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Tesina - Premio maturità 2009
Titolo: La crisi dei fondamenti
Autore: Gironella Fabio
Descrizione: Con l'espressione "crisi dei fondamenti" si indica quel periodo di crisi degli inizi del XX sec. in cui la matematica viene minata proprio alle radici, ritenute, fino al secolo precedente, completamente indistruttibili. In primo luogo, è necessario precisare che il fatto che questa profonda crisi si manifesti proprio agli inizi del XX sec. non è affatto un caso; nel corso del XIX sec., infatti, si erano ottenuti importantissimi risultati: • nascita dell'analisi moderna, grazie alle migliorie apportate da Lagrange, Weierstrass e altri matematici all'analisi sviluppata da Newton e da Leibniz già nel 1600; • scoperta delle geometrie non euclidee, le quali, dopo numerosi anni di dibattiti matematici e filosofici in seguito alla pubblicazione degli scritti in cui Lobacevskij, B"lyai e, parallelamente, altri studiosi le avevano teorizzate, iniziavano ad essere accettate come geometrie valide in quanto prive di contraddizioni (anche se non evidenti); • nascita della logica matematica per opera di Boole, che mette in evidenza come il pensiero matematico si serva di segni riuniti nella forma di stringhe (per cui è importante la successione di essi piuttosto che l'oggetto reale in esse significato), portando al progetto di logicizzazione dell'aritmetica, a cui contribuiscono Peano, con i suoi assiomi dell'aritmetica, Frege e Dedekind; • introduzione della formalizzazione della geometria, ad opera di Hilbert, che rielabora la geometria Euclidea conferendole un assetto formale.
Materie trattate: Matematica (geometria non eucliedea); Filosofia (Wittgenstein)
Area: scientifica
problemi che apparivano, all'attuale stato della scienza matematica, irrisolti
(alcuni di essi sono tuttora irrisolti). Il secondo di questi problemi era,
appunto, l'Entscheidungsproblem (letteralmente "problema della decisione"):
dimostrare cioè, come si era fatto per gli assiomi della geometria euclidea, che
gli assiomi dell'aritmetica dei numeri naturali sono coerenti. Questa questione
coinvolgeva direttamente i fondamenti stessi della matematica. Fino ad allora
le prove di non-contraddittorietà erano sempre state prove di coerenza
relativa, cioè avevano semplicemente ridotto la coerenza di un certo sistema
di assiomi a quella di un altro. Hilbert si rese conto che con l'aritmetica non si
poteva più fare riferimento a un altro sistema di assiomi, si era giunti cioè al
fondamento logico della matematica e a quel punto bisognava affrontare il
problema in termini del tutto generali, non più relativi.
I logicisti, parallelamente, pensavano che, come nel caso della geometria, i
problemi e le ambiguità dell’aritmetica fossero dovuti all’utilizzo di concetti
d’uso quotidiano anziché di termini rigidamente fondati sulla logica. Essi
cercavano di attuare un’opera di sistematizzazione della matematica attraverso
la sua “traduzione” nella logica stessa: il sistema formale risultante sarebbe,
allora, stato scevro da imperfezioni. Tale tentativo, tuttavia, presenta ben
presto dei problemi.
Quando, infatti, il matematico tedesco Friedrich Ludwig Gottlob Frege (1848-
1925) tenta di basare tutta la costruzione della matematica sulla logica,
ponendo le basi per il suo progetto nel primo volume dell’opera “I fondamenti
dell’aritmetica”(1893), il matematico gallese Bertrand Russell (1872-1970)
stronca alla base il suo tentativo in una lettera inviatagli poco prima della
pubblicazione del secondo volume. E’ lo stesso Frege a commentare: “A uno
scienziato non può capitare praticamente nulla di meno desiderabile che vedersi crollare le
fondazioni del proprio lavoro proprio quando era terminato. Sono stato posto in questa
posizione da una lettera del signor Bertrand Russell quando il mio lavoro era praticamente
in corso di stampa.”
Infatti, tutto il ragionamento di Frege si basava sull’idea di insiemi come
estensioni concettuali di una proprietà (e, perciò, fanno parte di un insieme
tutti quegli elementi che condividono una determinata proprietà) e sulla
possibilità di sceglierli arbitrariamente; Russell sfruttò questi presupposti
proponendo, nella sua lettera, il paradosso passato alla storia come l’antinomia
di Russell.(che apre, a tutti gli effetti, la crisi dei fondamenti): se si considera
l’insieme A di tutti gli insiemi che non appartengono a sé stessi (e questo è
lecito per i presupposti prima esplicitati), si giunge ad una contraddizione,
poiché, se si suppone che A appartenga a sé stesso, allora non può
appartenere a sé stesso, mentre, se si suppone che A non appartenga a sé
stesso, allora deve appartenere a sé stesso. A questo famosissimo paradosso
ne seguirono altri, altrettanto famosi, tra cui alcuni per opera dello stesso
Russell (come il paradosso del barbiere).
