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Storia: la guerra di mafia negli anni '80, strage di Capaci, Giovanni Falcone;
Italiano: Leonardo Sciascia (il fenomeno mafioso siciliano);
Inglese: Al Capone (la mafia italo - americana).
Fig.1 Tritolo
Vi sono inoltre gli esplosivi da mina di solito confezionati in cilindri, e per
l’amplificazione della pressione introdotti all’interno di cavità poi
opportunamente chiuse.
Così si mosse la mafia progettando l’attentato del ’92 nel quale rimase vittima
il giudice Falcone insieme alla moglie Morvillo e i 3 uomini che componevano la
sua scorta: Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro.
3. LA STRAGE DI CAPACI
Strage di Capaci
Stato Italia
Luogo Isola delle Femmine
Obiettivo Il giudice Giovanni Falcone
Data 23 maggio 1992
17.58
Tipo Esplosione
Morti 5
Feriti 23
Responsabili Giovanni Brusca, Pietro Rampulla e almeno altri 3 collaboratori (Cosa nostra)
Motivazione Rappresaglia contro la lotta alla mafia
Nel tragico attentato sono rimasti illesi altri quattro componenti del gruppo al
seguito del magistrato: l'autista giudiziario Giuseppe Costanza (seduto nei
sedili posteriori dell'auto blindata guidata da Falcone) e gli agenti Paolo
Capuzzo, Gaspare Cervello e Angelo Corbo. Gli esecutori materiali del delitto
furono almeno cinque uomini (tra cui Pietro Rampulla che confezionò e
posizionò l'esplosivo e Giovanni Brusca, che fu la persona che fisicamente
azionò il telecomando al momento del passaggio dell'auto blindata del
magistrato, che tornava da Roma). 5
I mafiosi avevano riempito di tritolo una galleria scavata sotto l'autostrada (per
assicurarsi la buona riuscita del delitto, ne misero circa 1000 kg e come punto
di riferimento gli attentatori presero un frigorifero bianco posto ai lati della
strada) nel tratto che collega l'aeroporto di Punta Raisi (oggi "Aeroporto
Falcone-Borsellino") al capoluogo siciliano.
A tutt'oggi sono conosciuti soltanto i nomi degli esecutori materiali della strage,
poiché le indagini mirate a scoprire i mandanti ed eventuali intrecci di natura
politica non hanno prodotto risultati significativi.
La strage di Capaci, festeggiata dai mafiosi nel carcere dell'Ucciardone, ha
segnato una delle pagine più tragiche della lotta alla mafia ed è strettamente
connessa al successivo attentato di cui rimase vittima il magistrato Paolo
Borsellino, amico e collega di Falcone.
Le stragi provocarono una reazione di sdegno nell'opinione pubblica oltre che
l'intensificazione della lotta antimafia, con il conseguente moltiplicarsi dei
pentiti e la cattura di latitanti quali Totò Riina. 6
Ogni anno, il 23 maggio,
si tiene a Palermo e Capaci una lunga serie di attività, in commemorazione
della morte del magistrato Giovanni Falcone e di Francesca Morvillo.
I resti dell'auto sono esposti a Roma, presso la scuola di formazione degli
agenti di polizia penitenziaria. L'indagine sulla strage ha portato a investigare
sui servizi segreti e a chiedere che venisse tolto il segreto di Stato su alcuni
fascicoli, per indagare sulla presunta collusione tra servizi segreti e mafia.
Il giudice Falcone fin da marzo di quel fatidico anno 1992 seguiva i
collegamenti delle cosche di San Luca con i clan di Palermo e di Trapani.
Era stato il pentito Vincenzo Calcara a raccontare a Falcone e Borsellino d’un
patto fra siciliani e calabresi per uno scambio di imponenti quantitativi di droga
con armi ed esplosivo.
Certo è che vennero pronunciate da subito dallo stesso Falcone le parole: «So
che è già arrivato l’esplosivo destinato a me».
L’intenzione della mafia era quella di annientare uno dei principali uomini che
serviva lo Stato e che aveva ingaggiato una lotta senza frontiera contro di essa.
3.1 Come raccontare davvero la figura di Falcone?
Ci vorrebbe una biblioteca intera per farlo.
E’ il suo modo di fare giustizia quello che attrae e che lo annovera per sempre
tra i fuoriclasse.. 7
Quello per cui lo stimano gli americani: il procuratore Martin; il capo della
polizia di New York, poi sindaco e tutte le alte cariche dell’FBI che faranno
posare un busto di Falcone nell’atrio dell’Accademia di Quantico (Virginia),
perché Falcone è la più alta rappresentazione della Giustizia e dello Stato.
