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L'incubo
Secondo antiche credenze mitologiche l’incubo era un
essere demoniaco, una sorta di genio malefico che
opprimeva la persona durante il sonno, dapprima
comunicandole un senso generale di soffocamento, e
quindi congiungendosi carnalmente con lei. E’ qui
dunque già presente la duplice componente dell’
incubo: da un lato, il suo carattere ignoto e malefico,
dall’altro lato, la proiezione sessuale.
Incubus
Nella tradizione romana il termine è uno dei
nomi secondari attribuiti a Fauno, insieme ad altri
Fatuus, Fatuclus Inuus.
come e Le fonti che
attribuiscono tale epiteto alla divinità silvestre sono
tarde e sporadiche e ne precisano le caratteristiche
come manifestazione visiva, notturna e a sfondo
sessuale. Lo stesso Plinio il Vecchio ci informa intorno ai rimedi offerti dalla medicina popolare per
tutelarsi da incubi ricorrenti.
Plin. nat. 30.84
…rursus Magi tradunt lymphatos sanguinis talpae adspersu resipiscere, eos vero, qui a nocturnis
“
diis Faunisque agitentur, draconis lingua et oculis et felle intestinisque in vino et oleo decoctis ac
sub diu nocte refrigeratis perunctionibus matutinis vespertinisque liberari . ”
“… I Magi tramandano inoltre che quelli in preda al panico possono rinsavire se cosparsi di sangue
di talpa, mentre coloro che sono tormentati da apparizioni notturne di dei o di Fauni, possono essere
liberati con massaggi mattutini e serali fatti con un decotto di lingua, occhi, fiele e interiora di
serpente, lasciato a raffreddare in vino e olio per un giorno e una notte.”
Incubus
La presenza di una figura come non è attestata solo nella tradizione romana, ma trova
l’Efialte l’Alp Mahr
rispondenza in figure analoghe quali in Grecia, e il nel mondo germanico,
l’Alu in quello babilonese e molti altri ancora.
Perfino oggi, nelle tradizioni popolari italiane, sono presenti figure di incubi sotto varie forme:
“uomini incubo” capaci di abbandonare temporaneamente il proprio corpo, animali mostruosi, nani
o gnomi di ogni sorta.
Per quanto concerne il significato religioso del termine incubo, è necessario fare riferimento alla
pratica dell’incubazione, diffusa in modo particolare in Grecia. Questo rito consisteva nel recarsi a
dormire nei templi, in spazi appositamente riservati, e attendere in sogno l’apparizione del dio.
Questi, manifestandosi di persona o inviando visioni che i sacerdoti avrebbero poi dovuto
interpretare, illuminava il dormiente riguardo al suo futuro. Pratiche di questo genere trovano
Discorsi sacri
testimonianza nei di Elio Aristide, il quale ne parla a proposito del dio Asclepio,
interrogato sulle possibili cure di malattie.
l’Onirocritica.
2) Un tentativo di razionalizzazione:
Oneirokritikà è il titolo di un'opera in cinque libri il cui autore è Artemidoro, un greco vissuto
nella seconda metà del II secolo che si professava interprete di sogni. I primi quattro libri dell’opera
raccolgono gli elementi principali del sogno, il quinto è una semplice raccolta di sogni interpretati.
Nonostante il baratro temporale che separa questo autore greco dal celebre psicoanalista austriaco,
ho cercato di analizzare l’opera del primo alla luce delle moderne teorie freudiane. Ed è senz’altro
affascinante ritrovare in questo autore, che attribuisce al sogno un significato del tutto diverso da
quello attuale, e per noi inaccettabile, notevoli punti di contatto con il pensiero scientifico
contemporaneo. Artemidoro definisce il sogno “movimento dell’anima, rivelante varie cose, buone
o cattive, che avverranno”. Da questa asserzione emergono subito i due caratteri principali che
l’autore attribuisce alle immagini oniriche:
* Il carattere divinatorio e premonitore del sogno.
* L’assenza di distinzione tra sogno e incubo.
