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Analisi delle principali teorie cosmologiche dagli inizi del Novecento ad Oggi.
Materie interessate: Fisica, Geografia Astronomica, Letteratura Latina.
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Fino ai primi anni del '900 né i filosofi né gli astronomi avevano mai messo in dubbio l’idea che
esistesse uno spazio fisso sullo sfondo del quale si muovevano i corpi celesti. L’universo era
concepito come infinito, eterno, statico e uniforme. Ad Isaac Newton si deve, nel '700,
l’inquadramento teorico di tale rappresentazione dell’universo. Ma negli anni Venti questa
rappresentazione dovette essere mutata. In primo luogo per le conseguenze della nuova teoria
einsteiniana della gravità; e, in secondo luogo per i risultati delle nuove osservazioni, eseguite
dall’astronomo Edwin Hubble, sul colore della luce emessa dalle stelle appartenenti a galassie
lontane.
Negli anni Venti Albert Einstein scoprì la relatività generale. Essa dava come
conseguenza matematica un universo in espansione. All’inizio Einstein tentò
di conciliare la sua teoria relativistica con quella di un universo statico,
introducendo una “costante cosmologica”. Questo modello fu chiamato
‘universo statico einsteiniano’.
Nel 1922 Alexander Friedman, un giovane matematico russo, studiò i calcoli
di Einstein e si convinse che egli era caduto in un grave errore: Albert Einstein
l’universo statico non rappresentava l’unica soluzione delle sue equazioni.
Friedman calcolò tutti i possibili universi in espansione consentiti dalle equazioni della relatività
generale e trasmise i suoi risultati allo stesso Einstein. Dapprima questi fu scettico, ma poi si
convinse e si rese conto che l’inclusione della costante cosmologica produceva un universo statico
lontano dalla realtà. Infatti, molti anni dopo, Einstein definì la sua idea della costante “Il più grande
errore della mia vita”. Il merito di formulare la rivoluzionaria previsione che il nostro universo si
espande spettò dunque a Friedman.
Le sue ipotesi furono confermate dalle osservazioni condotte da Edwin
Hubble. Questi fece uso di una semplice proprietà delle onde
elettromagnetiche: se la loro sorgente si allontana dall’osservatore, in base
all’effetto Doppler, la frequenza con cui le onde stesse sono ricevute
diminuisce. La luce è un’onda e quando la sua sorgente si allontana
dall’osservatore, la diminuita frequenza delle onde luminose fa sì che la luce Edwin Hubble
visibile appaia all’occhio dell’osservatore leggermente più rossa.
Questo effetto è chiamato ‘redshift’ ( spostamento verso il rosso ). 2
Hubble si accorse che la luce proveniente dalle galassie da lui osservate mostrava un sistematico
spostamento verso il rosso. Misurando il cambiamento di colore della luce emessa dagli atomi di
queste e confrontandolo con quello della luce emessa da atomi dello stesso tipo in laboratorio, egli
poté stabilire la velocità di fuga delle sorgenti luminose. Confrontando la luminosità apparente
delle stelle della medesima specie, Hubble poté dedurre le loro relative distanze da noi. Egli scoprì
che quanto più lontana era la sorgente luminosa, tanto più velocemente essa si allontanava da noi.
Questa tendenza è nota come “legge di Hubble”. Hubble aveva scoperto l’espansione
dell’universo, già predetta dalla teoria della relatività generale di Einstein, confutando il paradosso
di Olbers.
Infatti Olbers nel 1823 giunse ad affermare che, secondo le premesse
del modello newtoniano, la luminosità apparente delle stelle avrebbe
dovuto illuminare il cielo di notte come di giorno. Egli arrivò quindi a
ipotizzare che la notte è buia a causa di una polvere interstellare che
assorbe la luce delle stelle lontane. Tale spiegazione si rivelò ben
presto errata sia perché la polvere sarebbe dovuta essere disposta in
modo molto particolare per darci comunque la possibilità di osservare le Perché il cielo notturno
è buio?
