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Nel 1975 esce Il sistema periodico, un'altra raccolta di ventuno

racconti in cui scienza, autobiografia e storia si sovrappongono. Sono

incentrati su elementi chimici da cui emerge la storia: il fascismo, la

resistenza, la deportazione, il difficile reinserimento, ma anche il

fascino della scoperta scientifica.

Nel 1978 esce La chiave a stella, che segna forse il punto più lontano La chiave a stella

toccato dall'orbita compiuta da Primo Levi rispetto al cuore più

intenso della sua esistenza. Vi si racconta la storia dell'operaio

piemontese Faussone, che attraverso il proprio lavoro di montatore

meccanico specializzato, vissuto con grande dignità, incontra popoli

e culture diverse, ne e incuriosito e cerca di capire. Cercare di capire,

questo resta sempre l’obiettivo di Levi. Da tale punto inizia un

movimento a spirale di ritorno al nucleo oscuro da cui era partito con

Se questo è un uomo.

Nel 1982, circa venti anni dopo La tregua, esce Se non ora, quando? Se non ora quando

che riprende il tema del ritorno avventuroso dopo la guerra. Il

romanzo ha un taglio complessivamente ottimistico, perché descrive

il viaggio di un gruppo di partigiani ebrei russi prima verso l’Italia e

poi in Palestina. E un viaggio della speranza ed è indicativo che

Primo Levi sia tornato a stringere la sua orbita verso il fuoco

geometrico della guerra mondiale e del genocidio. Quattro anni dopo,

nel 1986, viene dato alle stampe il suo ultimo romanzo, che è quasi

una chiusura del cerchio, un ritorno al punto di partenza: il lager. Il

romanzo è intitolato i sommersi e i salvati ed e tutto centrato sulla I sommersi e i salvati

logica del lager dal punto di vista degli internati. Dopo quarant'anni lo

scrittore torna impietosamente a scandagliare le logiche di

sopravvivenza o di disperato abbandono di chi è gettato nel

mondo concentrazionario come vittima. E 1'ossessione del

sopravvissuto al massacro, che inconsciamente sente come colpa la

vita che da allora gli è stata concessa. E un romanzo-saggio

illuminante dell'oscurità che non solo i carnefici ma anche le vittime

si trascinano dietro, come un peso angosciante. Forse questa è stata la

ferita insanabile di Primo Levi: quanti morti costa un sopravvissuto?

Nel 1987 lo scrittore si toglie la vita. Non se ne conoscono i motivi,

ma l’ultimo romanzo-saggio lascia un messaggio sul quale per

sempre si dovrebbe pensare:gli uomini sono capaci di costruire

meccanismi mostruosi di morte grazie ai quali la vittima si fa

carnefice di se stesso.

Chiave di lettura: l’ossessione dell’abisso umano vissuto, ricordato, narrato

Se si vuole comprendere Primo Levi, è necessario accettare di confrontarsi

nudamente e crudamente con l’abisso che c’è nell’animo umano e nella sua storia.

Ma non un abisso poetico e mitico, più pensato o intuito che vissuto, né con un

abisso individuale, quello nel quale ognuno va a trovare la sua perdizione e del

quale i poeti maledetti hanno lasciato versi paradigmatici e splendidi.

Levi non si confronta con una dinamica di questo tipo, egli ci fa entrare con

lucidità “scientifica” (da chimico quale era il suo mestiere) entro un abisso

pienamente storico, attuale, vissuto, che ha coinvolto milioni di persone i lager

nazisti. Egli trasforma questa esperienza in un osservatorio su se stesso, sul sé di

ogni uomo, sulla storia umana, scavando, quasi con ossessione conoscitiva, sia nel

cuore delle vittime sia in quello dei carnefici. Ci si deve quindi confrontare con una

letteratura a tutto tondo e in espansione, perché tocca la storia, la psicologia, il

profondo: è un vissuto singolo e collettivo che con grande fatica e sofferenza cerca

di fissarsi sulla pagina scritta. Auschwitz è stato un campo di lavoro forzato e di

sterminio. In quel luogo, degli esseri umani hanno utilizzato altri esseri umani

come carne viva su cui esercitare tutti i demoni che affiorano dal profondo: bieco

sfruttamento, sevi zie, torture, piacere della morte altrui, genocidio. Freud ha

insegnato che dentro l’uomo albergano forze oscure, che ogni individuo si porta

addosso la sua zona di ombra; ma quando tutto questo non è più nevrosi o furia

omicida del singolo ma diviene sistema razionale, scientifico, legale, statale,

persone, che pensare dell’essere umano? Quanto gran de è l’ombra che giace nel

nostro fondo?

