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Sintesi
Biologia: La fecondazione
Filosofia: Freud e Gentile
Greco: Socrate, Platone e Isocrate
Latino: Quintiliano e Marziale
Storia: Il fascismo
Italiano: La Divina Commedia; la fiaba
Fisica: La luce come fenomeno elettromagnetico
Estratto del documento

B IOLOGIA

Quando inizia

l'apprendimento?

Viaggio nel

F F

grembo materno

ISICA ILOSOFIA

La fisica dei Il mondo

bambini: interno del

bambino

La storia di

Luce Freud G RECO

A

PPROFONDIMENTO La παιδεία greca

Il ruolo e le prime

fondamentale della scuole:

fiaba e della favola

nell'apprendimento Platone e

Isocrate

L

ATINO

I TALIANO Dalla παιδεία

La sapienza greca

pedagogica all'humanitas

della Divina romana:

Commedia Quintiliano e

Marziale

S TORIA

F ILOSOFIA Il tempo passa

Il pensiero e l'educazione

pedagogico di cambia:

Gentile Il Fascismo 5

Bisogna pur cominciare da

qualche parte. Questa volta scelgo di

cominciare con “In principio”, con la Bibbia, anche a rischio di invadere, da

umile studentessa, il campo della teologia. Nella mia trattazione, ho scelto di cominciare dal

“principio” della vita, da quel giardino dell’Eden che costituisce uno dei campi di interesse

della bioetica, della medicina, della conoscenza e che porta a vari e svariati interrogativi: il

miracolo della vita. È sorprendente pensare come un bimbo, una minuscola creatura il cui

peso varia, nel giorno della nascita, da 1 a 5 kg circa, sia stato, 9 mesi prima, soltanto un

piccolo ammasso di cellule riprodottesi con straordinaria velocità nel grembo materno. In

questi 9 “lunghi” mesi si formano il cuore, i polmoni, il cervello, le ossa, i muscoli e ogni

organo del corpo che poi costituirà il futuro del mondo: un bambino. Dal momento in cui i

suoi occhi si spalancano di fronte alla realtà e i suoi polmoni si colmano d’aria, riversandola

in un pianto liberatorio che sembra voler urlare la sua esistenza, siamo in presenza della fase

neonatale umana o, più in generale, di quel periodo della vita che convenzionalmente

chiamiamo “infanzia”. Millay diceva che l’infanzia è il regno in cui nessuno muore, forse

perché dentro di noi continua sempre a sopravvivere un “puer aeternus”, come affermava

Hillman la cui esistenza, se esasperata, viene analizzata

in psicanalisi come “Sindrome di Peter Pan”. Un celebre

detto popolare afferma “Nella vita non si finisce mai di

imparare”: in effetti, i vasti campi del sapere si

estendono infinitamente davanti a noi, come nel celebre

quadro di Friedrich “Viandante sul mare di nebbia”.

Quando inizia il processo di apprendimento? In una

citazione di Maria Montessori, la celebre pedagogista

afferma “l’educazione comincia alla nascita”. Alla luce

delle recenti scoperte, possiamo dire che

l’apprendimento inizia addirittura all’interno dell’utero. Appena nati, però, “impariamo” a

riconoscere la figura materna e la figura paterna, “impariamo” a farci ascoltare attraverso il

pianto, cominciamo a fare i nostri primi passi nel mondo e a comunicare con le parole.

Questo percorso dura qualche tempo, finché, un bel giorno, mamma e papà ci portano in un

posto colorato e vivace per farci conoscere altri bambini, per consentire il nostro primo 6

ingresso nel sociale, ampliando così lo

spazio d’apprendimento fino ad

estenderlo al di fuori del contesto

familiare. Inizia, così, il nostro

percorso all’interno della scuola.