Per quanto riguarda il primo punto, Freud nega questa possibilità (diversamente dal discepolo
Jung), ma lascia comunque intendere un punto di contatto. Infatti se il sogno “dice il vero” per
Artemidoro, lo stesso vale per Freud: solo che per il primo, il “vero” coincide con un futuro
obbiettivo, per il secondo con una realtà puramente soggettiva (realizzazione allucinatoria del
desiderio). oneiros,
Per quanto riguarda invece il secondo punto, la distinzione operata da Artemidoro corre tra
enùpnion
il sogno propriamente detto, e ossia ciò che Freud definisce “immagini ipniche”. L’autore
greco non manca però di riportare esempi di incubi, alcuni dei quali si avvicinano in maniera
sorprendente, a quelli riportati da Freud. Artemidoro parla infatti di sogni angosciosi, contenenti la
diagnosi precoce di un processo morboso;esattamente come gli esempi freudiani che ho avuto modo
di citare poche pagine addietro. Altri esempi di incubi riportati dall’autore greco, sono i cosiddetti
kosmikoì òneiroi (sogni cosmici). Questi sono ampiamente presenti anche nell'odierna pratica
analitica, e vengono parimenti indicati con lo stesso nome: la luna che si spacca, le stelle che
cadono, fenomeni celesti e cataclismi di ogni sorta. Sia Artemidoro sia la moderna psicoanalisi
vedono nel macrocosmo l’immagine del microcosmo individuale, sicché queste raffigurazioni
possono venire interpretate come una tendenza a una scissione della personalità. Riporto ora un
dell’Onirocritica:
esempio di sogni siffatti, tratto dal libro II, cap. 36,
“Il sole oscurato, o macchiato di sangue, o d’aspetto terribile, è per tutti funesto e strano; e talvolta
indica disoccupazione, talvolta predice una malattia o un pericolo per i figli di chi ha fatto il sogno,
o una malattia ai suoi stessi occhi.”
Ho scelto di riportare questo frammento in quanto, a mio parere, significativo per due particolari. Il
primo è la chiara allusione al fenomeno astronomico delle macchie solari, che testimonia
l’attenzione che i greci, anche al di fuori dell'ambito scientifico, dedicavano ai fenomeni celesti. Il
secondo è la corrispondenza, in sogno, tra l’immagine dei figli e quella degli occhi: un parallelismo
documentato anche da Freud.
Dopo aver rilevato alcuni dei caratteri che accomunano i due autori in questione, mi pare di poter
dire che il modo di porsi di fronte al materiale onirico da parte degli onirologi del passato e degli
psicoanalisti moderni mostri affinità talora sorprendenti in rapporto alla distanza temporale e
culturale che li separa.
3) L’incubo nella letteratura antica: due esempi.
Dopo aver esaminato l’eziologia dell’incubo, sia sotto il profilo fantastico, sia sotto quello più
prettamente scientifico, passerei ora ad analizzare due incubi in particolare, desunti rispettivamente
dalla tradizione greca e latina. Ho scelto di riportare i seguenti passi in quanto, come ho avuto modo
l’Onirocritica,
di spiegare per presentano già alcuni elementi che li rendono particolarmente
interessanti alla luce di un confronto con le moderne teorie psicoanalitiche.
Argonautiche
* Il primo passo è tratto dal libro III delle di Apollonio Rodio, vv. 616-636 (cito da F.
I Classici greci,
Michelazzo- A. Pieri- P. Carrara, Firenze 1993, pp. 176/177).
Medea, con la sua travolgente passione per Giasone, è l’indiscussa protagonista di tutto il terzo
libro. Il primo incontro tra i due avviene all’interno della reggia di Eeta, padre di Medea, a
Colchide. La giovane rimane profondamente colpita e turbata dalla visione dello straniero, ed è in
questa situazione psicologica che si inserisce il sogno angoscioso in questione. Apollonio definisce
olooì òneiroi”, “eperopées”,
le visioni di cui è preda Medea come “ sogni terribili, funesti e
(akecheménen).
ingannatori, tipici di chi è in preda all’angoscia
Medea si raffigura Giasone, intento a superare le prove impostegli da Eeta per potersi impadronire
del mitico vello d’oro; ma in un secondo tempo, con un processo che anche Freud riconosce come
tipico e comune a molti sogni, Medea immagina di essere lei stessa a dover affrontare le difficili
prove. Si trova così a lottare con i tori ma, una volta sconfitti, una prova ben più ardua le si
prospetta: dover scegliere tra lo straniero e i suoi genitori. Senza esitazione decide di seguire
Giasone causando un immenso dolore ai suoi genitori che esplodono in grida furenti. Sono proprio
/),
fòbo
queste urla a richiamare Medea dal sonno che, ancora ansante e piena di paura ( si mette a
(baréis òneiroi).
