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inglese-Joyce
spagnolo-Vera vigevani
italiano-Ungaretti, Margaret Mazzantini, Ron Kubati
certi imprenditori di mantenere antiquati e spesso illegali sistemi di sicurezza contro le
malattie professionali. Ma, se il rallentamento dell'innovazione tecnologica può essere
considerato nel breve periodo un risparmio di costi, esso può trasformarsi in un ritardo che
nel lungo periodo toglie competitività alle produzioni in cui è richiesto alto livello di
precisione, affidabilità e standardizzazione.
Inoltre, secondo uno studio condotto dalla Fondazione Leone Moressa, impegnata nella
ricerca scientifica rivolta ai fenomeni migratori, gli immigrati producono il 6% del PIL e
Un potenziale economico tutt’altro che trascurabile, in tempi di
pagano le tasse.
recessione come quelli che stiamo vivendo.
Per contro la presenza di immigrati in condizione di disoccupazione o di lavoro nero
comporta dei costi per l'erogazione di servizi socioassistenziali: abitazione, educazione
scolastica, assistenza sanitaria, senza che vi sia un corrispettivo in termini di contributi
versati. Inoltre secondo il contesto di inserimento, la difficoltà nel trovare lavoro facilita in
zone disagiate e periferiche forme di forte emarginazione.
è fondamentale un’attenzione altissima
A questo riguardo, nella popolazione immigrata
alla sofferenza psichica, che può riflettere forti disagi materiali, senza mai dimenticare che
anche lo sradicamento e la solitudine possono far ammalare altrettanto il corpo in
quell’unità indivisibile che è la persona. Infatti, l'atto migratorio è altamente ansiogeno,
“sé stesso”. Il soggetto si lascia dietro affetti,
dirompente, pericoloso per l'integrità del
conoscenze, oggetti, luoghi, con i quali è intessuta la personalità individuale, e questo
assomiglia alla morte. Si trova davanti un contesto nuovo e sconosciuto, nei confronti del
quale è inerme come un bambino, e questo assomiglia alla nascita. In questo momento
traumatico, l’identità individuale vacilla, stenta a definire i propri limiti e attributi.
i più recenti dati dell’Area sanitaria
Secondo Caritas, su un campione di 390 migranti
visitati nel servizio di medicina generale del poliambulatorio Caritas di Roma per persone
in condizione di fragilità sociale (immigrati non inseriti e richiedenti asilo), il 74% riporta
gravi difficoltà di vita in Italia e più del 10% soffre di un disturbo post traumatico da stress,
Ptsd.
Il disturbo post traumatico da stress, spiega il Dottor Massimiliano Aragona, psichiatra del
progetto Caritas Ferite Invisibili, “porta l’individuo a vivere in uno stato emotivo di forte
allarme, con pensieri intrusivi e ricorrenti delle esperienze traumatiche vissute, difficoltà a
concentrarsi, insonnia, incubi, tendenza a isolarsi per paura di subire nuove violenze,
dolori e altri sintomi somatici su base psicologica. Si comprende come queste persone
siano persone vulnerabili da proteggere e curare, altrimenti possono avere serissime
difficoltà a integrarsi nel tessuto della nostra società”.
Su questa condizione si inseriscono le difficoltà di vita post-migratorie (difficoltà sociali,
lavorative, abitative, di accesso alla salute, di discriminazione, ma anche la
preoccupazione per le famiglie lasciate nel paese d’origine) che sono un fattore
ritraumatizzante che fa insorgere o peggiorare i sintomi del disagio psicologico, portando
ad una vera e propria angoscia esistenziale.
L’angoisse existentielle est aussi un des thèmes fondamentaux de Baudelaire dans son
oeuvre la plus connue, “Les fleurs du mal”.
représentent les étapes d’un voyage imaginaire vers
Les six sections qui forment le recueil
la mort pour échapper au spleen: 1) spleen et ideal (l’homme échappe au mal par l’art et
par l’amour); 2) tableaux parisiens (en visitant Paris, il découvre que beaucoup des
3)le vin (l’alcool est
hommes échappent à la solitude à travers le choix délibéré du Mal);
un éphémère tentative d’évasion); 4) les fleurs du mal (l’homme cherche, en vain, à
travers l’experience sexuelle, de trouver sa véritable nature); 5) la révolte contre Dieu; 6)
représente la solution finale et définitive à l’angoisse existentielle.
la mort qui
Allo sradicamento e alla perdita d’identità che provano
gli immigrati nel paese d’adozione si è ispirato
Giuseppe Ungaretti, nato ad Alessandria d’Egitto da
genitori italiani e a sua volta immigrato famoso per i
suoi successi letterari, nella poesia “In memoria”.