La scuola, intesa nel suo significato

più semplice, è un luogo in cui

viene offerto un servizio

educativo (dal latino educere,

composto di “e”= fuori e “duco” = condurre, “condurre fuori”) e formativo guidato da

personale competente, i docenti. Nel corso del tempo l’insegnamento è stato inteso in varie

accezioni. Nell’antica Grecia la cultura è sempre stata la base imprescindibile per la

formazione di un buon cittadino e di un buon politico. Fu proprio ad Atene che vennero

fondate alcune delle prime scuole, fra cui la più importante fu l’Accademia di Platone,

l’allievo più famoso di colui che, pur inconsapevolmente, potrebbe essere definito,

anacronisticamente, il primo pedagogista della storia:

Socrate. In contrapposizione alla sua scuola sorse quella

Isocratea, ma queste non furono le uniche istituzioni della

Grecia Antica. Questo fiorire di erudizione, porterà la Grecia

ad assumere il ruolo di maestra di cultura anche durante

l’età imperiale, quando essa non era altro che una semplice

provincia del vastissimo impero romano. Prima di diventare

una semplice provincia, però, la cultura greca venne portata

fino ai confini del mondo allora conosciuto grazie ad

Alessandro, il quale avviò una forte azione di ellenizzazione, la cui eredità ci è giunta anche

attraverso l’opera della biblioteca di Alessandria d’Egitto e dei filologi alessandrini.

Significativamente, poiché l’Accademia detiene il primato assoluto di longevità tra le

istituzioni culturali del mondo antico, si afferma che il 529 d.C., data in cui Giustiniano

impone la chiusura dell’ultimo baluardo della cultura greca, sia il punto d’arrivo di tale

cultura che, quindi, si “chiude” nel nome di Platone. Fino a questo momento, però, durante

l’età imperiale, gli intellettuali romani erano ancora soliti compiere il tradizionale viaggio in

Grecia al fine di completare la loro formazione. Il maggior esponente per quanto riguarda 7

l’organizzazione della cultura a Roma nasce fra il 35 e il 40 d.C. e opera sotto la dinastia dei

Flavii: egli è Quintiliano, il quale si occupò proprio della formazione dei fanciulli e

dell’organizzazione del consenso, ereditando l’antico ruolo di Mecenate nei confronti di

Augusto. Le sue teorie riguardo la formazione e l’educazione ci permettono di definirlo quasi

come il successore di Socrate fra i precursori della pedagogia. Nel corso della storia si sono

succedute varie teorie circa l’educazione, la quale, nei tempi più antichi, non poteva

prescindere dal problema dell’alfabetizzazione. Nell’ambito dell’Italia, inoltre, e più

esattamente nel contesto dei vari staterelli che formavano quella che oggi chiamiamo Italia,

ci sono stati vari intellettuali che si sono interrogati circa il problema dell’alfabetizzazione,

della formazione e di una lingua unica da poter

parlare. Con Dante comincia ad affermarsi l’uso

del volgare fiorentino nella cultura scritta, ed è

proprio questa lingua che viene da lui utilizzata

nella stesura di un’importantissima opera

didascalico-allegorica: la Divina Commedia.

Interessante è, inoltre, analizzare come la scuola si

sia evoluta nel corso del tempo fino ad arrivare

all’età moderna, in un periodo di guerre e

totalitarismi come il Fascismo. Non si può prescindere, infatti, dall’analisi dell’impostazione

formativa data dall’assetto totalitaristico della storia moderna, parallelamente

all’organizzazione culturale di una forma di governo sostanzialmente democratica come

quella greca e alla conformazione che fu assunta dalla scuola in età imperiale, con i suoi

risvolti fortemente dittatoriali (dinastia Giulio-Claudia) e le sue sfaccettature più liberali.

Proprio nel periodo del Fascismo, in Italia il problema

dell’organizzazione scolastica viene affrontato

egregiamente da Giovanni Gentile, il quale si

impegnò nella stesura della riforma della scuola. Si

ha, quindi, durante il fascismo, uno sviluppo della

pedagogia e delle teorie dell’educazione. Una

tematica comune nelle teorie educative è

l’apprendimento come gioco, che risulta essere più

facile per i bambini. A conferma di questa tesi, vi è la 8

consuetudine, da parte di genitori e nonni, di raccontare e drammatizzare ai bambini le

fiabe. Non c’è niente di più duraturo delle fiabe. Provengono da tempi remoti e andranno

lontanissimo nel futuro. Generazioni e generazioni e generazioni di bambini e adulti hanno

conosciuto, conoscono e conosceranno Biancaneve e Cenerentola. Lo sapevano anche i due

inseparabili fratelli Jacob e Wilhelm Grimm. Inseparabili e complementari: il primo serio e

sistematico, il secondo più allegro e poetico, quel che ci

voleva per creare un’opera memorabile. Lo sapevano già ai

loro tempi che i racconti popolari narrati da mamme e da

nonne venivano da molto lontano, sapevano che si erano

trasmessi di bocca in bocca attraverso i secoli, eppure

volevano trascriverli e raccoglierli per farne un libro a futura

memoria, che avesse come autore il popolo, anzi il Popolo.

