Sintesi
Esame di Stato – Anno scolastico 2013/2014 – Liceo Scientifico “IIS Faravelli” – Sede di Broni
L’incubo della Disoccupazione
Di Ejona Rexhepi, classe 5^C







Sommario

Premessa e definizione pag. 2
La disoccupazione: concetti macroeconomici pag. 4
Possibili cause della disoccupazione nel breve periodo pag. 7
I danni della disoccupazione pag. 8
L’economia keynesiana e la disoccupazione pag. 9
L’economia monetaristica e la disoccupazione pag. 10
Bibliografia e sitografia pag. 11


PREMESSA E DEFINIZIONE

“Il lavoro è la dimensione fondamentale dell’uomo sulla terra.
Come tale esprime la sua stessa essenza.”
Papa Giovanni Paolo II

Si definisce disoccupazione la condizione delle persone che, pur essendo idonee a svolgere un'attività lavorativa e desiderose di lavorare, non trovano un'occupazione. Si tratta di un problema sociale molto serio, che, soprattutto negli ultimi anni, sta diventando sempre più causa di povertà e di frustrazione psicologica, a tal punto che il dato numerico del tasso di disoccupazione viene utilizzato anche come una misura del benessere dei lavoratori oltre che come indicatore dell’impiego delle risorse umane.
Nel periodo di crisi economica che la nostra società sta attraversando negli ultimi anni, quello della disoccupazione è uno dei problemi più gravi e sentiti: basti pensare che, dal 2007 ad oggi, il tasso di disoccupazione in Italia è più che raddoppiato, dal 6% al 12,6% secondo i rilevamenti Istat, e che quasi 3,5 milioni di Italiani, ad oggi, si trovano senza lavoro. Questo fenomeno non si verifica soltanto nel nostro Paese, ma è una piaga di dimensioni globali che va a rimarcare ancora di più come la crisi che va avanti ormai da diversi anni riguardi tutte le principali economie dei Paesi occidentali: gli USA hanno ormai passato il periodo peggiore, con il tasso del 10% del 2009, e negli ultimi anni hanno visto una lenta ma continua diminuzione del tasso di disoccupazione (7,3% nell’ottobre 2013); nell’Eurozona si è passati dal 7% del 2008 al quasi 11,7% di fine di aprile 2014. Per quanto riguarda i Paesi europei più in difficoltà, la Grecia ha un tasso pari al 26,5%, mentre in Spagna si arriva al 25,1%; al contrario, nonostante la situazione di crisi, altri Paesi come l’Austria (4,9%) e la Germania (5,2%) sono riusciti a limitare i danni.


Grafico 1: tasso di disoccupazione in Europa, dati di aprile 2014. (Eurostat)

Particolare attenzione viene data al tasso di disoccupazione giovanile, corrispondente ad un tasso specifico per la fascia di età tra i 15 e i 24 anni, in quanto indicativo delle difficoltà nel trovare lavoro da parte della popolazione più giovane e dunque con meno esperienza lavorativa. Secondo i dati Eurostat, sono in lieve calo i giovani disoccupati nell'Unione europea e nell'Eurozona, che lo scorso aprile erano rispettivamente 5,3 milioni e 3,4 milioni.
Ad aprile 2014 il tasso di disoccupazione giovanile ha toccato quota 22,5%nell'UE e 23,5% nell'Eurozona, contro il 23,6% e 23,9% di aprile dell'anno scorso, confermando ancora la maglia nera per Grecia (56,9%) e Spagna (53,5%), seguite dalla Croazia (49%). I tassi di disoccupazione più bassi degli under 25 si rilevano sempre in Germania (7,9%) e Austria (9,5%).