stelle e le galassie così come le osserviamo, sia perché le nubi,
assorbendo la radiazione stellare, si sarebbero dovute riscaldare fino ad emettere nuovamente
questa energia sotto forma di radiazione, che però non fu mai rilevata. Il paradosso trova quindi
soluzione, ancorché non definitiva, riconsiderando le ipotesi iniziali sull'universo: in particolare
esso non è né infinito né eterno. Le stelle più distanti possono trovarsi, al massimo, a "soli" 15
miliardi di anni luce circa, valore compatibile col flusso di radiazione ricevuto dalla Terra in
corrispondenza del cielo notturno. A tale principale soluzione si aggiunge l'ulteriore spiegazione
connessa con l'espansione dell'universo, con una velocità di allontanamento delle stelle più
lontane tale che lo spostamento spettrale della loro luce verso il rosso è così elevato da non
rientrare più tra le lunghezze d'onda percepibili.
L’espansione non è un’esplosione che abbia origine in un determinato punto nello spazio. Non
esiste uno spazio inteso come uno sfondo fisso entro il quale l’universo si stia espandendo, poiché
l’universo contiene tutto lo spazio esistente.
Gli scienziati, alla luce di questi risultati, si dedicarono alla ricerca di modelli cosmologici, che
spiegassero come si fosse formato l’universo oggi conosciuto. I più famosi sono la “Teoria dello
stato stazionario dell’universo” e il “Big Bang”. 3
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La teoria dello stato stazionario dell’universo fu il prodotto
dell’immaginazione degli astrofisici Thomas Gold, Hermann
Bondi e Fred Hoyle, che cominciarono a pensarci nel 1948
all’università di Cambridge. Essi non amavano l’idea che il
cosmo avesse avuto un principio, come l’espansione implicava.
Volevano che l’universo presentasse lo stesso aspetto generale
agli osservatori di ogni tempo, da un passato infinito a un eterno Thomas Gold, Hermann Bondi
e Fred Hoyle
futuro. Concepirono dunque un modello nel quale l’universo
fosse, in media, sempre uguale a se stesso e non avesse avuto alcun inizio. Avanzarono l’idea che
la materia, invece di essere stata creata in un determinato momento del passato, fosse in uno
stato di continua creazione, ad un tasso da equilibrare la ‘diluizione’ causata dall’espansione,
mantenendo una densità della materia costante nell’universo. Fra l’altro il tasso di creazione di
materia sarebbe stato sorprendentemente piccolo ( 1 atomo al m³ ogni 10 miliardi di anni), perché
vi è pochissima materia nell’universo.
Uno dei meriti della teoria dello stato stazionario è la sua precisione. Essa fa predizioni molto forti
su ciò che l’universo dovrebbe essere, ed è quindi suscettibile di essere smentita dalle
osservazioni. Così infatti è stato. Se l’universo presenta sempre lo stesso aspetto, non possono
esservi dei periodi particolari in cui accadono determinati eventi, come la formazione delle galassie
o il prevalere dei quasar. Gli astronomi cominciarono ad usare i radiotelescopi per osservare delle
vecchissime galassie per individuarne un eventuale principio e giunsero, negli anni Cinquanta, alla
conclusione che nel passato l’universo era stato molto diverso a quello che è oggi. Le galassie,
che rappresentano forti sorgenti di radio-onde, non erano state ugualmente abbondanti in tutte le
epoche della storia cosmica. Fu allora che l’idea del Big Bang cominciò ad imporsi. 4
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Nella concezione epicurea, le sole realtà esistenti sono gli atomi (particelle
indivisibili, ma non prive di estensione e dotate di velocità infinita) e il vuoto.
L’aggregarsi degli atomi costituisce i corpi e le varie componenti di questo
“mondo”, così come di quella infinita somma di mondi che è l’universo.
