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Sintesi

Sintesi Arte del bere tesina



Questa tesina di maturità descrive le bevande e la loro evoluzione. La tesina permette i seguenti collegamenti: in Storia l'evoluzione dei caffè, il fascismo, la Guerra civile russa, il proibizionismo americano, in italiano i poeti maledetti e Charles Baudelaire; l'analisi sulle droghe e le dipendenze.

Collegamenti


Arte del bere tesina



Storia - Evoluzione dei caffè, la Guerra civile russa, il fascismo, il proibizionismo americano.
Italiano - Poeti maledetti, Charles Baudelaire.
Analisi sulle droghe e le dipendenze.
Estratto del documento

presto uno mito e fu definito “le pèril vert”, il pericolo verde, o anche “la fèe verte”, la

fata verde. Circondato da una fama sinistra e da cupe ombre, l’assenzio, coi suoi 70

gradi di alcolicità, è stata la bevanda prediletta da artisti ed intellettuali fino al 1915,

anno in cui venne bandita in quanto “vera piaga sociale”. Infatti il fascino dell’assenzio

si rivelò ben presto diabolico: era micidiale come una vera e propria droga, se bene

ufficialmente fosse un aperitivo dal gusto molto aromatico che dava immediatamente

un gradevole senso di stordimento. La bevanda cominciò a diffondersi nel 1830 grazie

alla “propaganda” che iniziò al ritorno in patria delle truppe francesi dall’ Algeria e

conquistò immediatamente quelle generazioni “romantiche” in conflitto con la

borghesia, che in essa vedevano un perfetto strumento di provocazione. L’assenzio fu

l’ispirazione del modo di vivere di tutti gli scrittori e gli artisti (Picasso, Verlaine, Monet,

Baudelaire, Wilde, Van Gogh, Modigliani, Hemingway, Allan Poe) che ne fecero la loro

musa personale. Oscar Wilde riferendosi ai bicchieri bevuti scriveva: “Un bicchiere

d’assenzio, non c’è niente di più poetico al mondo. Che differenza c’è tra un bicchiere di

assenzio e un tramonto? Il primo stadio è quello del bevitore normale, il secondo quello in cui

cominciate a vedere cose mostruose e crudeli ma, se perseverate, arriverete al terzo livello,

quello in cui vedrete le cose che volete, cose strane e meravigliose”.

L’assenzio era il liquore prediletto dei poeti maledetti; Baudelaire e Verlaine

probabilmente scrissero le loro poesie più belle sotto i fumi del suo alcol.

I poeti maledetti rappresentano ancora oggi un vero fascino nella società attuale.

Erano forse la miglior espressione del male di un secolo, delle angosce umane, delle

cose che non vanno bene in questo mondo. Hanno offerto una soluzione di poesia

senza sotterfugi, onesta con la realtà dura della vita però hanno mostrato, provato,

che c'è bellezza in tutte cose. Essi soffrivano per questa vita, non erano capaci di

vivere con la speranza che riuscivano ad inserire nelle loro poesie che era, è ancora

oggi e sarà sempre utile ai loro lettori.

Maledetti... per aver tentato di guarire il mondo in mancanza di aver saputo

guarire loro stessi. Questo termine viene dal nome di un libro di Paul

Verlaine: <<Les Poètes Maudits>> che da una

spiegazione del poeta maledetto. Verlaine definisce

per la prima volta ciò che è un poeta maledetto: li

considera come poeti assoluti, assoluti nella loro

immaginazione, assoluti nella loro espressione. Ma in

un modo maledetto, perché il loro potere, il loro

assolutismo, si trova nella loro intelligenza, saggezza

che in questa epoca di solito non piaceva ai dirigenti e

rimaneva incompreso dalla massa popolare. I poeti

maledetti fanno parte del decadentismo, quindi nelle

loro opere appaiono le caratteristiche di questo

movimento. Come nel decadentismo, i poeti maledetti

osservano la decadenza di una società e la descrivono

in maniera diretta senza sotterfugi, negano i valori

morali correnti per concentrarsi soprattutto

sull'estetismo, la natura e il suo estetismo naturale

con una visione sincera sulla morte, e la decadenza.

Anche se fanno parte di questo movimento di decadenza, i poeti maledetti sono visti

come i decadenti assoluti perché portano gli eccessi all'estremo. Eccessi nella loro vita

però anche eccessi nella loro scrittura. Descrivono la decadenza della società, su

realtà nera, dura, non sempre interessante e tentano di fare qualcosa di bello con

questo, qualcosa di superiore al semplice primo aspetto. Fanno del Bello con il Brutto.

