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Italiano: Dante Alighieri; Giacomo Leopardi; i Futuristi
Arte: Caspar David Friedrich; i Futuristi
Tedesco: il Nazismo
Educazione motoria: la tecnologia nello sport
Scienze: astronomia
Liceo della Comunicazione Giuseppe Toniolo
IL LIMITE:
STIMOLO AL PROGRESSO E SFIDA AL MIGLIORAMENTO DI SE’
Alan Bodner
Anno Accademico 2010/2011
INDICE
Introduzione 1
Il limite come stimolo all’arte e fonte d’ispirazione 5
Körpervorstellung in NS-Regime: die Überwindung der eigene Grenzen zur ständigen 9
Selbstverbesserung
Record: il senso del limite nello sport e il ruolo della tecnologia nel suo superamento 11
Verso l’infinito ed oltre. La tecnologia esplora i limiti dell’universo 15
Conclusioni 18
Bibliografia 19
INTRODUZIONE
L’argomento da me scelto è il concetto di limite.
Ho scelto questo tema perché voglio mostrare come per l’uomo il superamento dei limiti
rappresenti una sfida nel percorso di crescita e miglioramento. La sfida non è soltanto contro i
propri limiti ma anche contro i limiti imposti dalla Natura e dalla tecnologia.
La possibilità di sfidare questi limiti è sempre intesa come uno stimolo al miglioramento di sé, delle
proprie conoscenze, del progresso della società e del mondo.
Al giorno d’oggi viviamo in una società in continua evoluzione: tutti i settori della vita subiscono un
incessante sviluppo. Si può parlare di un infinito superamento di ostacoli che per natura si
presentano all’uomo in quanto individuo finito.
Nel corso della tesina cercherò di dimostrare come il concetto di limite costituisca un aspetto
fondamentale nella ricerca e nel miglioramento di sé, da un punto di vista tecnologico, sportivo,
ma anche artistico ed esistenziale. E’ in fondo proprio la limitatezza che caratterizza l’uomo, che ci
spinge ad affrontare e superare quei limiti utili a raggiungere traguardi prima impensabili e in
definitiva a migliorare la nostra esistenza. 1
IL LIMITE MATEMATICO: STORIA E SIGNIFICATI DEL CALCOLO DELL’IMPOSSIBILE
Quando si pensa alla parola “limite”, il primo concetto che viene in mente è sicuramente il limite
matematico. Nel 1885 il matematico tedesco Karl Weierstrass definì in modo rigoroso la nozione
di limite, ma il suo concetto è molto più antico.
Per secoli matematici e filosofi hanno lottato con paradossi che coinvolgono la divisione per zero o
le somme di numeri infiniti; il primo paradosso che si è tentato di risolvere è stato quello del
calcolo delle aree e volumi. Questo è stato possibile grazie all’invenzione del calcolo integrale,
sviluppatosi già nell’antico Egitto.
Già nel papiro egizio di Mosca (1820 a.C.), infatti, si ritrovano calcoli di volumi e superfici, ma le
formule sono istruzioni semplici, e alcune di loro sbagliate.
Dall’età della matematica greca, Eudosso di Cnido (c. 408 - 355 a.C.) ha utilizzato il metodo di
esaustione, che anticipa il concetto di limite, per calcolare aree e volumi. Per determinare l’area di
una figura piana a contorno curvilineo, poligoni sempre più fitti venivano utilizzati per riempirla
fino ad esaurirla. Archimede (287 - 212 a.C.) ha sviluppato ulteriormente questa idea, inventando
procedimenti (chiamati “euristiche”) che ricordano i metodi di calcolo integrale. Il metodo
considera la figura formata da un certo numero di fili pesanti, paralleli fra loro, e dunque con un
certo peso; si può confrontare il peso di questa figura con quello di un'altra figura di area nota.
Il metodo di esaustione fu poi reinventato in Cina da Liu Hui nel 3° secolo d.C., con lo scopo di
trovare l'area del cerchio. Nel 5° secolo d.C., Zu Chongzhi ha stabilito un metodo che verrà poi
denominato “principio di Cavalieri” per trovare il volume di una sfera.