Essa è dedicata all’egiziano Moammed Sceab, suo
amico e compagno di stanza a Parigi, morto suicida.
Sceab arriva alla drastica e terribilmente drammatica
soluzione di togliersi la vita perché non si riconosce più
nella sua vecchia cultura, quella araba, ma neanche in
quella nuova che ha di fronte, ovvero quella francese.
Egli ha pagato con il suicidio l'incapacità di uscire
dalla solitudine attraverso relazioni d'amore e di
amicizia.
Anche Ungaretti conosce il “torbido” malessere
esistenziale (lo spleen di cui ha parlato Baudelaire),
ma si salva grazie alla poesia. Essa è infatti un ponte di comunicazione, che gli consente
esprimere il senso di lacerazione e di sradicamento, di far vivere il ricordo dell’amico e
di
lasciare una testimonianza che duri nel tempo.
In memoria
Si chiamava il canto
Moammed Sceab del suo abbandono
Discendente L’ho accompagnato
di emiri e di nomadi insieme alla padrona dell’albergo
suicida
perché non aveva più dove abitavamo
Patria a Parigi
dal numero 5 della rue des Cannes
Amò la Francia appassito vicolo in discesa
e mutò nome Riposa
nel camposanto d’Ivry
Fu Marcel
ma non era Francese sobborgo che pare
e non sapeva più sempre
vivere in una giornata
nella tenda dei suoi di una
dove si ascolta la cantilena decomposta fiera
del Corano
gustando un caffè E forse io solo
so ancora
E non sapeva che visse
sciogliere
Nel testo possiamo ravvisare due aspetti fondamentali:
il primo è la commozione con cui il poeta ricorda l'amico scomparso,
compagno di studi ad Alessadria fin dall'adolescenza;
il secondo è la riflessione non tanto sul perchè del suicidio, bensì sul perchè
ai due amici sia toccata una sorte così differente, sebbene le premesse
fossero simili. Sia Ungaretti sia Mohammed Sceab, infatti sono dei sofferenti,
in quanto esuli (nomadi, per utilizzare un termine ungarettiano), sradicati
dalla terra d'origine, in cerca di stabilità. “Mare
Il malessere esistenziale degli immigrati è anche il tema dominante di al mattino” di
Margaret Mazzantini.
Il romanzo, infatti,affronta il tema universale della migrazione delle persone, il destino di
coloro che diventano esiliati dalle loro case, dai parenti e dalle radici, la violenza della
guerra e della natura, la forza delle donne, quando si deve difendere il futuro dei loro figli,
la speranza del genere umano per una vita migliore.
Jamila, giovanissima vedova libica, scappa dalla guerra imbarcandosi profuga per
l'Italia con la speranza di portare in salvo suo figlio Farid e salvarlo dalla violenza di una
dittatura feroce. Un viaggio su un barcone che non arriverà mai, inghiottito dal mare.
Sull'altra sponda, in Sicilia, il diciottenne Vito ascolta il racconto di sua madre
Angelina, tripolina cacciata dal regime di Gheddafi nel 1970 (che aveva scacciato dalla
Libia tutti gli invasori italiani, comprese le spoglie dei soldati, per far pagare all’Italia le
malefatte del colonialismo), che invece guarda la costa africana con nostalgia perché in
Italia si sente una straniera. “Voltarsi e non vedere
Così la Mazzantini riflette sulla condizione di profuga di Angelina:
più niente, solo mare. Le tue radici inghiottite dal mare, senza alcuna ragione accettabile.
C’è qualcosa di magico nel luogo dove si nasce. Non tutti lo sanno, solo chi è strappato a
forza lo sa…Hai perso il senso dell’orientamento…per un pezzo Angelina, che per undici
non ha saputo chi fosse…Alza lo sguardo soltanto per cercare la
anni è stata araba,
conferma della propria esistenza negli altri corpi umani che passano lungo la strada. A
nessuno interessa la sua storia. Il vero confino è quello, la solitudine morale.”