L'immagine del poeta maledetto è un poeta con una vita fuori delle norme, spesso

autodistruttrice, e spesso il poeta muore senza aver conosciuto una vera e propria

gloria. Sono più riconosciuti dopo la loro morte che durante la loro vita. Molto spesso

hanno una vita di eccessi, con un uso abbondante delle droghe. Le droghe più comuni

assimilate dai poeti maledetti e che ancora oggi appartengono a tutta una cultura

fantasticata erano l'oppio e l’alcol. Nella sua opera, il poeta maledetto descrive la

società in cui vive, che è spesso una società urbana, piena di vizi, di difetti e

abitudinaria, con questi elementi decadenti, fanno della poesia. I poeti maledetti più

famosi sono: Paul Verlaine, Charles Baudelaire, Edgar Allan Poe.

Charles Baudelaire è considerato come il maestro dei

maestri tra i poeti maledetti e infatti è uno dei più celebri

ed importanti poeti del XIX secolo. Era il più moderno,

originale ed inventivo anche se era allo stesso tempo forse

il più maledetto dei maledetti. Il suo lavoro maggiore fu <<

Les Fleurs du Mal>> << I Fiori del Male>>, un libro di

poesie. La sua opera fu riconosciuta solamente dopo la sua

morte. Nelle sue opere, Baudelaire considerava che era

troppo facile fare una bella poesia con bei elementi, con

belle cose e quindi cercava di estrarre la bellezza

dall’orrore. Una citazione di Baudelaire sul suo lavoro era:

<< Ho impastato del fango e ne ho fatto dell’oro>>.

Poesia che ci pone nell’ottica del rapporto Baudelaire e l’alcol, in particolare il vino, è

Ubriacatevi

“ Bisogna essere sempre ubriachi.

Tutto sta in questo: è l’unico problema.

Per non sentire l’orribile fardello del tempo.

Del tempo che rompe le vostre spalle

e vi inclina verso la terra,

bisogna che vi ubriachiate senza tregua.

Ma di che? Di vino, di poesia o di virtù,

a piacer vostro. Ma ubriacatevi.

E se qualche volta sui gradini di un palazzo,

sull’erba verde di un fossato,

nella tetra solitudine della vostra camera,

vi risvegliate con l’ubriachezza già diminuita o scomparsa,

domandate al vento, all’onda, alla stella, all’uccello, all’orologio,

a tutto ciò che fugge, a tutto ciò che geme,

a tutto ciò che ruota, a tutto ciò che canta,

a tutto ciò che parla, domandate che ora è;

ed il vento, l’onda, la stella, l’uccello, l’orologio vi risponderanno

“E’ l’ora di ubriacarsi !”

Per non essere gli schiavi martirizzati del tempo, ubriacatevi;

Ubriacatevi senza smettere!

Di vino, di poesia o di virtù, a piacer vostro.”

Paradisi Artificiali (Les Paradis Artificiels) è un interessante saggio sul consumo di vino,

hashish ed oppio, pubblicato nel 1860. Un saggio sul vizio, sulla debolezza dell’uomo,

sui suoi limiti e condizioni. L’uomo è mortale, finito, legato indissolubilmente alla

materia, limitato nelle percezioni, inibito nella volontà; eppure tende al sublime, al

superamento di se stesso, del suo stesso corpo. La nostra anima vede e sente più di

quanto possa fare il nostro corpo : il sublime è quel superamento, l'affermarsi dei sensi

dell'anima sui sensi del corpo. Il sublime è il paradiso di Charles Baudelaire. L'alcol, le

droghe, sono dei treni ad alta velocità che ci conducono nella terra meravigliosa e

terribile del sublime, sono delle montagne russe che ci portano in vetta, e ci

catapultano nell'abisso. In questo saggio Baudelaire parla della sua esperienza

personale e non solo, del rapporto tra droga e arte, dei paradisi artificiali, e di come

questi possano trasformarsi in inferno.

La prima parte del saggio "Del vino e dell'hashish", oltre a decantare le gioie e i dolori

del vino, mette a confronto i diversi "paradisi". Il vino è sangue che pulsa nelle vene,

rinvigorisce la volontà, rende forti; ha una sua "personalità", è amico e nemico

dell'uomo, lotta con lui. Chi "beve solo latte" è in genere un uomo mediocre,

superficiale, se non addirittura malvagio. Gli effetti del vino si legano con la

personalità del bevitore, il vino scorre nelle profondità dell'anima, dà luce, e fa

emergere le ombre.

Esclusivamente all'hashish è dedicata invece la seconda parte del saggio, "Il poema

dell'hashish".