Grafico 2: tasso di disoccupazione giovanile in Europa, dati di aprile 2014. (Eurostat)


LA DISOCCUPAZIONE: CONCETTI MACROECONOMICI
“Come sono deludenti, ora che li conosciamo, i frutti della brillante idea di ridurre la scienza economica a un’applicazione matematica”
John Maynard Keynes
In macroeconomia, si definisce tasso di disoccupazione di uno Stato il rapporto tra il numero di persone senza lavoro e il numero di persone che costituiscono la forza lavoro dello Stato, ovvero i lavoratori e le persone in cerca di occupazione. Da questo dato si può capire come, nel calcolo del tasso di disoccupazione, restino fuori gli individui che, non essendo occupati né in cerca di un impiego, si collocano al di fuori della forza lavoro, così come i minori di 15 anni e gli over-65, che non rientrano nella forza lavoro per motivi di età anagrafica.
Definendo u il tasso di disoccupazione, U la disoccupazione, N l’occupazione e L la totalità della forza lavoro, si può definire il tasso di disoccupazione in questo modo:

In questo modo è possibile determinare anche l’occupazione N in funzione di tasso di disoccupazione e forza lavoro:

Un altro concetto fondamentale è quello della durata della disoccupazione, che può essere un importante fattore discriminante per distinguere un mercato del lavoro dinamico e uno più rigido: nel primo caso, infatti, la breve durata del periodo di disoccupazione fa sì che esso sia una fase di transizione per i lavoratori, che hanno facilità nel trovare un nuovo impiego a causa delle numerose interruzioni dei rapporti di lavoro e delle altrettanto numerose nuove assunzioni; al contrario, nel caso di un mercato del lavoro rigido e sclerotico, la disoccupazione ha una durata maggiore a causa della difficoltà, da parte delle imprese, di generare nuovi posti di lavoro.
Il tasso di disoccupazione ha implicazioni notevoli anche in ambito salariale: la forza contrattuale dei lavoratori, ovvero la possibilità di ottenere salari più elevati e condizioni di lavoro più vantaggiose, è infatti condizionata dalla difficoltà che i lavoratori avrebbero nel trovare un nuovo lavoro, in caso di licenziamento. Le condizioni del mercato del lavoro, dunque, risultano fondamentali anche in questo contesto: in una situazione di bassa disoccupazione, infatti, i lavoratori avranno maggiore forza contrattuale dal momento che avranno maggiori opportunità di trovare un nuovo impiego (e l’impresa, inoltre, avrebbe anche più difficoltà a rimpiazzarli, visto il minore numero di disoccupati disponibili); al contrario, un alto tasso di disoccupazione rappresenta, per i motivi opposti, un ostacolo alla forza contrattuale dei lavoratori, che si trovano così a dover accettare condizioni di lavoro peggiori.
Dal punto di vista matematico, nella determinazione dei salari in funzione del tasso di disoccupazione si utilizza la cosiddetta equazione dei salari:

(-, +)

W rappresenta il salario nominale aggregato e dipende da tre fattori: Pe è il livello atteso dei prezzi, u è il tasso di disoccupazione e z rappresenta le generiche variabili che possono influenzare la determinazione dei salari.
Da questa formula si può facilmente arrivare alla determinazione del salario reale, ovvero del rapporto tra il salario W ottenuto in precedenza e il livello P dei prezzi:

(-, +)
Esaminando quest’ultima equazione, si può notare come il salario reale diminuisca all’aumentare del tasso di disoccupazione u, e, al contrario, come esso aumenti se u diminuisce: questo ci riconduce al ragionamento fatto prima sulla forza contrattuale dei lavoratori nella determinazione dei salari, legata, come già detto, anche alle condizioni del mercato del lavoro.
È interessante notare come l’equazione dei salari sia strettamente legata a un’altra equazione, detta equazione dei prezzi, che fornisce un’altra formulazione del salario reale:

Qui μ rappresenta il ricarico del prezzo sul costo di produzione, o markup: in breve, il valore di μ aumenta al diminuire del livello di concorrenza nel mercato di un determinato bene, mentre raggiunge un valore di 0 in presenza di un mercato perfettamente concorrenziale. Applicando tale definizione nell’equazione sopra riportata, inoltre, si può notare come un aumento del markup (ovvero una diminuzione della concorrenza nel mercato) porti a un aumento dei prezzi e, di conseguenza, a una diminuzione del salario reale.
Rappresentando graficamente le due funzioni prese in esame si otterrà un diagramma cartesiano in cui verrà posto sulle ascisse il valore u (tasso di disoccupazione) e sulle ordinate il valore W/P (salario reale):




La curva con la dicitura WS rappresenta l’equazione dei salari, mentre la curva PS è la rappresentazione grafica dell’equazione dei prezzi.
Nel punto di ordinata un identificato nel grafico, si nota come le due curve vadano a coincidere. Questo significa che, per u= un, le due equazioni possano essere eguagliate:

Il tasso di disoccupazione di equilibrio tra le due funzioni (un) viene definito tasso naturale di disoccupazione. Sempre analizzando l’equazione appena presa in considerazione e il grafico ad essa correlato, si può notare come questo valore aumenti all’aumentare di z (dal momento che il salario reale aumenterebbe, spostando graficamente verso l’alto la curva WS, che così andrebbe a intersecare la curva PS in un punto con ascissa maggiore), e come, all’aumentare del valore di markup μ (ovvero alla riduzione del livello di concorrenza nel mercato), esso tenda a sempre ad aumentare (l’aumento di μ causerebbe infatti lo spostamento della curva PS verso il basso, causando uno spostamento del punto di intersezione delle due curve verso i valori più alti dell’asse X). Pertanto, analizzando nel dettaglio queste due casistiche, si nota come, nel primo caso, l’aumento dei sussidi di disoccupazione (o di un’altra delle variabili che sono comprese nel valore z) porti a un salario reale più alto, rendendo così necessario l’aumento del tasso di disoccupazione perché i salari tornino a un livello accettabile dalle imprese; nel secondo caso, invece, si può riscontrare come una legislazione antitrust meno restrittiva, che permette dunque alle imprese di aumentare i prezzi a parità di salario, porti a una riduzione del salario reale, così che occorra una disoccupazione più alta perché i lavoratori possano accettare queste condizioni di lavoro sfavorevoli.
Riprendendo, infine, l’equazione 2 esaminata in precedenza, è possibile arrivare al concetto di livello naturale di occupazione (Nn), ovvero il numero di individui occupati in presenza di un tasso naturale di disoccupazione:




POSSIBILI CAUSE DELLA DISSOCUPAZIONE NEL BREVE PERIODO
“Quando si risparmiano cinque scellini, si lascia senza lavoro un uomo per una giornata.”
John Maynard Keynes
Quando si parla di cause dell’aumento della disoccupazione, occorre tenere in considerazione diversi fattori che possono essere ricondotti a un’unica conseguenza comune: la scarsa flessibilità del mercato del lavoro e della regolamentazione dei rapporti lavorativi. Si va pertanto a parlare, generalmente, di una serie di vincoli e di norme che riducono la flessibilità nell’uso della forza lavoro, la possibilità di licenziare, la possibilità di ridurre i salari, la mobilità del lavoro.
In un’analisi più generale si può assumere che la disoccupazione dipenda notevolmente dalla rigidità dei salari: se i salari sono particolarmente elevati e non hanno la possibilità di diminuire, non c’è la possibilità, per il mercato del lavoro, di fornire un impiego a tutti gli individui privi di occupazione. Secondo la visione economica liberista, che vede nella libertà del mercato e nella flessibilità dei prezzi la migliore soluzione per il funzionamento dell’economia, la rigidità dei salari è da imputare alla presenza dei sindacati, che si comportano come monopolisti sul mercato del lavoro ed impediscono quella riduzione dei salari che potrebbe portare ad un aumento della domanda del lavoro da parte delle imprese e, di conseguenza, ad una maggiore occupazione.
Anche l’aumento dei sussidi di disoccupazione può rappresentare una causa di ulteriore disoccupazione, dal momento che le persone in cerca di un impiego potrebbero preferire il sussidio garantito dallo Stato piuttosto che accettare livelli di salario più bassi o impieghi in attività poco gratificanti.
Inoltre, un livello troppo scarso di domanda sul mercato dei beni è considerata un’altra possibile causa di disoccupazione: se nel sistema economico vi è una domanda insufficiente, come succede in periodo di recessione, le imprese non riescono a vendere i loro prodotti e tendono a diminuire la produzione e, di conseguenza, il livello di occupazione. Questo tipo di disoccupazione è caratteristica delle economie di mercato dove la produzione è finalizzata alla realizzazione di profitti: se le imprese hanno prospettive negative sulla possibilità di vendere i loro prodotti, preferiranno ridurre la produzione e licenziare lavoratori piuttosto che restare con merci invendute, trovandosi così nella necessità di ridurre i prezzi di vendita.
D’altra parte, si può avere disoccupazione anche quando si verifica un eccesso di offerta sul mercato del lavoro: l’aumento improvviso della forza lavoro non è subito seguito da un aumento dell’occupazione, pertanto il tasso di disoccupazione sarà destinato, in questi casi, ad aumentare. L’aumento nell’offerta di lavoro è in genere legata a fatti eccezionali come ad esempio lo spostamento di popolazione determinato da avvenimenti bellici o da altri eventi, come il passaggio della forza lavoro femminile dall’agricoltura al settore industriale.
Si ritiene che, nel breve periodo, si possano determinare anche situazioni di disoccupazione legate alla struttura produttiva: ad esempio, la disoccupazione può essere legata al progresso o ai vari periodi dell’anno in cui alcuni lavori si svolgono. Con la chiusura di alcune attività che hanno ormai metodi superati, i lavoratori si trovano così disoccupati e incontrano notevoli difficoltà a trovare occupazione nei nuovi settori tecnologicamente più avanzati. Può rientrare in questa tipologia anche la disoccupazione legata alle cosiddette attività stagionali, come il settore alberghiero, in cui il lavoro e il profitto sono concentrate in un determinato periodo dell’anno.
Tutte le cause finora esaminate vanno a contribuire all’aumento della disoccupazione, ma non certo alla creazione di tale fenomeno: in ogni caso esiste sempre un livello di disoccupazione minimo, la cosiddetta disoccupazione frizionale (valore normale del 4%), determinata dal fatto che il mercato del lavoro non funziona perfettamente e non può garantire un impiego a ogni individuo che fa parte della forza lavoro.

I DANNI DELLA DISOCCUPAZIONE

“Se non lavoro non ho dignità. Adesso mi tolgo dallo stato di disoccupazione”
Giuseppe Burgarella. Muratore e sindacalista Cgil, 61 anni, suicida.