La sua storia ebbe inizio quando gli venne presentato il fascicolo su Rosario
Spatola, negli anni in cui si faceva sempre più presente il fenomeno della
mafia.
“Può accadere di tutto” commenta Falcone. Anche la mia uccisione , come
accadde meno di quattro mesi dopo. Al CSM aveva detto : ”Si muore
…
generalmente perché si è soli o perché si è entrati in un gioco troppo grande
In Sicilia la mafia colpisce i servitori dello Stato che lo Stato non è
riuscito a proteggere..!”
Non c’è ancora una verità completa, non si sa chi sono i mandanti.
Ma sono passati ‘solo’ venti anni..!
Oggi più che mai la figura di Giovanni Falcone è un prezioso esempio per le
nuove generazioni. La sua lotta contro la mafia e tutte le forme di criminalità
organizzata, a cui fa comodo lo stato di disordine in cui versa il nostro Paese
soprattutto il Mezzogiorno, è stata una serie e impegnata lotta per lo Stato e la
legalità.
3.2 Ma quale rapporto vi era realmente tra lo Stato e la mafia..
?
Era il 31 gennaio 1992, quando con la sentenza della Corte d’Assise d’Appello
vennero confermate le condanne impartite a tutti i principali boss di Cosa
Nostra: 19 ergastoli e oltre 2600 anni di carcere decretavano la validità delle
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accuse mosse dai giudici Falcone e Borsellino ai danni delle più grandi
organizzazioni criminali italiane A meno di due mesi da quelle sentenze, il 12
marzo 1992, all’uscita della sua villa di Mondello, venne ucciso il potente
esponente della Dc Salvo Lima, freddato da alcuni sicari inviati dal Capo dei
Capi Totò Riina. Era un segnale plateale. Cosa Nostra cercava vendetta e
dichiarava guerra agli uomini dello Stato come Falcone e Borsellino, che si
erano spesi senza remore per minare le basi dell’organizzazione mafiosa, e
smascherare i referenti politici che alla mafia avrebbero dovuto garantire
appoggi e affari.
Ma chi era Salvo Lima? Ex deputato ed europarlamentare, era il leader del
principale partito del Paese in Sicilia e referente della corrente guidata da Giulio
Andreotti. Un’amicizia e una vicinanza politica che costarono non poco al
senatore a vita. Era in odore di mafia, e non a caso il legame tra Andreotti e
Lima contribuì alla formulazione delle accuse di collusione con la mafia
piombate sull’ex presidente del Consiglio. Lima conosceva il boss pentito
Tommaso Buscetta da decenni. A rivelarlo per primo fu un giudice, poi ucciso
dalla mafia, in un verbale nel quale confermò la strana conoscenza Lima-
Buscetta: “Lima mi disse, una volta, di conoscere Buscetta Tommaso, e che
quest’ultimo era stato iscritto ai gruppi giovanili della Dc. Quando io chiesi a
Salvo Lima chi fosse Buscetta, egli disse: è un mio amico, uno che conta”.
Quando sul caso fu interpellato proprio Andreotti, il senatore smentì tutto.
Dichiarò di averlo conosciuto “quando era sindaco di Palermo nel 1968″ e di
“non aver avuto motivo di considerarlo veramente mafioso”.
Quel 12 marzo Cosa Nostra uscì allo scoperto. Certo, lo aveva fatto tante altre
drammatiche volte. Ma stavolta l’assassinio dava il via ad una vera e propria
sequenza di crimini via via più spietati. Dai colpi di pistola si passò al tritolo, poi
alle bombe piazzate nei più prestigiosi luoghi di interesse artistico e culturale
del Paese (come agli Uffizi, nel ’93), infine alla preparazione di attentati in
prossimità di luoghi affollatissimi allo scopo di causare la morte di centinaia di
agenti delle forze dell’ordine e gente comune (come allo Stadio Olimpico, nel
gennaio ’94).
Le indagini della magistratura hanno rivelato come la strategia fortemente
voluta da Riina fosse il frutto della necessità di Cosa Nostra di costringere lo
Stato a trattare, di cercare e instaurare nuovi contatti con le istituzioni,
raggiungere un nuovo equilibrio politico.
