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Ora possiamo affrontare il discorso che riguarda le varie tipologie possibili
dell’Universo. Se ne possono individuare quattro:
I. Universo aperto;
II. Universo piatto;
III. Universo chiuso;
IV. Universo in accelerazione.
Fino ad ora però non si è riusciti a determinare la tipologia del nostro
Universo, questo perché la maggior parte di esso è costituita da un’energia
misteriosa che gli astronomi definiscono energia oscura. Infatti, se prendiamo
in considerazione la composizione del nostro Universo, potremmo constatare
che esso è formato: per il 5% dalle stelle, i pianeti e la materia ordinaria
finora conosciuta; per il 23% da ciò che viene definito materia oscura, ovvero
quella materia che si è consapevoli della sua esistenza ma non si riesce a
determinare da cosa sia composta; e per ben il 72% dall’energia oscura.
Questa ipotetica forma di energia si pensa abbia due caratteristiche
principali:
I. Costituisce la maggior parte dello spazio dell’Universo;
II. Possiede una pressione negativa che si può definire simile a una
forza antigravitazionale. 5
composizione Universo
energia
oscura
materia
oscura
5,00%
23,00% stelle,
pianeti
e
materia
72,00%
ordinari
a
A questo punto, avendo almeno un’idea della composizione dell’Universo,
siamo in grado di esaminarne le varie tipologie più nel dettaglio.
Si parla quindi di Universo aperto quando la densità media risulta minore
della densità critica . Quest’Universo è caratterizzato da una geometria
2
aperta con curvatura negativa. Se prendiamo in considerazione un Universo
aperto dove non è presente energia oscura esso, si espanderà
indefinitamente, rallentando di poco il suo moto a causa della forza di
gravità. Invece, se è presente energia oscura, allora si avrà un’espansione
continua in accelerazione. Come destino ultimo di un Universo aperto
possiamo indicare tre possibilità:
1) La morte termica, in altre parole quando non c’è energia libera per
creare e sostenere la vita e l’Universo raggiunge il massimo
dell’entropia (si crea un disordine chimico e fisico);
2) Il Big Freeze (o grande raffreddamento), in seguito a una continua
espansione l’Universo diventa troppo freddo per sostenere la vita;
3) Il Big Rip (grande strappo), avviene un disgregamento totale di tutta la
materia, solo però se l’energia oscura è superiore a un certo valore.
Il secondo tipo di Universo è quello definito piatto. In questo caso la densità
media dell’Universo è esattamente uguale alla densità critica, la geometria è
2 Per densità critica (solitamente indicato con il simbolo Ω) s’intende un ipotetico valore critico dal
quale dipende la curvatura dell’universo; secondo esso, infatti, può esistere una curvatura o negativa
o positiva. 6
giustamente piatta. Anche qui bisogna fare la distinzione tra un Universo
piatto contenente energia oscura e uno privo di essa. Un Universo piatto
privo di energia oscura, quindi, si espande continuamente a un ritmo
decrescente, raggiungendo asintoticamente lo zero. Al contrario se è
presente l’energia oscura, l’Universo avrà un’espansione che rallenta
inizialmente, ma aumenta in seguito. Quest’Universo come quello aperto
potrebbe avere come destino ultimo le tre possibilità spiegate in precedenza:
la morte termica, il Big Freeze e il Big Rip.
Viene considerata la terza tipologia di Universo se la densità media è
maggiore della densità critica: questo Universo è definito chiuso. In questo
caso la geometria sarà chiusa come quella di una sfera ed è simile a
un’ellisse. Se l’Universo contiene una grande massa di energia oscura,
l’espansione continuerebbe ugualmente, anche se si tratta di una geometria
chiusa. Se invece, mancando l’effetto repulsivo dell’energia oscura, la gravità
fermerebbe l’espansione dell’Universo, che inizierebbe quindi a collassare in
un’unica singolarità: Big Crunch .