Insieme al bisogno di capire, il senso di colpa del sopravvissuto è l’altra parte

del Levi scrittore. Egli non ha mai attribuito a se stesso la forza di essere

sopravvissuto all’inferno dei lager, ma ha sempre parlato di fortuna: la fortuna di

essere arrivato ad Auschwitz nel 1944, quando anche “l’impura” manodopera dei”

diversi” poteva servire ai destini del Reich e quindi andava sfruttata ma non

sterminata; la fortuna di aver superato per caso o per errore la selezione per il forno

crematorio; la fortuna di essere riuscito a tornare a casa in mezzo a milioni di

uomini che si sono invece persi. Certo, è una grande fortuna essere ancora vivi, ma

quanto pesa? Quanta memoria non personale ma collettiva bisogna portarsi

addosso? Che colpa il sopravvissuto porta per coloro che sono morti? Dall’essere

un sopravvissuto nasce la narrativa di Primo Levi e in questo modo si può capire

l’intensità dei livelli di significato presenti nei suoi maggiori romanzi.

LA TREGUA (1963)

Dopo essere stato liberato dal lager di Auschwitz il protagonista passa

per più o meno tempo in molti campi per italiani o ex-prigionieri. Per

molti mesi è rimasto in campi sempre gestiti dai russi, con i quali

aveva seri problemi di comunicazione e dall’apparente

disorganizzazione più completa. Ogni tanto veniva trasferiti da un

campo ad un altro anche senza avvertire gli ex-prigionieri, dicendogli

che potevano rimpatriare, però poi il treno che avrebbe dovuto

portarli a casa cambiava direzione e puntava verso nord portandoli in

un campo ancora più lontano dall’Italia del precedente e con la guida

che scompariva nella notte. Il protagonista e i suoi compagni rimasero

per alcuni mesi nel campo di Staryje Doroghi in cui non avevano

notizie ne del loro possibile rimpatrio ne di qualunque altra cosa;

quantomeno non gli veniva chiesto niente e non dovevano neanche

lavorare. Una sera ricevono la notizia dell’imminente partenza che

viene confermata. Dopo un viaggio che dura per il protagonista un po’

più di un mese riesce a tornare a casa, avendo attraversato numerose

frontiere riesce a rimpatriare.

LA CHIAVE A STELLA(1978)

In essa si narrano le imprese di un operaio specializzato, Faussone,

detto Tino, che le racconta a un amico scrittore. L'operaio lavora in

proprio e viene chiamato in tutte le parti del mondo, dove fa

esperienze e vive avventure che a volte mettono a repentaglio la sua

vita per la durezza del lavoro, sempre con i suoi attrezzi da montatore

e la fiducia nelle proprie capacità. Faussone è una sorta di

personaggio epico che lotta contro le forze della natura con il solo

bagaglio delle sue esperienze e delle sue abilità. Per questo La chiave

a stella è un romanzo ottimista: Levi in questo suo primo romanzo di

invenzione dimostra una straordinaria fiducia nell'uomo. Il lavoro in

questo romanzo è un attributo positivo per l'uomo: l'uomo che fa, che

agisce, realizza se stesso ed è con il lavoro che si nobilita anche nella

sua parte spirituale. Faussone, uomo del fare, dimostra, raccontando

al narratore, una profonda conoscenza degli uomini e una grande

intelligenza riflessiva.

SE NON ORA QUANDO(1982)

In 12 capitoli si articola la storia di Mendel, un soldato ebreo

dell’Armata Rossa che vive una vita intensa e tesa; è una storia

immaginata, come dice lo stesso autore nel breve commento in fondo

al libro; tutti i personaggi, tranne la ragazza pilota, sono inventati, ma

con uno sfondo di fatti reali diviene un esempio possibile di

testimonianza: un ebreo sotto il regime nazista. Il narratore è esterno

e racconta l’intera vicenda con un linguaggio molto accessibile, tipico

di Primo Levi. Abbastanza descrittivo e molto narrativo, questo

romanzo è intriso di numerosi dialoghi tra i molti personaggio

presenti, cosa che lo rende ancora più coinvolgente e vivo.