Era un’idea romantica: quei testi dovevano rappresentare il

patrimonio della poesia nazionale, un tesoro di fantasie, di insegnamenti, di narrazioni pure,

una sorta di spirito originario, di archetipo e di coscienza patriottica. Era questo recupero la

vera preoccupazione della cultura romantica. A differenza di altri studiosi del folklore

tedesco, i fratelli Grimm si proponevano di adottare criteri scientifici ascoltando le storie

direttamente dalla voce di contadini e contadine. In realtà, il contributo di fantasia di

Wilhelm pesò parecchio e la “fedeltà assoluta” che rivendicavano si ridusse a un concetto

elastico, perché molte fiabe venivano tradotte dal dialetto, riadattate, riformulate, colorate,

rese più vive, più cupe, più drammatiche, interpolate con altri materiali popolari in modo da

salvaguardarne genericamente il significato e la verità, ma senza troppi scrupoli filologici. Il

primo volume delle Fiabe del focolare esce alla fine del 1812, il secondo seguirà nel 1815.

Sono in tutto duecento.

Quel che i fratelli Grimm immettono, in definitiva, nel materiale originario è una buona dose

di letterarietà, deformando in parte, ma rendendo definitivi attraverso la scrittura racconti

che nella trasmissione orale avevano un carattere variabile e fluido. Soprattutto, aggiungono

un’intenzione morale che le fiabe primitive non avevano. Insegnamento didascalico e lieto

fine d’obbligo, tipici piuttosto delle favole d’autore (Esopo, Fedro, La Fontaine) saranno

valorizzati dalle trasposizioni cinematografiche di Walt Disney. Pur possedendo delle

“impronte digitali” che ne segnalano i tratti etnici (tracce locali di vita sociale, di quotidianità

o di linguaggi), le fiabe hanno temi, motivi e funzioni costanti che superano i confini 9

nazionali: le loro radici storiche, come ha dimostrato lo studioso russo Vladimir Propp,

risalgono ai primitivi riti di iniziazione. Quei rituali si incarnano in figure eterne che da

sempre abitano l’inconscio individuale e collettivo: esseri soprannaturali e personaggi dotati

di poteri magici, orchi, streghe, draghi, principi azzurri e fate, angeli e demoni, gnomi,

animali soccorrevoli e bestie minacciose, eroi baldi o infelici messi in scena in contesti

naturali, foreste, montagne, mari, fiumi, laghi dal sapore incantato, tra paura, paradosso,

mistero, avventura. Il poeta tedesco Novalis definì le fiabe “sogni di quella patria che è

dovunque e in nessun luogo”. In quella patria

dell’umanità che sono le fiabe, ognuno può dunque

trovare quel che vuole, i propri incubi e i propri

desideri, identificarsi nei suoi personaggi.

Attraverso le fiabe, infatti, è possibile veicolare

messaggi e concetti anche molto importanti, non

solo a livello umano, ma anche a livello cognitivo:

ad esempio si è mai pensato a cosa potrebbe

succedere se la protagonista di una breve storiella

diventasse una ragazzina chiamata, significativamente, “Luce”, che decide di viaggiare e

andar via lasciando il suo paese al “buio”? Alcuni ci hanno già pensato, riuscendo, se pure in

maniera molto semplificata, a stimolare la curiosità dei fanciulli nei confronti di un

fenomeno della fisica come la luce, che, se spiegata in modo troppo “accademico” può

risultare complicato anche agli “addetti ai lavori”.

Insomma, quello della scuola è un contesto delicato ed importante in quanto consente di

influenzare gli uomini che governeranno il mondo di domani,

ragion per cui lo stesso Mussolini ha agito fortemente sulla

scuola per creare intorno a sé il consenso politico necessario.

La crescita, l’infanzia del fanciullo, può infatti influenzare tutta

la sua vita. Un bambino nato e cresciuto in un contesto adatto

a sé si formerà in modo sostanzialmente diverso rispetto ad

un bambino che ha vissuto vicende non facili. Le ripercussioni

psicologiche che gli eventi provocano nella mente di un

bambino condizioneranno tutta la sua vita. Lo stesso Freud, in

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