Come già accennato, la disoccupazione può avere una pesante ricaduta in termini economici ma anche dal punto di vista sociale. Ponendo per prima cosa l’attenzione sui singoli individui, la disoccupazione comporta alti costi non soltanto di natura economica, ma anche connessi alla costruzione dell’identità e del livello di autostima personali. Questo problema si aggrava man mano che il periodo di disoccupazione si allunga: un disoccupato che resta per molto tempo senza lavoro vede svalutate e obsolete le sue competenze e le sue conoscenze. È stato inoltre dimostrato che le imprese sono poco inclini ad assumere persone che da tempo sono rimaste estromesse dal mondo del lavoro, dal momento chela loro distanza dalla realtà lavorativa viene giudicata negativamente sotto il profilo dell’attendibilità, dell’efficienza, della puntualità e, in generale, della capacità produttiva.
Questo circolo vizioso ha portato un aumento incredibile dei suicidi, che nell’ultimo periodo hanno raggiunto, nel nostro Paese, il preoccupante livello di uno ogni due giorni e mezzo circa. Solo nel 2013 sono stati complessivamente 149 gli Italiani che si sono tolti la vita per motivazioni economiche, rispetto agli 89 casi del 2012, di cui il 40% solo nel quadrimestre settembre-dicembre. Un altro dato che fa rabbrividire e riflettere è che, nel 46% dei casi, a togliersi la vita è un imprenditore.
Analizzando il fenomeno da un punto di vista sociale, si nota anche come il flagello della disoccupazione non colpisca tutte le categorie sociali in eguale misura, bensì tenda ad accanirsi maggiormente contro le categorie sociali più deboli (donne, giovani, minoranze etniche...), facendo quindi sì che i costi sociali del problema si abbattano su fasce di popolazione già piuttosto disagiate e meno tutelate.
Dal punto di vista del sistema economico di una nazione, la presenza della disoccupazione, ossia il mancato raggiungimento del pieno impiego della forza lavoro, rivela una perdita secca leggibile in termini di prodotto nazionale. L’economista Arthur Melville Okunnel 1962 ha calcolato, formulando la legge economica che porta il suo nome, che l’economia degli USA subisce una perdita di circa il 2% del PIL per ogni punto percentuale che superi il livello naturale del tasso di disoccupazione.
Un’altra questione fondamentale della politica economica è il rapporto fra disoccupazione e inflazione. In teoria, quando la domanda di lavoro cresce fino al punto in cui la disoccupazione è molto bassa e per le imprese è difficile reperire lavoratori qualificati, i salari aumentano, con ripercussioni sui costi di produzione e sui prezzi, che aumentano a loro volta. Questa serie di cause contribuisce anche all’aumento dell’inflazione, mentre, al contrario, quando la domanda cala e la disoccupazione aumenta, le pressioni inflazionistiche su salari e costi di produzione si allentano. Questa teoria, ritenuta valida fino agli anni ’70, fu smentita in quel periodo, quando i tassi di inflazione e di disoccupazione aumentarono simultaneamente, dando luogo alla cosiddetta stagflazione (stagnazione più inflazione).
In sintesi: la disoccupazione produce gravi danni sia in termini economici che sociali. Il costo principale è la perdita di prodotto per l’intera economia, che produce una quantità di beni e servizi inferiore rispetto a quanto sarebbe in grado di produrre. Le famiglie dei disoccupati devono rinunciare ai salari e, di conseguenza, ridurre il loro livello di vita. Lo stato deve pagare le indennità di disoccupazione, e riceve minor gettito fiscale a causa del minor reddito prodotto dalle imprese e dai lavoratori dipendenti.
Non vanno poi dimenticati neppure i problemi per le istituzioni politiche: il lavoro è una condizione irrinunciabile per una democrazia sostanziale.

L’ECONOMIA KEYNESIANA E LA DISOCCUPAZIONE

“Il momento giusto per l´austerità al Tesoro è l´espansione, non la recessione”
John Maynard Keynes
John Maynard Keynes(1883-1946) diede origine, con le sue teorie macroeconomiche, alla cosiddetta “rivoluzione keynesiana”, che sosteneva, opponendosi prepotentemente alle teorie economiche neoclassiche, la necessità dell’intervento dello Stato nell’economia, soprattutto nel caso in cui la domanda aggregata (domanda di beni e servizi formulata da un sistema economico nel suo complesso) non riuscisse a garantire la piena occupazione. Lo Stato, secondo Keynes, deve quindi avere un ruolo attivo nel favorire la ripresa della domanda nei momenti di crisi, agendo direttamente nell’ambito dei consumi, degli investimenti e dell’occupazione a discapito della spesa pubblica, che può pertanto essere aumentata a favore della ripresa del potere d’acquisto da parte della popolazione.

