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Il mio percorso interdisciplinare è basato sul ciò che intendo per concetto d'informazione.la tesina inoltre non è fine a se stessa, in quanto è parte integrante del percorso universitario e lavorativo che intraprenderò
Materie trattate: italiano, latino, storia, filosofia, inglese, arte, scienze, fisica,
Giovanni Verga e il Verismo come denuncia sociale
L’unificazione d’Italia, che era avvenuta nel 1861, non aveva portato la risolto le
varie crisi che affliggevano il nostro paese:la questione economica, l’arretratezza del
sud e la mancanza di un identità nazionale.
Anche i salotti culturali (soprattutto quelli milanesi e torinesi) vivevano un momento
di crisi che però sembrava destinata a scomparire:si stava sperimentando un nuovo
modello letterario derivante da due movimenti francesi molto importanti, che si
svilupparono all’incirca alla fine dell’800, ovvero il naturalismo e il positivismo.
Il primo fu un vero e proprio supporto filosofico e letterario del positivismo, che era
una nuova visione scientifica del progresso, interamente basata sulla fiducia nel
progresso e nella scienza.
Il naturalismo quindi si prodigò di supportare tali affermazioni con il compito di
studiare la realtà in modo scientifico e deterministico.Questo fermento intellettuale
pose le basi per elaborare un nuovo movimento letterario:Il verismo.I due fautori
principali furono due scrittori benestanti meridionali, Luigi Capuana, un critico
giornalistico che aveva espresso ammirazione nei confronti del naturalismo benché
ne rifiutasse la finalità scientifica,e Giovanni Verga che fu il creatore della nuova
tecnica narrativa che avrebbe caratterizzato il verismo.Qualcosa di vagamente simile
al verismo era già stato abbozzato precedentemente da Alessandro Manzoni.Egli
infatti si era proposto di condurre un indagine storica che avesse come protagonisti
gli umili e i derelitti.Ne “i Promessi Sposi” infatti egli riesce nel suo intento, anche se
emergono le notevoli differenze con il verismo:Manzoni descrive una realtà
governata dalla Provvidenza (quindi da Dio) inserendo quindi elementi irreali che
servono solo ad aiutare i “buoni” a vincere “il male”.Verga invece si propone di
descrivere una realtà dominata solo dalle leggi meccanicistiche (tanto care ai
naturalisti)e senza l’uso di artifici retorici, in quanto l’obiettivo finale è quello di
riportare le reali condizioni della società attraverso l’uso di nuove regole stilistiche
come quella dell’impersonalità dell’autore.Questa importantissima regola verghiana
fa in modo che il narratore non sia più onnisciente ma che scopra passo dopo passo
l’evolversi della situazione.L’autore inoltre non può assolutamente intervenire con
giudizi in quanto egli deve completamente eclissarsi descrivendo le azioni attraverso
gli occhi dei personaggi, oppure attraverso una sorta di “mano invisibile”.Le
situazioni da descrivere secondo Verga sono quelle riguardanti il proprio contesto
territoriale, meglio se si è a conoscenza di qualche fatto accaduto cosicché il realismo
sia alla base del tutto.
Il fine di Verga è quello di impressionare il lettore, smuovendo nella sua coscienza
qualcosa che lo induca a pensare, e da qui nasce la sua volontà di voler descrivere
personaggi umili come minatori, pescatori, contadini ovvero persone oppresse che
sono protagoniste di storie quotidiane purtroppo dimenticate:di conseguenza anche i
luoghi saranno miniere o ambienti prevalentemente rurali.
Un altro importante aspetto prettamente verghiano riguardo il linguaggio usato da
Verga:l’autore deve infatti mimetizzarsi anche linguisticamente usando un lessico
aderente a quello dei personaggi, inserendo anche termini dialettali in corsivo, benché
ciò provochi una rottura con la sintassi e la grammatica.Ovviamente ogni situazione
sociale differisce da posto a posto, ma generalizzando si può fare una distinzione tra
nord e sud:a questo proposito Verga ha distinto un verismo regionale che si divide in
base al problema trattato:è chiaro che al nord non vi sia il problema del latifondismo,
come è evidente che al sud non si presenti il problema dello spostamento dalla
campagna alla città.Il Verismo rappresenta per Verga la realtà effettiva che si mostra
crudele e mossa da una sorta di meccanicismo che tende a schiacciare il più debole.
L’assenza di una salvezza dovuta a fattori religiosi è una delle grandi differenze tra
verismo manzoniano e verghiano, che si aggiunge ad altre discrepanze notevoli, come
il giudizio dell’autore.Secondo Verga infatti l’autore non può assolutamente
intervenire nel racconto in quanto egli non ha la facoltà di cambiare la realtà.
Prima di approdare al Verismo, Verga, scrive alcuni romanzi come “una Peccatrice”,
“Storia di una Capinera” ed “Eva”.Il primo, fortemente biografico, tratta la storia di
un intellettuale siciliano che conquista fama e successo perdendo però la sua donna.Il
secondo è invece una storia drammatica di un amore impossibile mentre il terzo è il
racconto di un artista che s’invaghisce di una ballerina, perdendo di vista i suoi ideali
artistici.Tutti questi romanzi fanno parte del cosiddetto periodo “pre verista” di
Verga, che solo nel 1878 si dedicherà alla stesura di romanzi veristi come “Rosso
Malpelo”, “Nedda”e la raccolta “Vita dei campi”
Pirandello e l’utopia del vero
Luigi Pirandello nasce il 28 Giugno 1867 presso Girgenti (oggi l’odierna
Agrigento).La sua famiglia era in buone condizioni economiche, essendo proprietaria
di una miniera di zolfo.