Risulta chiaro, a questo punto, che la teoria degli insiemi (almeno nella
formulazione Cantoriana fino ad allora accettata) e, quindi, la logica non sono
più in grado di sostenere l’intero edificio della matematica.
Il progetto logicista, tuttavia, non viene abbandonato definitivamente: molto
interessante, anche dal punto di vista filosofico, è, infatti, la risposta che
Russell stesso dà per tentare di risolvere questo tipo di antinomie. Dopo
un’attenta analisi dei paradossi logici fino ad allora proposti, Russell
comprende che tutti hanno in comune la caratteristica dell’autoreferenzialità: il
fatto che, cioè, in un linguaggio, e più in generale in una teoria, fosse possibile
dire qualcosa attorno al linguaggio o alla teoria stessa. In collaborazione con
Alfred North Whitehead (1861-1947), egli tenta, sulla scia di Frege, di
realizzare la riduzione logicista nei “Principia Mathematica”, un sistema
assiomatico con cui tutte le affermazioni della matematica potevano essere
costruite (sistema, tuttavia, rimasto incompleto). All’interno di tale progetto,
Russell elabora la teoria dei tipi logici che, in modo forse un po’ artificioso,
chiude il problema della antinomie: Russell sostiene, infatti, che le classi (cioè
una generica collezione di oggetti che possono essere univocamente
identificati, ad esempio tramite una proprietà) debbano essere divise in varie
(infinite) gerarchie, in modo tale che una classe di tipo superiore non può far
parte di una classe di tipo inferiore; così facendo, l’antinomia di Russell stessa
perde di consistenza, in quanto la caratteristica di autoreferenzialità non ha
più senso nella teoria dei tipi (infatti, un insieme, che è un tipo particolare di
classe, non può essere elemento di se stesso, poiché i suoi elementi sono di
tipo inferiore rispetto all’insieme stesso, che è di tipo superiore) Russell stesso
afferma: "qualunque cosa presupponga tutti gli elementi di una collezione non
deve essere un termine della collezione". Questa teoria dei tipi logici ha,
perciò, delle implicazioni matematiche ed epistemologiche fondamentali: il
superamento delle antinomie, che fino a poco tempo prima sembravano degli
ostacoli insuperabili, rende nuovamente l’assetto logicista uno dei possibili
assetti alla base dell’intera matematica, riaprendo così la possibilità di
approdare ad una disciplina fondata sul concetto di classe e di insieme
Cantoriano.
Russell stesso, tuttavia, nota che questa teoria dei tipi logici non si poteva
applicare anche ai paradossi linguistici in genere ed arriva, nel tentativo di
risolvere anche questo altro tipo più generale di antinomie, ad anticipare la
teoria dei livelli di linguaggio di Alfred Tarski, utilizzata anche dai formalisti, tra
cui Hilbert, nel loro tentativo di formalizzazione dell’aritmetica. Russell stesso,
nell’introduzione da lui aggiunta al Tractatus Logico-Philosophicus di Wittgenstein
afferma, esplicitando un discorso di Wittgenstein stesso, che "ogni linguaggio ha,
come dice Wittgenstein, una struttura della quale nulla può dirsi in quel linguaggio, ma che
vi può essere un altro linguaggio (che sarà poi chiamato da Tarski metalinguaggio) che
tratti della struttura del primo linguaggio e possegga a sua volta una nuova struttura, e che
tale gerarchia di linguaggi può non aver limite”.
Di vera e propria teoria dei livelli di linguaggio si può parlare, tuttavia,
soltanto in relazione ad Hilbert ed al programma da lui proposto: in sostanza,
infatti, egli proponeva, come possibile soluzione al problema della decisione,
di trovare una teoria della dimostrazione, o metamatematica, che dovesse servire
a dimostrare la coerenza di un qualsiasi sistema formale matematico. Le
principali caratteristiche di una teoria assiomatica metamatematica (che
analizza, cioè, una teoria matematica) consistono nel fatto che essa deve
possedere un linguaggio formalizzato, cioè un insieme finito di simboli base
assieme a delle regole che permettono di costruire formule o asserzioni
"corrette" costituite da un numero finito di simboli, e delle regole di inferenza
per costruire prove formali di nuove formule a partire dagli assiomi (le prove
formali sono successioni finite di formule). La metamatematica analizza
soprattutto la consistenza (o coerenza) e la completezza di una teoria
matematica. La teoria è consistente se è impossibile formare, a partire da essa,
una contraddizione, ossia se è impossibile avere la formula F e la formula
non-F. Essa è inoltre completa se è possibile, per ogni formula F, dimostrare F
o non-F. Facendo uso di questi metodi "finitisti", nel senso che in essi si
utilizzano soltanto successioni finite di formule che a loro volta sono
successioni finite di simboli del linguaggio formalizzato, Hilbert si proponeva
di ottenere dei risultati metamatematici che potessero essere accettati come
metodi di analisi di teorie matematiche.
