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primo Ottocento. La complessità e molteplicità degli aspetti a volte persino
contraddittori, assunti dal Romanticismo, ne rendono impossibile una definizione
sintetica e unitaria. Tuttavia il Romanticismo nasce in opposizione ai motivi più astratti
dell’ideologia illuministica, della quale, però, conserva e approfondisce quelli più validi.
L’Illuminismo aveva esaltato la ragione come facoltà sovrana, cui tutte le altre dovevano
essere rigorosamente subordinate, aveva rigettato le religioni tradizionali, sostituendo ad
esse un vago deismo o una concezione sensistica e materialistica della realtà. Il
Romanticismo è, invece, pervaso da un’ansia religiosa che, o si concreta nel ritorno alle
fedi tradizionali o sfocia nell’immanentismo, cioè in una religione dell’umanità, fondata
sul culto dei valori spirituali più alti, che dirigono la storia, o in un mistico panteismo, che
fa coincidere Dio col mondo e ne avverte l’arcana presenza nella natura e nella storia;
comunque, in un deciso spiritualismo. Inoltre, pur accogliendo l’esaltazione illuministica
della libera ragione umana, rivendica il valore del sentimento e della fantasia. Nasce così
un concetto più organico della vita dello spirito, fondata sulla libera associazione di tutte
le sue facoltà, una delle quali, anzi, il sentimento, non è più sentita come inferiore, ma
come il mezzo che ci pone in contatto più immediato con l’Assoluto, cioè con l’intima
realtà della vita universale, con ciò che i Romantici chiamano l’infinito.
Tutti d'accordo nell'assegnare all'Infinito questo ruolo primario, i romantici si
differenziano invece per il diverso modo di intendere l'Infinito stesso e di concepirne i
rapporti con il finito. Il modello più caratteristico e maggiormente seguito dai poeti e dai
filosofi tedeschi, come si è già detto, è quello panteistico. Infatti, il sentimento della
1
“Einfühlung ” fra l'Infinito e il finito è così forte da far sì che essi, tendano a concepire il
finito come la realizzazione vivente dell'Infinito, sia esso inteso, alla maniera di un
panteismo naturalistico che identifica l'Infinito con il ciclo eterno della natura oppure di
un panteismo idealistico che identifica l'Infinito con lo Spirito, ossia con l'Umanità stessa e
fa della natura un momento della sua realizzazione.
Sebbene prevalente, il modello panteistico non è l'unico, poiché accanto ad esso troviamo
anche un'altra concezione dei rapporti tra finito ed Infinito: una concezione per la quale
l'Infinito viene in qualche modo a distinguersi dal finito, pur manifestandosi o rivelandosi
1 Einfühlung è una parola tedesca che significa “partecipazione emotiva” e che viene tradotto in italiano comunemente con
empatia. Il termine indica la proiezione delle proprie emozioni su un oggetto di natura contemplato con amore, immedesimandosi
con esso. Nella contemplazione estetica diventa la percezione delle proprie forze emotive trasferite in un oggetto. Secondo tale
teoria questo fenomeno si manifesta specialmente nei confronti delle opere d’arte, in quanto esse sono già connotate per offrirsi
al fruitore come oggetti emozionali. 7
in esso. In questo caso, il finito non appare più la realtà stessa dell'Infinito, ma come la
sua manifestazione più o meno adeguata. Per cui, se il primo modello, sostiene l'identità
tra finito e Infinito, il secondo modello, afferma la distinzione tra i due, ammettendo la
trascendenza dell'Infinito rispetto al finito e considerando l'Infinito stesso come un Dio
che è al di là delle sue manifestazioni.
Il riferimento dell’infinito nel Romanticismo ricorre spesso ad alcuni essenziali punti
cardine come:
• Assoluto titanismo:
e caratteristica inequivocabile del romanticismo è la
teorizzazione dell'assoluto, l'infinito immanente alla realtà (spesso coincidente
con la natura) che provoca nell'uomo una perenne e struggente tensione verso
l'immenso, l'illimitato. Questa sensibilità nei confronti dell'assoluto si identifica nel
titanismo: viene paragonata dunque allo sforzo dei Titani che perseverano nel
tentativo di liberarsi dalla prigione imposta loro da Zeus, pur consapevoli di essere
stati condannati a restarci per sempre.