SE QUESTO E’ UN UOMO

LA SCRTTURA COME TESTIMONIANZA DELLA DISCESA NELL’ABISSO

Se questo è un uomo è in primo luogo un resoconto

documentato di un anno di sopravvivenza ad

Auschwitz. Ma è anche l’analisi dei meccanismi

relazionali che si creano nell’universo dei campi di

concentramento, in cui la lotta tra vittime e aguzzini

apre uno spietato ventaglio di modelli di

sopravvivenza da parte delle vittime: complicità,

sotterfugi, miserie e glorie, dignità e abiezione,

conservazione di sé e disperazione senza scampo.

È quindi anche studio dell’animo umano e dei mostri

che vengono alla luce, nascosti! e coltivati dal

profondo di ogni individuo. Essi rimangono latenti

finché la vita o la storia offrono loro la possibilità di

manifestarsi.

È. infine, analisi di un fenomeno storico:

l’antisemitismo trasformato in Stato. Passato

attraverso questa esperienza, il chimico ebreo sente Se questo è un uomo

sorgere in sé il bisogno di scrivere. oggettivare, Voi che vivete sicuri

narrare, formulare ad altri la propria assillante Nelle vostre tiepide case

domanda: perché e com’è successo? E tra le vittime, Voi che trovate tornando a sera

Il cibo caldo e visi amici:

che cos’è accaduto? Considerate se questo è un uomo

Questa poesia, terribile e intensa, racchiude in sé tutta Che lavora nel fango

la ragione dello scrivere di Primo Levi: testimoniare. Che non conosce pace

E un «Voi» potente quello che riecheggia nei primi Che lotta per mezzo pane

versi, un “Voi” che sottintende lo stato di diversità. di Che muore per un sì o per un no.

distacco che caratterizza chi non è stato tra i dannati Considerate se questa è una donna,

Senza capelli e senza nome

della terra, chi non può sapere. Così tutti i versi Senza più forza di ricordare

successivi, retti da quel condizionale «se». tutte le Vuoti gli occhi e freddo il grembo

proposizioni relative che scandiscono le terribili tappe Come una rana d’inverno.

della vita nei lager. altro non sono se non il tentativo Meditate che questo è stato:

di rendere con le parole ciò che le parole non possono Vi comando queste parole.

esprimere. Scolpitele nel vostro cuore

Stando in casa andando per via,

L’immagine del ventre della donne freddo come una Coricandovi alzandovi

rana d’inverno comunica potentemente l’orrore, la Ripetetele ai vostri figli.

bestialità di una condizione umana che trasforma ciò O vi si sfaccia la casa

che per natura è la calda fonte della vita nella viscida, La malattia vi impedisca,

gelida tomba della morte. I sei versi successivi sono I vostri nati torcano il viso da voi

tutti scanditi da verbi che alternano la rabbia e (Se questo è un uomo, Einaudi, Torino 1978)

l’invocazione, che conficcano a forza, nello svolgersi

quotidiano della vita normale, questo orrore disumano, questo bubbone da

estirpare: «Meditate», «Vi comando», «Scolpitele», «Ripetetele». Se questo non

farete, la maledizione biblica, quella più terribile, quella che colpisce gli affetti più

cari, quella che trasforma un uomo in un rifiuto della società, vi colpisca. Così

com’è accaduto a noi.

STORIA: IL NAZISMO Adolf Hitler è nato a

Braunau (Austria

meridionale) nel

1889, figlio di un

doganiere, rimasto

orfano a 16 anni.

Molto povero, da

autodidatta si

imbevve di letture

antisemite e

razziste, studiando a

suo modo

Chamberlain,

Schopenhauer,

Darwin, Nietzsche,

da cui

disordinatamente

trasse le idee della

lotta per l’esistenza,

del

pangermanesimo,

della volontà di

potenza. Nel 1919 si iscrisse al Partito operaio tedesco, un

piccolo gruppo d’estrema destra di Monaco, e l’anno successivo

(7 agosto 1920) fondò il Partito nazionalsocialista (Nsdap) di cui

divenne il leader indiscusso, il Führer (duce). Sostenendo da

diversi industriali, politici e militari nel 1923 tentò di rovesciare il

governo di Monaco con l’appoggio delle Sa. In prigione dettò nel

Mein Kampf

1924 al segretario Hess il testo del (la mia battaglia)

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