregone morto, in modo da poter
essere assistito durante la celebrazione del rito; generalmente poi
quest’anima-guida entra in possesso dell’anima del giovane stregone,
trasformandola. Lo stato di trance facilita tale processo e gradualmente il
mago assume nuovi caratteri: talvolta muta il timbro della voce e compie
gesti incomprensibili. Ma la buona riuscita del rito dipende anche
dall’interazione del mago con il cliente; insieme possono così lottare
contro le forze negative che cercano di impadronirsi del cliente.
Ma tornando alle credenze e superstizioni del popolo romano, vi erano
altre pratiche molto diffuse per entrare in contatto con le divinità e
ricorrere alla magia nera.
Fonti archeologiche e letterarie, infatti, mostrano come tali gesti potessero
avere una doppia personalità; ovvero potessero essere utilizzati per tenere
lontane le forze sconosciute o le maledizioni oppure per renderle propizie.
Questi ultimi erano generalmente rivolti contro le persone per
neutralizzare un avversario o vendicare un offesa seguendo la pratica delle
DEFIXIONES.
Tale pratica prevedeva la trascrizione di formule di maledizione rivolte ad
un individuo su una laminetta di piombo che era poi ripiegata su se stessa e
fissata con un chiodo che la trapassava in un luogo considerato come una
via di accesso agli Inferi (come ad esempio una tomba o un pozzo); in
questo modo il DEFIXUS (ovvero il destinatario della maledizione) veniva
consacrato alle divinità infernali.
Un esempio di tali laminette ne è l'esemplare rinvenuto in Britannia e
deposto da un certo Muconio contro l'individuo sconosciuto che gli ha
rubato delle monete e altri oggetti:
“O signore Nettuno,ti DONO l'uomo che ha rubato il SOLIDUS e sei
ARGENTIOLI di Muconio.. cosi dedico a te Nettuno,la vita,la salute e il
sangue di colui che è stato complice del furto. L'animo di colui che ha
compiuto il furto e quello del suo complice possa tu portarlo via...o
Nettuno”.
Un altro esempio è un tavoletta che fa parte del volume “Tabellae
defixionis” realizzato da Audollent che raccoglie molte delle tavolette che
vennero ritrovate durante gli scavi archeologici:
“ Dea Ataecina Turibrigensis. Per la tua maestà ti prego ti supplico e
scongiuro che tu rivendichi quello che mi è stato sottratto,chiunque mi
abbia <<mutato>> rubato o fatto sparire le cose che di sotto si elencano:
sei Tuniche due mantelletti di lino,una vesta da donna..”
“ Dea Ataecina Turibrigensis,per tuam maiestatem te rogo oro obsecro uti
vindices quot mihi furti factum est quisquis mihi imudavit involavit
minusve fecit eas[res] qiss tunicas VI [..pae]nula lintea II in[dus]ium..”
(centoventidue audollent=CIL II 462,Lusitania).
In altre laminette che sono state ritrovate, oltre alle formule magiche vi è la
rappresentazione di alcune figure; generalmente divinità infernali, come
Caronte (dato che si può intuire dal fatto che venisse raffigurato in piedi su
una barca e con un candelabro in mano).
Altre volte, invece, la laminetta era accompagnata da una riproduzione in
miniatura, in terracotta o piombo, della vittima con mani e piedi legati e
trafitta da aghi negli organi che la divinità avrebbe dovuto colpire. Figure
di questo tipo sono spesso presenti nei riti voodoo\vodu; solitamente
queste pratiche sono considerate forme estreme di superstizione legate alla
miseria e alla credulità dei sui esecutori. In realtà la storia del vodu, come
la definisce l'antropologo svizzero Alfred Métraux, è “una somma di
credenze e di riti di origine africana che, strettamente mescolati a pratiche
cattoliche, costituiscono la religione della maggioranza della popolazione
rurale e del proletariato urbano della Repubblica nera di Haiti” (Il Vodu
haitiano. Una religione tra leggenda sanguinari e realtà etnologica, 1958).
Métraux ha osservato che gli haitiani ritengono che ogni individuo
possegga due anime: il Grosso angelo buono e il Piccolo angelo buono. Il
primo è in grado di abbandonare il corpo in tre casi: durante il sogno, nella
trance (in cui lo spirito divino Loa si impossessa di un individuo e gli
fornisce aiuto e sostegno) e in caso di malattia mentale; quest ultimo caso,
ovvero la follia, si crede che sia causato dalla possessione di uno spirito
animale reincarnato ed è provocata da un mago che ha lanciato un
maleficio, sfruttando la magia nera, contro una persona.