• Sublime: secondo i romantici, l'infinito genera nell'uomo un senso di terrore e
impotenza, definito sublime, che non sono tuttavia recepiti in modo violento, tali
da deprimere il soggetto, ma al contrario l'incapacità e la paralisi nei confronti
dell'assoluto si traduce nell'uomo in un piacere indistinto, dove ciò è orrido,
spaventevole e incontrollabile diventa bello.
• “Sehnsucht”: dal tedesco traducibile come nostalgia, desiderio del desiderio o
male del desiderio. È la diretta conseguenza di quanto sperimenta l'uomo nei
confronti dell'assoluto, un senso di continua inquietudine e struggente tensione,
un sentimento che affligge il soggetto e lo spinge ad oltrepassare i limiti della
realtà terrena, opprimente e soffocante, per rifugiarsi nell'interiorità o in una
dimensione che supera lo spazio-tempo.
• Ironia: la consapevolezza della finitudine delle cose che circondano l'uomo e che
egli stesso crea si traduce nell'ironia, per cui l'uomo prende coscienza della sua
stessa limitatezza. L'ironia, che Socrate medesimo usava per autosminuirsi quando
si confrontava con i suoi interlocutori (ironia socratica), si identifica quindi in un
atteggiamento dissimulatore. 8
Il concetto di infinito è stato ben analizzato in Italia da Leopardi; egli, pur non
accettando completamente la concezione romantica del termine, fu forse l’unico
in grado di spiegarne l’essenza.
La visione dell’infinito in Giacomo Leopardi
Lontano dall'idea matematica e filosofica, l'infinito leopardiano è il riflesso di una realtà
incommensurabile sui sensi limitati di una creatura finita, determinata: il poeta approda a
un sentimento, la dolcezza dei naufragio, non ad un concetto. L’idea e il sentimento
dell’infinito sono le componenti principali del vasto problema del significato e valore
dell’esistenza nell’opera leopardiana. Per il poeta, l’infinito è tutto ciò che è illimitato,
dunque una dimensione radicalmente opposta a quella umana, caratterizzata proprio da
un'insuperabile finitezza. Il problema si articola
attraverso il lamento,
l’insoddisfazione, e quindi
la svalutazione della vita
umana, da una parte, e
dall’altra nell’aspirazione
a trascendere i limiti
imposti all’esistenza
mortale per attingere
quell’appagamento che l’uomo invano cerca su questa terra. Il problema travaglierà tutta
la vita interiore di Leopardi dando luogo a dubbi, contrasti, ed oscillazioni che
raggiungono a volte punte esasperanti; solo sulla soglia della morte il poeta saprà darne
una soluzione ferma e convincente.
Rappresentato dapprima nel celebre idillio del 1819, il problema dell’infinito verrà
ripreso nello Zibaldone, in modo impegnativo nelle prime pagine, e saltuariamente poi
attraverso quasi tutta l’opera. Esso riapparirà, nella forma di meditazioni sulla mortalità
“Zibaldone”
ed immortalità ancora nello e attraverso tutta la poesia.
L’intuizione poetica dell’infinito racchiude tre momenti: 9
1. nel pensier mi fingo”)
La funzione dell’immaginazione (“io che ha come “attività”
principale la raffigurazione del piacere;
2. La rappresentazione dell’infinito vero e proprio in termini di spazio, tempo e
silenzi, e profondissima quiete”, silenzio”,
suono (“sovrumani “infinito “l’eterno”,
morte stagioni, e la presente e viva, e il suon di lei”);
“le
3. il
Il particolare atteggiamento del poeta verso l’immensità dell’infinito (“s’annega
pensier mio / e il naufragar m’è dolce in questo mare”).