Rispetto alla parte dedicata al vino, il linguaggio è più freddo, oggettivo, tecnico. Se

l'ebbrezza del vino è conosciuta da tutti, "il vino piace a tutti", l'hashish è poco

conosciuta, quindi l'intento principale è quello di informare i lettori.

L'hashish, a differenza del vino, inibisce la volontà, la capacità di muoversi, ma apre a

delle esperienze percettive, sensoriali, assolutamente originali. La soggettività si

annulla, fino a raggiungere uno stato di assoluta pace, felicità, che Baudelaire chiama

dell'"Uomo-Dio": è un'esperienza che espande l'anima oltre i confini del corpo.

l'organo più

Se da una parte dunque, il vino per Baudelaire esalta la volontà, "

prezioso" inutile e dannoso"

di un Artista, l'hashish la annulla, diventando " per l'uomo

creativo. L'esperienza dell'hashish, pur dunque condannata, non viene respinta però

totalmente: tra gli effetti di questa droga infatti Baudelaire ricorda la scomparsa del

Tempo e le sinestesie create tra suoni, colori e profumi che entreranno a far parte della

sua poesia e la caratterizzeranno per sempre.

La terza e ultima parte del saggio, è il commento dell'opera di Thomas de Quincey,

Confessioni di un mangiatore d'oppio: si descrivono le delizie provate inizialmente, il

sempre più spasmodico bisogno di assumere la sostanza, fino alle torture della

dipendenza. Si descrivono gli stati paranoici, gli incubi provocati dall'abuso di droga, il

senso di impotenza nel non riuscire a liberarsi da queste catene; i tentativi di uscirne,

la sofferenza, e infine la liberazione definitiva dal vizio.

Baudelaire condanna l'uso di hashish ed oppio, moralmente ed esteticamente.

Da un punto di vista estetico, l'uso di droga non agevola in nessun modo la produzione

artistica. La condanna dell'uso di droga diventa elogio dell'arte, un'esaltazione della

sua grandezza: l'arte è il paradiso naturale, è il sublime che rende liberi, la droga è

l'illusione del sublime, dietro la quale si nasconde il volto delle tenebre.

In questo saggio, Baudelaire affronta un problema spinoso, quello delle dipendenze e

dei vizi, senza esaltazioni né moralismi retorici, ma con una profonda sensibilità

poetica. Esorta a cercare l'infinito nell'arte, nella cultura, che è ciò che rende davvero

liberi, che eleva davvero l'anima umana. La droga, ha il vantaggio di darci tutto questo

immediatamente, ma è un'illusione. Quando ci si sveglia dal sonno, ha inizio l'incubo.

Quando il paradiso si dissolve in una nube di fumo, ha inizio l'inferno.

In Italia, come nel resto d’Europa, con il passare degli anni si ha un continuo

cambiamento sociale e un’evoluzione dei bar fino agli anni in cui il fascismo assunse i

caratteri di un regime forte e accentrato imponendo le leggi che limitavano la libertà.

Infatti anche al bar, negli anni ’30, venne nuovamente assegnato il nome di Caffè,

come nei primi del secolo, in quanto il regime chiedeva purezza della lingua, ed

astensione dall’influenza di usanze straniere. I caffè erano i luoghi tipici

dell’aggregazione maschile; le donne non vi erano ammesse volentieri, la retorica

fascista relegava la donna ad oggetto di appetiti sessuali, madre, sposa, sorella e

portatrice paziente di corna. Al caffè si fumava, si giocava a carte ed a biliardo. Il

governo emise regolamenti ancora oggi in vigore, che disciplinavano i tipi di giochi a

carte e vietavano il gioco d’azzardo. Nel caffè c’era la radio, posta sullo scafale dietro

al bancone, in alto, per essere meglio udita, ma mai a volume chiassoso; veniva alzato

solo per sentire il Duce, e guai a chi si dimostrasse disinteressato o critico. I giornali,

ovviamente imboccati del regime, erano attaccati a pali di legno, per la consultazione

da parte di tutti. Diciamo che la frequentazione del caffè partiva dai 18 anni con la

visita di leva ed il rituale accesso alla casa di tolleranza, secondo un chiaro rituale

iniziatico.

Nello stesso periodo Primo Carnera pugile italiano detto

“l’Americano ”, dopo la vittoria conseguita a New York, si trova

a combattere un match a Roma al quale è presente anche

Mussolini. Il pugile combatte rifiutando il compenso e

indossando una camicia nera, al fine di esprimere la propria

vicinanza al regime fascista; il pugile italiano vince, il pubblico

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