Keynes rivolge la sua critica ai principi dell’economia classica, andando a contestare uno dei punti fermi del liberismo, ovvero il metodo con cui i prezzi si stabiliscono nel sistema di libero scambio: Keynes critica pesantemente il concetto della “mano invisibile” del mercato smithiano, sostenendo che esso sarebbe applicabile soltanto nel caso in cui consumatori e produttori conoscessero perfettamente tutti i parametri del mercato. Risulterebbe quindi fondamentale una figura che sussiste solo sul piano teorico, quella del “banditore” ipotizzata da Edgeworth, una figura che dovrebbe fornire sicurezza agli investitori, stabilendo le regole del mercato, favorendo la domanda e limitando l’inclinazione al risparmio. Dal momento che tale figura di garanzia per gli investitori resta invece soltanto teorica, si creano nei mercati delle crisi di insufficienza di domanda di beni di consumo, per le quali le imprese vedono ridursi le vendite, l’afflusso di capitali e le risorse per ulteriori investimenti.

La ricetta keynesiana contro la disoccupazione, che consiste nel sostenere la domanda, parte proprio da qui: Keynes fu il primo economista ad accorgersi dell'esistenza, nei cicli economici, di crisi di breve periodo, di lunghezza inferiore all’anno. In una simile situazione, con salari e prezzi fissi, Keynes affermò che la disoccupazione dipende in ultima analisi dall'insufficiente domanda di beni da parte dei consumatori: essa infatti determina scarsi ricavi per le imprese che non hanno perciò propensione ad investire e ad assumere. Sostenendo la domanda, ovvero invogliando i consumatori ad acquistare beni aumentandone il potere d’acquisto, si farebbero arrivare gettiti "freschi" di capitali alle imprese così che esse possano, in seguito, reinvestirli ed assumere nuova forza lavoro per produrre di più, portando così il sistema ad uscire dalla crisi occupazionale.

Keynes si pone anche il problema di aumentare la base di popolazione consumatrice; in questo senso consiglia di aumentare la quantità di moneta circolante, aumentando la spesa pubblica a parità d'imposte oppure diminuendo le imposte per lasciare ai cittadini una più ampia disponibilità del loro denaro. Questo secondo metodo è però sconsigliabile perché i consumatori potrebbero decidere di non destinare al consumo il denaro risparmiato con la diminuzione delle imposte, rendendo perciò inutile tali provvedimenti da parte dello Stato. Keynes arrivò a sostenere, attraverso un famoso paradosso, che se il Governo assumesse disoccupati per impiegarli in lavori improduttivi (come scavare buche e poi riempirle nuovamente), ciò, per quanto assurdo, sortirebbe comunque l'effetto positivo di dare disponibilità di denaro e di spesa a persone che prima non l'avevano, risolvendo pertanto le crisi della domanda.
L’ECONOMIA MONETARISTA E LA DISOCCUPAZIONE
“Se tu paghi la gente che non lavora e la tassi quando lavora, produci disoccupazione.”
Milton Friedman
Oltre alle teorie keynesiane, nel ventunesimo secolo si sono affermate anche quelle di Milton Friedman, esponente principale della scuola economica di Chicago e insignito del Premio Nobel per l’Economia nel 1976, il quale sostiene, attraverso le sue teorie monetariste derivanti dal pensiero liberista classico, che non bisogna riporre una fiducia eccessiva nel sostegno della domanda. I sistemi economici, infatti, spesso non riescono a soddisfare una domanda sempre crescente, dal momento che questo causerebbe la perdita dell’equilibrio nei livelli di produzione: la maggiore domanda, quindi, finirebbe per convertirsi in breve tempo in un aumento dei prezzi.
La scuola monetarista ha allora analizzato il concetto di disoccupazione, trovando che essa dipende spesso da imperfezioni del mercato del lavoro, in altre parole da eterogeneità di qualifiche o di territorio nella domande e/o nell’offerta, oppure anche da scarsità d’informazioni nei medesimi ambiti: questo fa sì che esistano contemporaneamente posti da occupare e disoccupati. Questa particolare disoccupazione, ignorata da Keynes, è definita da Friedman disoccupazione volontaria; ad essa è associato un tasso naturale di disoccupazione definito come un numero di disoccupati pari al numero di posti vacanti: è ad essa che corrisponde la situazione di equilibrio individuata da Friedman, in altre parole la situazione in cui una crescita della domanda non potrebbe essere soddisfatta da un sistema economico già in equilibrio.
A ben vedere, dunque, la controversia tra le due dottrine economiche si può ridurre a capire quale dei due tipi di disoccupazione prevalga in un determinato sistema e in un determinato momento storico, essendo molto probabile che i due tipi siano concomitanti.
Nell’Italia odierna, ad esempio, si possono trovare esempi che in apparenza avvalorano entrambe le teorie: al Nord siamo in presenza di eccessiva eterogeneità tra le qualifiche richieste e quelle offerte, così che mancano tecnici specializzati, ma, d’altra parte, è la poca convenienza a produrre da parte delle imprese a determinare scarsi investimenti ed assunzioni. In questo caso, dunque, siamo certamente di fronte a una disoccupazione volontaria à la Friedman. Tuttavia, analizzando la situazione di alcune zone del Sud Italia, ci si rende conto che un aumento della domanda potrebbe non essere sufficiente a sistemare le cose: occorre tenere conto di un fattore esogeno determinante, come quello del potere della criminalità organizzata all’interno del sistema economico.
Questo esempio concreto, dunque, testimonia come i responsabili delle politiche economiche non debbano focalizzarsi soltanto su una delle due ideologie, ma adottare un cosiddetto policy mix, così da assecondare i bisogni reali e particolari dei singoli territori interessati.
Volendo concentrarsi ancora sul caso italiano, sembra indispensabile una politica lungimirante che riduca il costo del lavoro e della burocrazia, che rappresenterebbe un aiuto notevole e forse sufficiente per le aziende del Nord. Nel caso del Sud, invece, le eventuali politiche di base monetarista che potranno essere applicate dovranno assolutamente essere integrati da azioni e riforme in ambito giudiziario, così da ridurre il più possibile le ingerenze della criminalità organizzata nel settori produttivi dell’economia.