Tornando alle credenze romane, un altro esempio di magia nera sono i
sortilegi e le pozioni d'amore realizzate dalle fattucchiere; le quali secondo
la tradizione mescolavano gli ingredienti più ripugnanti per la creazione di
tali pozioni. Tale pratica viene ben descritta in una satira di Orazio
dedicata alla fattucchiera Canidia (I,8):
“Vidi proprio io passare Canidia, col nero manto tirato in su, scalza e
scarmigliata, che urlava insieme alla sorella. Erano entrambe orribili a
vedersi per il loro pallore. Cominciarono con le unghia a scavar la terra e a
fare a mezzi con i morsi un agnella bruna. Avevano anche due fantocci,
uno di lana e uno di cera: più grande quello di lana, per infliggere il castigo
a quello più debole...”.
Per proteggersi dalla magia nera si faceva ricorso alla magia bianca e più
precisamente ad amuleti portati come ciondoli o cuciti sugli abiti;
venivano chiamate BULLAE, ed erano delle custodie in bronzo poste al
collo che contenevano erbe dalle qualità magiche. Oppure potevano essere
utilizzati dei ciondoli sui quali erano rappresentati gli attributi delle
divinità protettrici, o ancora, delle gemme sulle quali si incidevano dei
simboli considerati capaci di evocare la potenza divina racchiusa nella
gemma (si pensava che alcune pietre fossero in rapporto con entità divine)
e di attivarne così il potere. Su questi amuleti può essere rappresentato
l'organo da risanare, una divinità o parole o lettere, apparentemente senza
senso, che hanno la funzione di formule magiche; a sostegno di ciò
sappiamo, infatti, che durante il regno di Caracalla il medico Sereno
Sammonico prescriveva come rimedio contro la febbre un amuleto
contenente la formula ABRACADABRA.
Tale formula, come altre, è diventata così celebre da mantenersi nel tempo
e nella conoscenza popolare, tanto da essere riportata anche nel VII
capitolo del libro “Cristo si è fermato ad Eboli” di Carlo Levi; si tratta di
un romanzo autobiografico ambientato sotto il regime fascista, negli anni
1935-1936, periodo in cui, dopo essersi unito nel 1931 al movimento
antifascista di “Giustizia e Libertà” fondato da Carlo Rosselli, viene
arrestato e condannato al confino (una misura di prevenzione prevista
dall'ordinamento giuridico durante la dittatura fascista, tale provvedimento
poteva essere proposto dalle autorità di polizia ed imposto senza un
processo regolare; il condannato, considerato pericoloso per la sicurezza
pubblica o per l'ordine nazionale, veniva quindi obbligato a risiedere per
un certo periodo di tempo in una località ristretta) ad Aliano,che nel libro
prende il nome di Gagliano ad imitazione della pronuncia locale. Nel
romanzo, il protagonista, intellettuale borghese e militante politico, si trova
improvvisamente a contatto con una realtà poverissima, arcaica, fuori dal
progresso e dalla storia (come fa già intendere il titolo), legata a una
visione del mondo magico-superstiziosa. Ma a poco a poco Levi inizia a
comprendere quella comunità e con la sua laurea in medicina, che gli
consente di prestare cure ai malati, le sue doti comunicative e il suo
rispetto verso quell'umanità vessata e dimenticata, riesce a guadagnarsi la
simpatia, la fiducia e l'affetto della gene di Gagliano. Il romanzo deve
pertanto essere letto come un racconto di formazione in cui Levi,
attraverso quella che possiamo definire un'analisi antropologica e quindi in
contatto diretto con una comunità che per ideali, valori e credenze si
differenzia totalmente dal mondo borghese al quale apparteneva, matura
una nuova e profonda consapevolezza della realtà misera, di se stesso e
dalla propria identità etica e politica. Levi, infatti, si rende conto di come
la storia abbia influenzato la visione magico-superstiziosa della gente i
Gagliano; l'importanza che la storia ha nell'espressione dello spirito umano
viene messa in evidenza dall'antropologo Ernesto De Martino, il quale
sostiene infatti che la storia determina la formazione e lo sviluppo della
cultura popolare che si presenta sot