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Ho analizzato il tema del paradosso partendo col tracciarne le caratteristiche filosofiche, in particolare nella filosofia kierkegaardiana in contrapposizione all'idealismo. In ambito artistico mi sono ricollegata alla pittura di Magritte caratterizzata
Materie trattate: Filosofia; Storia dell'Arte; Letteratura iglese, italiana, greca; Matematica; Fisica.
Il Paradosso
...Con l’esercizio puoi abituarti a creder anche alle cose impossibili...
PREMESSA: CHE COSA E’ UN PARADOSSO?
Una stranezza, un’affermazione di cui magari ci sfugge il senso, una situazione inusuale; tutte queste cose
le annoveriamo quasi inconsciamente sotto la definizione di “evento paradossale”. Tanto che il termine
paradosso sembra esser diventato, al giorno d’oggi, sinonimo d’assurdità, dimenticando magari la sua vera
natura.
Da un punto di vista etimologico, la parola paradosso deriva dal greco “para” = oltre e “doxa”= opinione.
Assume quindi il significato d’affermazione in contrasto con l’opinione comune.
Ma una tale semplificazione non è pienamente corretta. Infatti, il termine ha assunto nel tempo le accezioni
più svariate.
Considerati per molto tempo dei ragionamenti logicamente possibili, ma senza soluzione, sono stati
potenti stimoli di riflessione sia filosofico-religiosa, assumendo il significato di contraddizioni logiche,
che scientifico-matematica, con la particolare definizione di argomentazione dimostrata ma distante
dall’intuizione.
In entrambi i casi, i paradossi hanno esercitato nel tempo un’influenza benefica sulla cultura umana in
quanto obbligavano gli studiosi a ricercare soluzioni sempre nuove per risolverli. Questo ha portato alla
formulazione di brillanti innovazioni, alcune delle quali sono diventate poi motori di radicali cambiamenti.
Di paradosso si può parlare a proposito dei più disparati campi d’indagine del reale: dalla filosofia alle
scienze matematiche, dall’arte alla letteratura.
Per classificarli ci sono diversi metodi.
Uno di questi si basa sulle conclusioni a cui essi giungono, e si distinguono paradossi:
°Positivi o ontologici, per i quali si rafforzano delle conclusioni attraverso un ragionamento paradossale
°Nulli o retorici, che si identificano con i ragionamenti sofisti
°Negativi o logici, secondo i quali si arriva dimostrare l’assurdità di alcune proposizioni.
Le prime esperienze paradossali che vengono in mente, e con le quali
entriamo più spesso in contatto, sono quelle relative ai sensi. Sono,
infatti, molteplici le imperfezioni fisiologiche umane che comportano
un’elaborazione errata di dati forniti dall’esperienza, come ad esempio
accade con le illusioni ottiche.
I paradossi s’inseriscono poi anche nell’ambito logico-linguistico dove
troviamo, sin dai tempi di Platone, esempi di parole o frasi dal significato
ambiguo. La loro valorizzazione avviene in particolare durante il periodo
futurista in letteratura, quando l’uso paradossale delle parole costituiva una
delle colonne portanti del movimento.
Da un punto di vista tematico poi, ricorrono spesso in letteratura situazioni
assurde e paradossali che scatenano diverse reazioni in coloro che si trovano
a viverle.
Anche in ambito artistico la tematica del paradosso riveste un ruolo fondamentale, soprattutto nell’arte
surrealista.
Per ciò che riguarda poi le origini filosofiche della tematica, queste risalgono ai tempi della Grecia
ellenistica e vengono sviluppate ampiamente dalla filosofia posteriore.
Infine abbiamo una vastissima gamma di paradossi nell’area scientifica, alcuni dei quali sono stati risolti da
nuove formulazioni, mentre altri rimangono tuttora insoluti.
1) ORIGINI E CONCEZIONE FILOSOFICA
La tematica del paradosso ha esercitato da sempre uno strano fascino sull’umanità portando molti tra i più
grandi filosofi a dedicare intere parti del proprio pensiero alla risoluzione di paradossi ora particolari ora
visti come problema complessivo.
Basti pensare che il paradosso ricorre anche nell’opera kantiana, sotto forma di antinomie nella
Cosmologia Razionale, a proposito del problema sulla conoscenza.