Questi tre elementi sono presenti ovunque Leopardi medita sul problema, talora identici,
più sovente con variazioni notevoli. Sul piano delle immagini, l’idea dell’infinito orienta la
poesia leopardiana verso la visione degli spazi celesti, dello sterminato pulviscolo di astri e
mondi in esso presenti. Ma essa esercita una considerevole influenza anche sul piano
stilistico, inducendo ad un uso massiccio di quei termini "vaghi" e "indefiniti" di cui
Leopardi asseriva la particolare poeticità; quanto più larga e tendenzialmente illimitata è
infatti la visione, tanto meno precise e determinate devono essere le parole impiegate
per esprimerla. D’altro canto, anche le parole riferite a contenuti non cosmici finiscono
nel poeta per assorbire una traccia della stupefazione e dell’annichilimento da lui provati
di fronte all’infinito. Va però detto che al cospetto dell’infinito l’uomo è costretto anche a
prendere amara coscienza della propria inadeguatezza; creatura finita per eccellenza, egli
potrà infatti solo intuire, ma mai compiutamente razionalizzare ed esprimere
l’illimitatezza di ciò che è infinito. Alla sua portata è tutt’al più l’ "indefinito", ovvero una
pallida controfigura umana di quell’infinità sempre sfuggente. Ciò spiega perché anche in
questo caso il poeta provi quel misto di piacere e angoscia così caratteristico del suo
rapporto col mondo.
La capacità dell'uomo di far sorgere in sé un'immaginazione del vago e dell'indefinito, in
luogo della semplice vista delle cose, è dolce e piacevole, ed è tipica dei fanciulli e degli
uomini dell'età antica. Questa sensazione sta all'origine anche delle illusioni. Si tratta della
sensazione-esperienza di un "oltre" rispetto alla semplice vista delle cose: ma un oltre che
non esiste, che e' solo prodotto dell'immaginazione umana, anche se l'uomo desidera
perdersi in esso, lo trova una cosa dolce.
L’infinito di Leopardi, quindi, è "negativo", nel senso che è un infinito creato
dall’immaginazione e dal desiderio, come puro prodotto della mente umana. È chiaro che
dell’infinito"
il suo modo di porsi di fronte al "problema è di tipo metafisico ed è la ricerca
10
del rapporto tra infinito come spazio assoluto e tempo assoluto e la nostra cognizione del
tempo e dello spazio empirici. Ma nella sua riflessione inserisce il suo particolare modo di
interpretare l’infinito, o meglio l’indefinito, come fluttuare di sensazioni.
Per Leopardi l’infinito coincide con lo slancio vitale, con lo spasimo, la tensione che
l’uomo ha connaturata in sé verso la felicità. L’infinito diventa il principio stesso del
piacere, e il fine stesso a cui tende questo slancio dell’uomo. È il desiderio assoluto di
felicità che porta l’uomo a ricercare il piacere in un numero sempre crescente di
sensazioni, nella speranza vana della sua completezza; è una tensione che non ha limiti,
né per durata nel tempo, né per estensione, per questo si scontra irrevocabilmente con la
vita umana, lo spazio, il tempo, la morte. Questa tensione può spegnersi solo nel
momento della morte perché è uno slancio connaturato alla vita stessa; l’anima, amando
sostanzialmente il piacere, abbraccia tutta l’estensione immaginabile di questo
sentimento, senza poterla neppure concepire, perché non si può formare l’idea chiara di
una cosa che ella desidera illimitatamente. Per superare i limiti fisici della natura umana
interviene l’immaginazione, che ha come "attività" principale la raffigurazione del
piacere. Resta però nell’animo un senso di inappagamento, di insoddisfazione perché non
si riesce effettivamente a concepire l’infinito, ma solo l’indefinito, che è un’idea
inadeguata, approssimata, vaga: e questa insoddisfazione conduce alla noia spirituale. Ci
sono però immagini, sensazioni che suscitano nell’animo l’idea di infinito, ad esempio la
visione di una torre antica, perché il concepire uno spazio di molti secoli produce una
sensazione indefinita, l’idea di un tempo indeterminato, dove l’anima si perde e sebbene
sa che non ci sono confini, non li distingue e non sa quali siano.
Ovviamente, a questo proposito, l’immagine che meglio ha esemplificato questa
spazi"
concezione leopardiana dell’indefinito è senz’altro costituita dagli "interminati
della famosa poesia intitolata, appunto “L’Infinito” scritta nel 1819: 11