Bonaventura Cavalieri (1598 - 1647) sostenne poi che i volumi e le aree devono essere calcolati
come somma dei volumi e delle aree di sezioni trasversali infinitamenti sottili. Le idee sono simili a
quelle proposte da Archimede in “Il Metodo”, ma questo trattato non venne ritrovato fino
all’inizio del ventesimo secolo. Il lavoro di Cavalieri non era molto rispettato poiché i suoi metodi
potevano portare a risultati errati e le quantità infinitesimali, da lui introdotte, non erano ben
considerate dai matematici dell’epoca.
Era necessario sviluppare un tipo di analisi che potesse lavorare con grandezze infinitamente
grandi o infinitamente piccole senza portare ad errori. Questo tipo di analisi verrà poi chiamato
calcolo differenziale.
Isaac Newton (1643 – 1727) ha introdotto diverse e nuove regole matematiche tra cui il metodo
delle flussioni, usato per risolvere questione di natura fisica. Nelle sue pubblicazioni, Newton ha
riformulato le sue idee per soddisfare il linguaggio matematico del tempo, sostituendo i calcoli con
infinitesimi. Ha usato i metodi di calcolo infinitesimale per risolvere il problema del movimento
planetario, la forma della superficie di un fluido rotante, dello schiacciamento della terra, il moto
di un peso scorrevole su una cicloide, e molti altri problemi discussi nei suoi “Principia
Mathematica”. Non pubblicò tutte queste scoperte, poiché in quel periodo i metodi infinitesimali
erano considerati poco affidabili. 2
-Isaac Newton-
Gottfried Wilhelm Leibniz (1646 - 1717), che è stato il primo a pubblicare i suoi risultati sullo
sviluppo del calcolo infinitesimale, fu inizialmente accusato di plagio da Newton. Su insistenza di
Leibniz, la Royal Society studiò a fondo la questione della paternità del calcolo infinitesimale. La
ragione andò a Newton, ma Leibniz rivendicò fino alla morte l’autonomia delle proprie ricerche. Il
suo contributo è stato quello di fornire un insieme chiaro di regole per la manipolazione di
quantità infinitesimali, che consente il calcolo delle derivate seconde e superiori. A differenza di
Newton, Leibniz prestò molta attenzione al formalismo. Oggi sono considerati entrambi ideatori
del calcolo infinitesimale, essendo arrivati alle stesse conclusioni in modo indipendente. Il nome
“calcolo infinitesimale” fu un’idea di Leibniz; Newton, infatti, chiamò il suo calcolo "la scienza delle
flussioni". -Gottfried Leibniz-
Dai tempi di Leibniz e Newton, molti matematici contribuirono allo sviluppo del calcolo
infinitesimale. 3
-Karl Weierstrass-
Dal 19° secolo, il calcolo infinitesimale fu reso molto più rigoroso da parte di matematici come
Cauchy, Riemann e Weierstrass. Quest’ultimo fornì la definizione di limite che utilizziamo ancora
oggi:
Il limite è quindi l’unico strumento per lavorare con gli infinitesimi e gli infiniti ed è il fondamento
di tutto il calcolo integrale. Lo studio dei limiti permette all’uomo di superare proprio quei limiti
che la matematica impone e di risolvere calcoli che coinvolgono velocità, accelerazione, ma anche
volumi, centri di massa, e questioni economiche. 4
IL LIMITE COME STIMOLO ALL’ARTE E FONTE D’ISPIRAZIONE
L’uomo, sia esso un matematico, un filosofo, un poeta o un pittore, ha da sempre cercato di
superare i limiti che si è trovato davanti. Uomini di tutti le epoche si sono posti la stessa domanda:
“E’ possibile superare i limiti che la vita, la lingua, la vista o la conoscenza ci impongono?”
Anche Dante Alighieri (1265 - 1321) si scontra con il problema dei limiti umani. Nella “Divina
Commedia” tratta il tema dell’ineffabilità, ovvero l’incapacità di esprimersi perché la grandezza
degli argomenti non consente all’uomo di descrivere ciò che osserva. Ciò è chiaramente descritto
all’inizio dell’ultima cantica. Nel ciel che più de la sua luce prende
fu’io, e vidi cose che ridire
né sa né può chi di là sù discende;
perché appressando sé al suo disire
nostro intelletto si profonda tanto,
1
che dietro la memoria non può ire.
Nel Paradiso Dante raggiunge l’Empireo, la sede di Dio; è quindi la grandezza, l’immensità di Dio
che non può essere espressa a parole né ricordata. La profondità di ciò che si osserva non può
essere descritta; questo è un vero e proprio limite umano di cui il poeta è pienamente
consapevole. Eppure Dante prova ugualmente a testimoniare la bellezza di quello che vede, ma
non riesce quasi a ricordare ciò che vive:
Da quinci innanzi il mio veder fu maggio
che ‘l parlar mostra, ch’a tal vista cede,
e cede la memoria a tanto oltraggio.