Il programma di Hilbert e, con esso, tutti i tentativi fatti da Russell e dai suoi
collaboratori crollano definitivamente con l’intervento del matematico
statunitense Kurt Gödel (1906-1978) nel congresso sull’epistemologia delle
scienze esatte tenuto a Königsberg nel 1930. Gödel presenta, in tale
occasione, i risultati ottenuti nel corso dei suoi studi in relazione al
programma di Hilbert, che lo avevano portato, in un primo momento alla
dimostrazione della completezza di una parte della logica matematica, il
calcolo dei predicati del I ordine (risultato che alimentava le speranze di
Hilbert). Tali risultati, molto rivoluzionari, consistevano principalmente nei
due teoremi di incompletezza, che mostrano come non si possa dimostrare a
partire dall’aritmetica che l’aritmetica stessa sia consistente e, perciò, come
non si possa raggiungere una soluzione al problema della decisione fondata
sull’aritmetica stessa.
Il primo teorema di incompletezza stabilisce, in sostanza, che in ogni
formalizzazione coerente della matematica, che sia sufficientemente potente
da poter assiomatizzare la teoria elementare dei numeri naturali, è possibile
costruire una proposizione sintatticamente corretta che non può essere né
dimostrata né confutata all'interno dello stesso sistema. Il secondo teorema di
incompletezza afferma, invece, che nessun sistema coerente, sufficientemente
espressivo da contenere l’aritmetica, può essere utilizzato per dimostrare la
sua stessa coerenza. E’ molto importante notare, in primo luogo, come i due
teoremi enunciati possano essere applicati solo a sistemi formali consistenti e
abbastanza “potenti” da includere l’aritmetica: per tutti gli altri sistemi formali
“minori” tale limitazione non vale (come nel caso del calcolo dei predicati del
primo ordine); inoltre, è opportuno sottolineare che il secondo teorema, in
modo più diretto rispetto al primo, mina alla base il programma di Hilbert,
poiché implica che l’aritmetica non possa dimostrare la sua stessa coerenza.
Di grande interesse è, sicuramente, il filo logico seguito da Gödel nella
dimostrazione di questi importantissimi teoremi, che si può sintetizzare anche
tralasciando l’aspetto puramente matematico, di difficile comprensione e
trattazione. Gödel inizia la sua dimostrazione introducendo il numero di Gödel
che, in sostanza, permette di codificare (univocamente) tramite numeri non
soltanto simboli e formule aritmetiche, ma anche proposizioni della
metamatematica. Tra le varie formule esistenti, Gödel deriva una particolare
formula F che, decifrata, stabilisce che “la formula F non è dimostrabile”: si
giunge, cioè, ad un analogo dell’antinomia di Russell, poiché, se F è
dimostrabile, allora non è dimostrabile e, se non è dimostrabile, allora la
formula F è dimostrabile. Ne deriva una conclusione fondamentale: se il
sistema formale considerato è consistente (e questa caratteristica è
fondamentale per il programma di Hilbert), come stabiliscono le ipotesi del
teorema, allora F non è decidibile (non si può dimostrare , poiché, se lo fosse
si giungerebbe ad un assurdo. Perciò, F non è un teorema (perché non è
dimostrabile): il sistema formale coerente considerato non può, quindi, essere
completo, perché esiste al suo interno F che è indecidibile. Dimostrato il
primo teorema di incompletezza, Gödel nota, inoltre, che esiste, all’interno di
ogni sistema formale coerente che comprenda l’aritmetica, un’ulteriore
formula A che stabilisce che “l’aritmetica è consistente” e che tale formula A
implica la F prima considerata (cioè “se l’aritmetica è consistente allora F non
è dimostrabile”). Se, inoltre, la A fosse dimostrabile, allora lo sarebbe anche la
F (A implica F), ma ciò è una contraddizione per il primo teorema; dunque la
A non è dimostrabile: Gödel conclude, dunque, che, all’interno di ogni
sistema coerente che comprenda l’aritmetica, non si può dimostrare la
consistenza dell’aritmetica stessa.