Il quarto tipo di Universo: universo in accelerazione, esprime l’idea che il
nostro Universo sia in fase di rapida espansione e che il ritmo di questa
espansione stia aumentando. Questa idea o teoria, come si preferisce
chiamarla, viene associata al dato che le galassie siano in allontanamento tra
loro. Questa teoria però ha come punto base l’esistenza dell’energia oscura,
infatti, senza di essa, non si riuscirebbe a spiegare il continuo allontanarsi nel
tempo delle galassie. Se la teoria fosse corretta, il risultato finale sarebbe il
Big Rip, come abbiamo già detto il disgregamento di tutta la materia.
Ora riflettendo sul continuo spostamento verso il rosso, o l’allontanamento
delle galassie,i fisici e gli astrologi hanno
provato e provano tuttora a poter determinare
l’energia oscura. Per dare una spiegazione
plausibile di questa materia che c’è e non c’è, gli
scienziati hanno avanzato l’ipotesi di piccoli buchi
neri distribuiti in modo uniforme e abbastanza
piccoli da non disturbare esageratamente tutto
l’Universo. Finora però non si è riusciti ad
osservare un buco nero, in compenso si cerca di
definire con precisione la loro origine ipotizzata a
causa dell’effetto di attrazione gravitazionale che
esercitano nei confronti della massa vicina.
7
Come si forma un buco nero?
Verso il termine del proprio ciclo vitale
dopo aver trasformato tramite
fusione nucleare tutto l’idrogeno in elio, il
nucleo di una stella si spegne. A
questo punto la forza gravitazionale, che
prima si trovava in equilibrio con la
pressione generata dalle reazioni di
fusione nucleare, prevale e comprime la
massa della stella verso il centro.
La densità comincia ad aumentare ed
essere così elevata da innescare la
fusione nucleare dell’elio (fino a
produzione di litio, azoto, ossigeno e
silicio). Nello stesso tempo la stella si
espande e si contrae violentemente più
volte, eliminando parte della propria massa. Ovviamente non tutte le stelle
arrivano a diventare buchi neri ma solo quelle con una massa elevatissima,
definita critica e pari a 2,5 volte la massa solare.
Se si ha questa particolare situazione, avviene un collasso gravitazionale. La
stella subisce una contrazione fortissima che causa una pressione di
degenerazione, la quale arresta bruscamente il processo di contrazione che
provoca una gigantesca esplosione, detta di supernova. In seguito
all’esplosione la stella ha espulso gran parte della propria massa che si
disperde nello spazio circostante. Quello che rimane è un nucleo molto denso.
Se la massa di questo nucleo supera le tre masse solari, niente può più
contrastare la forza gravitazionale. A questo punto la pressione interna non
viene più esercitata verso l’esterno, ma diventa un tutt’uno con il campo
gravitazionale, rendendo così inevitabile il collasso infinito. La sua elevata
densità genera così un campo gravitazionale talmente intenso da non
permettere neanche alla luce di sfuggire (per questo definito buco nero).
8
L’infinito e la matematica
Anche nella matematica l’uomo ha fatto uno dei più grandi passi verso
l’infinito con la scoperta del calcolo infinitesimale. Il calcolo infinitesimale è
quel ramo della matematica che impiega in modo sistematico l’operazione di
passaggio al limite che si occupa di problemi geometrici e fisici come il
calcolo di lunghezze, aree e volumi di figure curvilinee, il calcolo della
velocità e dell’accelerazione istantanea o la determinazione della tangente a
una curva. Prima di analizzare le parti che compongono il calcolo
infinitesimale, sarebbe bene, però, ritornare un attimo alle idee che hanno
consentito il suo sviluppo.
Le radici del calcolo infinitesimale sono da ricercare nella geometria
dell’antica Grecia. Democrito calcolò il volume della piramide e del cono,
probabilmente costituiti da un numero infinito di sezioni di spessore
infinitamente sottile. Eudosso e Archimede usarono il “metodo di esaustione”
per determinare l’area del cerchio, approssimandola a quella di poligoni in
esso inscritti, dal numero di lati sempre maggiore. I problemi che nacquero
nella comprensione dei numeri irrazionali e i celebri paradossi di Zenone,
tuttavia, impedirono uno sviluppo sistematico della teoria.