Secondo Epicuro infatti l’universo è costituito da più mondi. Fra atomo e
atomo vi è il vuoto. Quella di Epicuro (340-270 a.C.) è una cosmologia
descrivibile come costituita di tre livelli: realtà sensibile, infinitamente grande
e infinitamente piccolo (in realtà non esiste l’infinitamente piccolo, in quanto il Busto di Tito
più piccolo atomo ha ancora dimensione). Dal punto di vista conoscitivo essa Lucrezio Caro
comporta in realtà due soli livelli: quello della realtà sensibile, e quello di ciò che non cade sotto la
percezione. Nell’universo epicureo hanno valore sia il “Principio Cosmologico”, sia una rudimentale
“unificazione” delle forze operanti in natura. Il primo è valido in quanto, data l’identità degli elementi
(atomi e vuoto) in tutto l’universo, questo si presenta in ogni sua regione come qualitativamente
uguale. Quanto alla presenza di una embrionale “unificazione” delle forze fondamentali, essa va
riscontrata nella sostanziale identità delle forze operanti sia a livello atomico che macroscopico e
cosmico. Uno e il medesimo è difatti il moto “inerziale gravitazionale”. Infatti gli atomi, oltre ad
essere dotati di moto rettilineo di velocità infinita, possono in modo del tutto casuale, saltar fuori
dalla loro traiettoria precostituita, andando così a scontrarsi con altri atomi, e quindi ad aggregarsi.
Da questo carattere del tutto casuale e non deterministico di questo meccanismo della
“deviazione” (clinamen) delle traiettorie atomiche, deriva l’importante caratteristica dell’universo
epicureo di sottrarsi ad ogni teologia.
L’universo epicureo è al tempo stesso un universo infinito e “stazionario”, con infinità spaziale e
temporale. Secondo Lucrezio (discepolo della scuola epicurea vissuto tra 90 e 55 a.C.) l’universo
si trova in una situazione di stabilità a livello universale e quindi la materia possiede densità
stabile. Data la natura indivisibile degli atomi, che non possono essere soggetti a distruzione, né a
generazione, si ha che quantitativamente il totale di “materia” esistente nell’universo non è
soggetto a variazioni, ma il “numero degli atomi” è stabile, e quindi non si crea né si distrugge
materia.
L’universo di Epicuro si distingue da quello di Hoyle per due tratti essenziali: non è soggetto ad
espansione e non ammette generazione ex novo di materia. Epicuro predicava infatti: “Nulla viene
ad essere dal non essere”. Dunque l’universo è sempre stato uguale e per sempre sarà tale. 5
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Nel 1950 Fred Hoyle coniò il termine Big Bang, in senso spregiativo, per descrivere una
cosmologia nella quale l’universo si espandeva partendo da uno stato di grande densità in un
tempo finito nel passato.
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Negli anni Trenta il sacerdote e fisico belga Lemaitre ebbe un ruolo pionieristico nella formulazione
della “teoria dell’atomo primordiale”, che precorse il modello del Big Bang. I passi avanti più
importanti furono compiuti negli anni Quaranta da George Gamow insieme ai
suoi allievi Alpher ed Herman. Essi giunsero a comprendere che, se
l’universo aveva avuto un inizio, doveva esservi una radiazione quale residuo
di quell’esplosivo inizio. Nel ’48 Alpher ed Herman riuscirono a predire con
buona approssimazione la temperatura che questa radiazione avrebbe
dovuto raggiungere in seguito al raffreddamento derivato dall’espansione.
Solo nel 1965, però, la radiazione fu scoperta per caso da Arno Penzias e George Gamow
Robert Wilson, due radiotecnici che stavano calibrando un’antenna radio.
Presso l’università di Princeton, allora, un gruppo di studiosi aveva ricalcolato autonomamente la
temperatura della radiazione a 2,7 K, valore molto vicino a quello teorizzato in precedenza. Il
fenomeno fu chiamato “radiazione cosmica di fondo a microonde”. La misura dell’intero spettro
della radiazione fu eseguita nello spazio nel 1989 dal satellite COBE. La scoperta segnò l’inizio di
un serio studio del modello del Big Bang.
Infatti in un universo stazionario non avrebbe potuto esservi alcuna
radiazione termica, perché, nel passato, un simile universo non avrebbe
potuto esistere in uno stato di altissima temperatura e di enorme densità;
sarebbe stato, in media, freddo e inerte.
Inoltre, successive osservazioni sulle abbondanze, nell’universo, degli
elementi più leggeri confermarono le previsioni del Big Bang e convalidarono