Le storie di Angelina e di Jamila non si incontrano ma si specchiano l’una nell’altra. E
insieme ne disegnano una sola, di storia, quella di un destino che impone la rinuncia e
la mancanza, la perdita e l’abbandono.
tematiche principali anche della “letteratura di guado” , cioè delle opere
Queste sono le
scritte da autori stranieri che scrivono in italiano, per lo più immigrati di prima generazione
l’italiano direttamente qui.
che hanno imparato Figure di spicco sono: Christiana de Caldas
Brito, scrittrice nata in Brasile, psicologa ed animatrice di un corso di scrittura creativa;
Alice Oxman, nata a New York, giornalista e vincitrice del premio Hemingway per il suo
“L’amore, le armi”; Younis Tawfik, scrittore iracheno pluripremiato per il suo “La straniera”
e Ron Kubati, autore albanese che ora vive a Bari.
ha scritto “Il buio nel mare” e “Va e non torna”, in cui si interroga
In particolare, Ron Kubati
esistenziale del giovane come condizione di partenza dell’immigrato, i cui
sul malessere
orizzonti sono l’altrimenti e l’altrove.
Secondo Kubati, l’immigrato è racchiuso in una gabbia di stereotipi, dalla quale si deve
“In quanto immigrato, spoglio della rete
riscattare per emergere come individuo normale.
protettiva formata da famiglia, amici, abitudini, lingua, non si ha una storia, un nome, delle
capacità, singolarità; in quanto immigrato si viene inseriti contemporaneamente in due
categorie. Alla prima corrisponde la discriminazione, la cui forma estrema è il razzismo. In
questo caso l’immigrato è l’altro da odiare. L’altra categoria è quella della solidarietà, che,
se pur di segno opposto, tratta l’immigrato in serie e non da persona singolare. Questo è
l’altro da aiutare. All’immigrato tocca essere rinchiuso in stereotipi, in una gabbia
legislativa, in un ghetto economico. La parola d’ordine, allora, diventa riscatto: riscatto
della propria singolarità, riscatto legislativo, riscatto culturale, riscatto economico, riscatto
sociale. Il prezzo da pagare per arrivare ad una condizione di normalità è venti volte più
alto di quello consueto.” Mercantile Vlora al porto di Bari
Riguardo all’immigrazione albanese, è rimasta indelebile nella memoria collettiva
l’immagine del mercantile Vlora che da Durazzo, dopo una tragica traversata,è sbarcato a
Bari l’8 agosto 1991, con quasi ventimila albanesi ammassati nelle stive,schiacciati gli uni
agli altri sulla prua della nave, appesi ai pennoni.
dall’Albania
Erano in fuga appena uscita dalla dittatura comunista di Enver Hoxha, un
prevalentemente agricola. Per loro l’Italia, che
Paese poverissimo, con un'economia
conoscevano attraverso i programmi televisivi, rappresentava la “terra promessa”.
La traversata dei profughi albanesi sul mercantile Vlora ha ispirato Una Nave dolce, titolo
dell’applauditissimo docufilm di Daniele Vicari presentato alla Mostra del cinema di
Venezia. Vicari per il suo documentario ha raccolto la testimonianza del comandante della
nave,e di tre persone che allora attraversarono il mare Adriatico sulla Vlora. Tra questi c'è
Kledi Kadiu, ballerino diventato famoso partecipando ai programmi televisivi di Maria De
Filippi. dall’Albania,
Sempre in ambito cinematografico, all'odissea degli Albanesi che fuggirono il
regista Gianni Amelio ha dedicato il film “Lamerica”che racconta come, per i profughi
albanesi, l'Italia abbia rappresentato quello che per gli emigranti italiani fu l'America: la
libertà. film “Verso l’eden” di Costa-Gavras:
I profughi albanesi sono anche i protagonisti del per
sfuggire alla guardia costiera greca, il giovane albanese Elias, sbarcato illegalmente sulle
coste greche, si tuffa in mare da una nave diretta in Italia. Giunto stremato sulla spiaggia
di un villaggio per nudisti, fugge con l’idea di raggiungere a Parigi un mago illusionista
conosciuto sul posto. suo cammino saranno numerosi gli incontri, gli scontri, le gioie e i
Sul
dolori, alla ricerca di una vita migliore che non troverà. Non gli resterà che tornare in