Dal quel momento in poi l’idea di un infinito matematico non suscitò molto
interesse, fino a quando nel XVII secolo Bonaventura Cavalieri ed Evangelista
Torricelli svilupparono e ampliarono l’uso degli infinitesimi. Mentre Cartesio e
Pierre de Fermat studiarono le aree sottese da curve assegnate e le tangenti
a esse, eseguendo procedimenti equivalenti a quelli d’integrazione e
differenziazione solo mediante gli strumenti dell’algebra. Fermat e Isaac
Barrow misero in luce l’esistenza di una stretta relazione tra le due operazioni
–integrazione e differenziazione- finché Newton e Leibniz intrapresero la
dimostrazione del Teorema fondamentale del calcolo, da cui si deduce che le
operazioni di differenziazione e d’integrazione sono una l’inverso dell’altra.
Leibniz teorizzò una “legge della continuità”, secondo la quale per passare
dal piccolo al grande (o viceversa) è necessario passare attraverso infiniti
gradi intermedi (viene proprio da lui il simbolo d’integrale ∫). Newton invece
si occupò dello studio di grandezze che variano con continuità e le loro
variazioni considerate istante per istante: velocità, accelerazione, incremento
dell’accelerazione. Nel XVIII secolo avviene l’applicazione del nuovo metodo,
e nel XIX secolo Cauchy iniziò una sistemazione critica e rigorosa del calcolo
infinitesimale, portato a termine in seguito da Weierstrass. E finalmente nel
XX secolo con la Seconda Rivoluzione Scientifica il calcolo infinitesimale trova
il suo completamento grazie agli studi compiuti da Cantor, Weierstrass,
Dedekind e Gödel. L’epoca si conclude con l’enunciazione del teorema di
9
quest’ultimo, il quale scopre che nell’Aritmetica c’è l’impossibilità a decidere,
perciò ci sarà sempre un teorema per il quale nessuno saprà mai rispondere
con un SI o con un NO.
Ora siamo in grado di andare più nel dettaglio nel calcolo infinitesimale e in
alcuni aspetti che ho ritenuto fondamentali nella storia dell’infinito
matematico: il calcolo integrale, il calcolo delle derivate, Zenone e i suoi
paradossi e in fine Cantor.
Il calcolo integrale
Principalmente furono due i problemi che portarono al calcolo infinitesimale:
1. Determinazione di lunghezze, aree, volumi;
2. Determinazione di tangenti velocità, accelerazioni.
Il primo problema fu di determinare le aree di figure a contorno curvilineo e
venne risolto attraverso il calcolo integrale, il quale nasce da un
perfezionamento di un metodo dovuto ad Archimede, che consiste nel
calcolare un’area come somma delle aree di piccoli rettangoli, ad essa
inscritti o circoscritti, per approssimarla.
Immaginiamo di voler calcolare l’area racchiusa tra un arco di curva di
equazione definita e continua in un intervallo , e in tale
[a ]
(x) ,b
y=f x
intervallo sempre positiva, l’asse e le rette e .
x=a x=b
“se una funzione è
Per il teorema di Weierstrass, il quale enuncia che
continua e definita in un intervallo chiuso I, allora essa ha un massimo e un
minimo”, n
dopo aver diviso l’intervallo [a,b] in parti uguali, cioè in tanti
rettangoli, potremmo tracciare il minimo della funzione a partire da ogni
rettangolo. A questo punto si può calcolare l’area totale della funzione come
somma delle aree di tutti i rettangoli aventi come base: h=b−a/n
E come altezza il minimo di : l’area del tratto di curva sarà proprio
( )
f x
l’integrale tra e di in :
( )
f x
a b dx
b
∫ ( )
f x dx
a
Sommando le aree di tutti
i rettangoli, si avrà
un’approssimazione 10 Area dei plurirettangoli
dell’area totale per difetto, che prenderà il nome di
inscritti:
n
∑
sn= mi ∙ h
i=1
(Somma per i che va da 1 a n, mi per h) Area
Allo stesso modo, se si considerano i massimi della funzione, si otterrà l’
dei plurirettangoli circoscritti, con un’approssimazione dell’area totale per
eccesso:
n
∑
Sn= Mi ∙h
i=1
(Somma per i che va da
1 a n, Mi per h)
Si può notare a
questo punto che
l’errore commesso, per eccesso o per difetto, considerando rispettivamente il
n.