sedere sul letto, gemendo per il terribile incubo Credo che l’incubo in questione
non necessiti di maggiori spiegazioni; tuttavia vorrei soffermarmi ulteriormente su due suoi aspetti
in particolare. Il primo riguarda la concezione freudiana di sogno come “realizzazione allucinatoria
del desiderio”, di cui Apollonio sembra avere già sentore, come si desume dal v. 630 (Medea
preferisce lo straniero ai genitori). Il suo animo è però fortemente combattuto, ed è questo che
genera angoscia. Il secondo particolare, che mi sembra interessante sottolineare, è la duplice
componente amore/morte tipica dell’incubo secondo Freud, e che qui ritroviamo ben espressa.
Metamorfosi
* Il secondo passo che ho scelto di riportare è tratto dalle di Apuleio, cap. 8, par. 8.
Protagonista è ancora una volta una giovane donna, Carite, e ancora una volta si tratta di un incubo
che vede intrecciarsi, al suo interno, le due grandi tematiche di amore e morte (cfr. Freud e
Apollonio Rodio). Il contesto, in cui quest’incubo si inserisce, è quello della morte del marito
Tlepolemo, in seguito all’assalto di un cinghiale. Questi appare però in sogno alla moglie, con il
(“sanie cruentam”), (“pallore deformem”).
volto coperto di sangue e sfigurato dal pallore Le si
(“Mi coniux”),
rivolge con parole affettuose e le rivela la terribile verità: non è stato un cinghiale a
(“non sunt tota dentium vulnera: lancea mali Trasylli me tibi
ucciderlo, ma il malvagio Trasillo
fecit alienum”) che ora è deciso a prendere in sposa la giovane vedova. Carite si sveglia sconvolta,
ma decisa a sventare il piano dell’assassino di suo marito.
In questo caso, dunque, l’incubo si configurerebbe come “rivelatore”, portatore di una verità
nascosta; caratteristiche già attribuitegli, come abbiamo avuto modo di vedere, da Artemidoro, e che
potrebbero ricordare l’episodio shakespeariano dell’apparizione ad Amleto del fantasma del padre,
anch’egli rivelatore del suo vero assassino. Si può quindi asserire che il sostrato che sta alla base
della concezione classica - greca e latina - di incubo è, al di là di lievi variazioni, il medesimo.
L’incubo nella letteratura italiana: Il sogno di Don Rodrigo”
“
Mi vedo ora costretta ad effettuare un salto cronologico di notevole portata, ma ciò è funzionale a
un’analisi complessiva degli incubi letterari che ritengo più significativi alla luce delle moderne
topoi
teorie psicoanalitiche: seguendo il mio programma, individuerò i in questo senso significanti
nella letteratura moderna, così come ho proceduto finora per gli incubi nel mondo classico.
topos
Il primo che vorrei esaminare, nell’ambito della letteratura italiana, riguarda uno dei ‘massimi
classici’ della narrativa dell’‘800.
“Il sogno di Don Rodrigo” I Promessi Sposi.
occupa la prima parte del cap. XXXIII de Questo
celebre incubo, può essere diviso in tre fasi:
• La prima parte è costituita da “residui diurni”, e lo scenario, una chiesa, ci riporta
all’incontro con fra Cristoforo. (“Quando mi viene lo schiribizzo di sentire una predica, so
benissimo andare in chiesa…”)
• Nella seconda parte, i residui diurni si diradano, e comincia ad apparire chiara la logica
del sogno: l’apparizione degli appestati e la sensazione di soffocamento, sono fortemente
simbolici, mentre la “puntura dolorosa” tra il cuore e l’ascella, è determinata da un forte
stimolo interno: un bubbone pestilenziale. In quel punto Don Rodrigo si sente schiacciare,
prima dai gomiti degli appestati, e poi dalla sua stessa spada.
• Nella terza parte, infine, alla presenza oppressiva degli appestati, si aggiunge la figura
minacciosa di padre Cristoforo, messa a fuoco progressivamente, partendo dalla sua testa