Ma la vera e propria origine della dissertazione sui paradossi risale addirittura al III secolo a.C.
nell’ambito della filosofia greca.
In particolare i paradossi occupano un ruolo di rilievo nella dottrina Stoica riguardo alle dissertazioni sulla
Logica.
Per Logica gli Stoici intendevano quella parte della filosofia che si proponeva di giungere ad un “criterio
di verità”, obbiettivo unificante di tutta la dottrina stoica, per mezzo di ovvero discorsi.
logoi,
In questa prospettiva i paradossi si connotano come ragionamenti logicamente possibili, a differenza di
quanto diceva Aristotele, ma tuttavia privi di una vera soluzione, assumendo talvolta il carattere di vere e
proprie antinomie della ragione.
Molti di questi paradossi sono stati riesaminati nel corso delle epoche e ad alcuni di
questi si sono trovate soluzioni coerenti.
Un esempio di ciò è il famoso paradosso di Achille e della Tartaruga formulato da
Zenone di Elea nel III secolo a.C.
Zenone fu uno dei maggiori filosofi della Grecia arcaica, fondò lui stesso la scuola
Stoica e fu considerato in seguito il “padre della dialettica” a causa del metodo da
lui utilizzato. Infatti, fu proprio Zenone “l’inventore” del ragionamento per assurdo.
Questo consiste nel dimostrare qualcosa partendo dal suo contrario: considerando vero
l’opposto di quello che si vuol dimostrare, se ne deducono conclusioni contraddittorie
e paradossali dimostrando così la falsità di tale affermazione e di conseguenza la
veridicità di quella che volevamo dimostrare.
Nel corso della sua indagine del reale egli si soffermò in particolare su certi fenomeni
fisici rivelando più di cinquanta (“strade senza uscita”, situazioni paradossali). In
aporie
particolare si concentrò su paradossi che dimostravano la sua teoria dell’impossibilità
del moto nonostante l’apparenza quotidiana dica il contrario.
Quello di Achille e la Tartaruga è sicuramente quello che ha avuto più fortuna e con il quale filosofi e
matematici si sono maggiormente confrontati.
Viene immaginata tra i due una gara di velocità nella quale alla Tartaruga é concesso un vantaggio. Secondo
il filosofo sarà impossibile per Achille, per quanto possa essere veloce, superare la tartaruga e vincere la
gara poiché nel tempo in cui l’eroe omerico copre la distanza che lo separa dal punto in cui è partita la
Tartaruga, questa avrà percorso un ulteriore tratto di strada. Il processo si può immaginare all’infinito, come
una “serie” infinita di distanze da colmare, così che lo spazio tra i due non sarà mai uguale a zero.
Sebbene il primo impulso sia di decretare falsa e non credibile una tale affermazione, non si riesce
comunque a trovare subito un’argomentazione solida e coerente per confutarla.
Proprio in questo consta il paradosso. Il senso comune ci dice che non è possibile un ragionamento simile,
ma allo stesso tempo l’esempio proposto è dimostrato in modo “logico” tanto che non sappiamo come
risolverlo. Ci ritroviamo quindi in una strana condizione di incertezza.
Il paradosso di Zenone è stato poi risolto dimostrando che Achille raggiunge effettivamente la tartaruga; ma
questo è avvenuto solo nel 1600, con la prima formulazione della teoria delle serie, ovvero 2000 anni dopo
l’epoca del filosofo.
L’esempio di Zenone ci è utile quindi per capire come il riscontro di situazioni paradossali sia condizione
fondamentale per lo sviluppo di concetti fondamentali delle scienze moderne.
Nel corso dei secoli il metodo zenoniano ha continuato ad operare un ruolo importante e ne ritroviamo
esempi in molte filosofie.
In particolare con l’avvento del pensiero filosofico religioso, le occasioni per parlare di paradosso si sono
moltiplicate.
La filosofia del paradosso per eccellenza può essere identificata in Kierkegaard, filosofo del primo 800, il
cui pensiero si articola su una tensione basilare tra opposti che raggiunge la massima espressione riguardo
la fede religiosa.