BIBLIOGRAFIA

- O. Blanchard, F. Aminghini, A. Giavazzi, Macroeconomia: una prospettiva europea, Il Mulino, 2011.
- J.M.Keynes, Teoria Generale dell'occupazione, dell'interesse e della moneta, cap. 12, 1936.
- T. D. Togati, Incertezza e comportamenti individuali: Keynes e il dibattito sulla teoria economica della crisi, 30 aprile 2010.
- J. M. Keynes, A Tract on MonetaryReform, 1923.
- E. Prasad, F. Utili (1998), TheItalianlabor market: stylizedfacts, institutions and directions for reform, International MonetaryFund, Aprile 1998.
- B. Chiarini,Lezioni di politica economica,Carocci,2004.
- M. Deaglio, G. Arfaras, A. Caffarena, G. S. Frankel., G. Russo, Alla scuola della crisi, Guerrini e associati, XIV rapporto sull’economia globale e l’Italia, 2009.
- J.M. Keynes, Come uscire dalla crisi, a cura di Pierluigi Sabbatini, Editori Laterza, Roma-Bari, 2004.

- P. Krugman, Il ritorno dell’economia della Depressione e la crisi del 2008, Garzanti, 2009.



SITOGRAFIA

- http://www.soldionline.it/network/politica-economica/dati-istatla-disoccupazione-in-italia-crescera-ancora-nel-2013-2014.html
- http://www.affaritaliani.it/economia/bce-giovani-disoccupati130214.html
- http://ansamed.ansa.it/ansamed/it/notizie/rubriche/economia/2014/06/03/lavoro-lieve-calo-giovani-disoccupati-ue-record-grecia_5b7075dc-0898-4571-9650-7ff93da0b26c.html
- http://www.aforismario.it/aforismi-disoccupazione.htm
- http://keynesblog.com/
- http://www.istat.it/it/
- http://epp.eurostat.ec.europa.eu/portal/page/portal/eurostat/home/
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