Qual è colui che sognando vede,
che dopo ‘l sogno la passione impressa
rimane, e l’altro a la mente non riede,
cotal son io, ché quasi tutta cessa
mia visione, e ancor mi distilla 2
nel core il dolce che nacque da essa.
Il poeta, infatti, non può raccontare quello che ha visto ma solo descrivere la sensazione di
dolcezza che ancora gli rimane in cuore. La sensazione che prova è simile a quella di chi, appena
sveglio, non ricorda ciò che ha sognato, ma ne reca ancora nel cuore l’emozione.
1 Paradiso I, 4-9
2 Paradiso XXXIII, 55-63 5
Omai sarà più corta mia favella,
pur a quel ch’io ricordo, che d’un fante 3
che bagni ancor la lingua a la mammella.
In questa terzina, Dante dichiara definitivamente la sua incapacità di descrivere ciò di cui è
testimone: d’ora in avanti il suo parlare sarà talmente inadeguato rispetto a quanto ha visto, da
essere superato dal balbettio di un bambinello che deve essere ancora allattato. Il poeta, quindi,
ammette ed accetta i limiti che la lingua gli impone e comprende che è impossibile superare
questo ostacolo: l’uomo è troppo limitato per descrivere la magnificenza del Paradiso e di Dio.
Anche Giacomo Leopardi (1798 - 1837), quasi cinque secoli dopo, si pone il problema del
superamento dei limiti umani. Al contrario di Dante però, Leopardi trova un espediente per
superare tali limiti. In una sua famosa poesia, “L’infinito”, Leopardi non riesce a vedere al di là
della siepe; questo limite fisico evoca il desiderio e viene superato grazie all’immaginazione.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quiete
io nel pensier mi fingo; ove per poco
4
il cor non si spaura.
Il poeta, seduto su un “ermo ha di fronte a sé una siepe che Non gli resta
colle” “il guardo esclude”.
quindi che utilizzare il più grande dono che l’uomo possiede: l’immaginazione. La capacità
dell’uomo di immaginare situazione piacevoli anche nelle occasioni peggiori è ben spiegata da
Leopardi con la sua “teoria del piacere”. Il poeta sostiene che l’uomo tende senza sosta a cercare
un piacere infinito, a causa di un desiderio continuo e illimitato. La ricerca del piacere è resa
possibile grazie all’immaginazione, che permette all’uomo di sognare piaceri inesistenti ed infiniti,
dando quindi speranza anche nei momenti più miserabili della vita.
Fantastica quindi “interminati spazi di là da quella, e sovrumani silenzi, e profondissima quiete”.
Questa immensità non vista ma intuita grazie all’immaginazione causa quasi spavento. E’
spaventosa la sproporzione tra i limiti che la vista impone e l’illimitatezza che l’immaginazione può
raggiungere. Questo squilibrio viene colto solo grazie al limite imposto della siepe; se Leopardi
guardasse l’orizzonte libero non riuscirebbe a percepirne l’immensità, né comprendere “l’eterno”
ed infine affermare che “il Per qualche breve istante il poeta
naufragar m'è dolce in questo mare”.
riesce a percepire l’infinto evadendo da una realtà limitata. La siepe infatti rappresenta la sua
reclusione, l’impossibilità di uscire. Solo l’immaginazione può liberarlo e gli permette di
sperimentare un piacere infinito quasi sublime.
3 Paradiso XXXIII, 106-108
4 L’infinito, 4-8 6
Contemporaneo di Leopardi è Caspar David Friedrich (1774 – 1840), pittore tedesco esponente del
Romanticismo. Il Romanticismo è un movimento artistico nato negli ultimi anni del Settecento per
contrastare i limiti imposti dalla ragione illuminista che, con la sua presunzione, crede di poter
spiegare tutto tramite la ragione. Secondo i romantici, invece, è proprio la ragione umana ad avere
dei limiti, che solo il sentimento e l'arte possono superare.
Friedrich è considerato uno dei più importanti rappresentanti del paesaggio romantico; nei suoi
dipinti, infatti, si può osservare una grande attenzione ai dettagli dei paesaggi e agli effetti di luce.