Distaccandosi dalla concezione filosofica idealista, radicata a fondo nella cultura europea già dalla fine
del 700, che promuoveva una visione organicistica della realtà, Kierkegaard tratteggia una molteplicità di
realtà tutte contemporaneamente valide e contraddittorie.
E’ questo elemento fondamentale del pensiero kierkegaardiano: la concezione
della realtà come pluralità di verità che si manifestano all’uomo (uomo come
singolo) in veste di infinite possibilità. Verso di esse il singolo ha una sola
modalità di relazione, quella della scelta. Questa si configura come elemento
discriminante attraverso il quale il singolo esprime la propria libertà e la
propria essenza personale in quanto, una volta compiuta la scelta di una tra le
possibilità, questa diventa “verità soggettiva per il singolo”.
Proprio nel concepire questa verità “personale”, ma allo stesso tempo di
validità universale, risiede il paradosso: poiché non esiste un concetto di
totalità nel pensiero di Kierkegaard, ogni possibilità ha una sua validità ed è
quindi una verità a se non conciliabile né riducibile alle altre.
Partendo da questa (paradossale) constatazione di base il filosofo elabora il
suo pensiero in ambito soprattutto etico. Particolarmente significativa è la
teorizzazione dei tre stadi dell’esistenza nei quali Kierkegaard “riassume” le
alternative fondamentali incontro alle quali può andare ogni uomo.
Per ognuna di esse il filosofo procede secondo la struttura Singolo-Possibilià-Scelta per poi analizzare
quali sono i caratteri fondamentali dell’esistenza che effettivamente si è scelta fino ad arrivare ad esporre
il limite di ciascuna e il suo conseguente fallimento.
E’ importante sottolineare che, benché siano comunemente definiti “stadi” dell’esistenza, tra di essi non
esista un rapporto di consequenzialità, come se facessero parte di un processo necessario di crescita
interiore, ma siano proprio delle “alternative” poste tutte sullo stesso piano. E benché ognuno di essi
arrivi alla fine ad una crisi, il passaggio da una all’altra è frutto di un’ulteriore scelta (giustamente definita
dal filosofo come attraverso la quale si nega “paradossalmente” ciò in cui fino a quel momento si è
salto)
creduto per accettare una verità nuova e dissimile dalla precedente.
Seguendo l’ordine in cui vengono presentati avremo prima lo stadio estetico poi quello etico e infine
quello religioso. Proprio in quest’ultimo si esprime a pieno la visione della realtà come paradosso.
La religione, aspetto fondamentale della vicenda umana del filosofo, rappresenta proprio la dimensione
dell’assurdo. In essa, infatti, vengono negate tutte le certezze che furono alla base della precedente morale
etica. Per far comprendere meglio questo concetto Kierkegaard adduce come esempio la figura di Abramo
che riceve il comando divino di uccidere il proprio figlio. Tale comando viola apertamente tutte le regole
morali dell’eticità, ma nonostante questo, Abramo, che “crede” in Dio, è pronto a portare a compimento
tale ordine superando i propri conflitti interiori (che non bisogna erroneamente considerare inesistenti).
In questo modo appunto la religione assume una valenza paradossale e con essa tutto ciò che le è
collegato: “Tutte le categorie della religione sono impensabili e assurde”
Aspetto importante ricopre quindi il concetto di fede che si connota non come punto d’arrivo di un
ragionamento impossibile, ma come “dono” derivante dal paradossale contatto tra il singolo e la divinità.
Questo contatto è di per sé un’assurdità in quanto presuppone l’incontro di due realtà totalmente dissimili
ovvero quella del divino che è eterno e infinito, e quella dell’uomo che è invece finito.
Il pensiero di Kierkegaard, nel suo ammettere infinite realtà valide, ebbe molto successo agli inizi del
900 con l’avvento dell’esistenzialismo proprio per l’importanza conferita all’uomo come singolo; ma al
tempo della pubblicazione le sue teorie non riscossero un largo successo.
Per comprendere meglio la forza innovatrice dell’opera di Kierkegaard è importante contestualizzarla
rispetto alle ideologie contro le quali si poneva (benché non sia riuscito a sovvertirle). Infatti, punto di
partenza della sua indagine speculativa è proprio la critica all’idealismo di Hegel.