4. LA GUERRA DI MAFIA NEGLI ANNI 80
All'inizio degli anni Ottanta scoppiò la grande guerra di mafia che porterà al
potere il
gruppo dei Corleonesi di Totò Riina. La guerra fu condotta con una violenza
inaudita, il che era una novità poiché la vecchia mafia non utilizzava metodi
così violenti. L'idea che si ha dei capi mafiosi come “menti” raffinate, che
vivono ad un altro livello rispetto agli esecutori dei loro voleri è del tutto
sbagliata. Anzi, caratteristica peculiare della mafia è proprio questa identità tra
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mandanti e esecutori, così che si diventa ‘capimafia’ solo passando a crimini
più efferati, e spesso sono gli stessi capi che partecipano direttamente alle
azioni più importanti.
Per svariate ragioni la società siciliana, sul finire degli anni Settanta, si ribellò a
questo stato di fatto: nella magistratura, nella società civile e perfino nella
politica si
diffusero voci contrarie alla mafia.
La prima reazione delle cosche fu quella di eliminare direttamente chiunque
fosse stato contrario al loro strapotere.
Iniziò così la stagione dei grandi delitti.
Si iniziò nel 1979 con l'assassinio del giudice Cesare Terranova, seguirono tra i
magistrati gli omicidi di Gaetano Costa, appena nominato procuratore a
Palermo, e Rocco Chinnici, capo dell'Ufficio Istruzione di Palermo e diretto
superiore di Giovanni Falcone.
Tra i politici, nel 1980, di particolare significato fu l'omicidio di Piersanti
Mattarella, demo-cristiano, divenuto da poco presidente della Regione
confidando nel fatto che il padre aveva avuto rapporti pacifici con la mafia.
Ancora tra i politici fu ucciso Pio La Torre nel 1982, segretario regionale del PCI,
da
sempre attivo nella lotta contro la mafia.
Anche le forze dell'ordine pagarono caramente il nuovo clima di opposizione
alla mafia. Furono uccisi il vicequestore di Palermo Boris Giuliano, gli ufficiali dei
carabinieri Giuseppe Russo e Emanuele Basile , quest’ultimo riconosciuto in
quel momento, dai mafiosi stessi, l’unica persona in grado di decifrare qualsiasi
sistema mafioso, e i dirigenti di polizia Beppe Montana e Ninni Cassarà.
Nel settembre 1982 fu ucciso il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa con la sua
giovane moglie a 100 giorni dalla sua nomina di prefetto a Palermo, ancora in
attesa di quei poteri speciali per combattere più efficacemente la mafia che lo
Stato ha tardato a conferirgli.
Fu proprio negli anni ’80 che venne istituito a Palermo un pool, ovvero un
gruppo di lavoro di magistrati palermitani, in risposta alla criminalità mafiosa.
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(Scalfaro, Falcone, Signorino e Ayala)
Il merito della creazione di questo gruppo fu dapprima di Rocco Chinnici che
affidò tutti i processi di mafia a quattro giudici:
Paolo Borsellino, Giovanni Falcone, Giuseppe Di Lello e Leonardo Guarnotta.
La reazione della mafia però non si fece attendere, infatti nel 1982 uccise il
magistrato Chinnici.
La strategia del pool puntava su sei punti innovativi rispetto al passato:
1 . Si istituì un sistema di intensa collaborazione tra i giudici e la loro
specializzazione
in reati di mafia;
2. Si iniziarono a considerare i delitti di mafia come momenti di un'unica trama
Criminale;
3. Vennero utilizzati i “collaboratori di giustizia” ed in particolare Tommaso
Buscetta
la cui testimonianza dall'interno ha consentito di conoscere il funzionamento
esatto della mafia;
4. Tutti gli imputati sarebbero stati processati con l’accusa di associazione
mafiosa
per evitare inutili perdite di tempo sulle pene loro comminate;
5. Si rese operativo l’art. 41 bis introdotto dalla legge del 1986 mediante il
quale il
Ministro della Giustizia può sospendere l’applicazione delle normali regole di
trattamento dei detenuti in casi di rivolta o di altre gravi situazioni di
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per applicarne altre più restrittive.
A seguito della Strage di Capaci il regime speciale cui erano sottoposti alcuni
detenuti venne esteso a carcerati per reati di criminalità organizzata.
Il complesso di queste misure è generalmente noto come “carcere duro” ;
6. Ultimo punto saliente della strategia del pool fu quello di ricostruire gli
aspetti
finanziari dell'attività mafiosa.
Se Cosa Nostra riusciva a nascondere perfettamente le prove dei propri delitti,
più difficilmente riusciva a cancellare le tracce del denaro derivante da questi.