Dopo aver trascorso l’infanzia presso il paese natale ,si trasferisce a Roma nel 1892,
dove si dedicò completamente alla letteratura.In questo periodo conosce scrittori e
intellettuali importanti, come Capuana.Nel 1893 sposa Maria Antonietta Portulano.
Qualche tempo dopo il matrimonio, la donna manifestò alcuni segni di chiari squilibri
psichici, che si intensificheranno dal 1903 in poi, quando la miniera di zolfo, nella
quale il padre aveva investito tutto il patrimonio familiare, subì un grave allagamento.
La convivenza con la moglie divenne insostenibile, ma Pirandello prese la decisione
di rinchiudere la donna in un istituto psichiatrico solo nel 1919.
Nel periodo della turbolenta relazione, egli sperimentò in prima persona quella
sensazione che poi sarebbe diventata il concetto di “trappola familiare”, ovvero quel
senso di soffocamento e frustrazione che la famiglia provoca.
Come Svevo, egli subì l’umiliante sorte della declassazione sociale, passando da
ricco borghese benestante, a una vita da piccolo borghese.Anche questa situazione
alimentò in Pirandello il senso di straniamento e alienazione che egli provò nei
confronti della società.
Dal 1910 egli comincia a scrivere alcune sceneggiature teatrali, come Lumìe di Sicilia
e anni 1916 – 1918 sono sicuramente quelli più intensi di attività
La morsa.Gli
teatrale, poiché egli scrisse drammi in lingua dialettale, tra i quali Pensaci
ed
Giacomino!, Il piacere dell’Onestà il giuoco delle parti.
Il teatro pirandelliano incontrò parecchie critiche inizialmente, ma il successo non
tardò ad arrivare, soprattutto in ambito estero.
Le situazioni raccontate negli atti teatrali sono quelle che furono tanto care a Svevo, e
che Pirandello, appartenente anch’egli alla classe borghese, tratta in modo
caratteristico;si ritrovano quindi situazioni familiari in declino, a causa di motivi
economici o sentimentali, ed inoltre Pirandello crea i suoi personaggi tracciandone
una caratterizzazione a tutto tondo.
I personaggi quindi risultano più marcati dal punto di vista psicologico, ma nello
stesso tempo assumono atteggiamenti grotteschi al limite dell’esagerazione:scissi,
contraddittori, sdoppiati ed irrigiditi.
Questo tipo di teatro, impegna particolarmente il pubblico, il quale può anche avere
l’impressione di trovarsi ad assistere a uno spettacolo surreale, quasi deformato.
Per alimentare questa sensazione, Pirandello , usa un linguaggio molto concitato, a
tratti confusionario:doppi sensi, esclamazioni, frasi sottintese erano forme comuni
usate dall’autore siciliano.
È possibile suddividere le opere teatrali pirandelliane in 3 parti, la prima riguarda una
situazione molto innovativa.Con Pirandello vuole
sei personaggi in cerca d’autore,
mettere in scena non uno spettacolo, bensì l’impossibilità di rappresentare un
dramma.Questo tipo di spettacolo è considerato metateatrale, poiché attraverso
l’azione scenica, si discute del teatro stesso.
Successivamente la sua opera si concentra sulla finzione dell’eroe, come avviene
nell’Enrico IV, dove un uomo diretto ad una festa in maschera, cade da cavallo
restando intrappolato psicologicamente nel personaggio che stava interpretando,
ovvero EnricoIV.Dopo una serie di vicissitudini si scopre che egli pur essendo
guarito, preferì restare in quei panni fittizi, invece di tornare in una società corrotta e
malata.Torna quindi il concetto di Maschera e di scissione personale.Nell’ultima fase
teatrale, definita “pirandellismo” l’autore è ormai ridotto a schemi già ampliamente
sperimentate.
Per comprendere la profondità del teatro pirandelliano è necessario analizzare
attentamente la sua poetica e la visione del mondo.
La concezione della vita pirandelliana coincide con un fluire magmatico dei
sentimenti e delle personalità, detto vitalismo.Quando una parte di questo magma si
stacca dal flusso principale si stacca e si raffredda, viene creata la personalità
individuale, che secondo Pirandello è però un primo sintomo di una personalità
morente.
Una volta fissati in una forma individuale, noi ci riconosciamo in essa:Gli altri invece
non riconoscono in noi tale forma,ma ne vedono molte, differenti da quella che noi
crediamo di indossare.
Queste maschere, come vengono chiamate dall’autore, sono frutto dell’influenza
della psicoanalisi che Pirandello aveva conosciuto tramite le teorie dello psicologo
Binet che descrisse le alterazioni della personalità.
Questa frantumazione dell’io diventa anche un indebolimento vero e proprio: infatti i
personaggi pirandelliani, una volta scoperta l’inconsistenza della propria
impersonalità, cadono in uno stato di tristezza e sconforto;da qui il crescente rifiuto
della società, e il conseguente rifugiò in a realtà fittizia.
Da questo concetto, Pirandello, elabora anche la figura del forestiero della
vita,ovvero di colui che ha compreso il significato del ruolo delle maschere e osserva
tutto dall’alto della sua consapevolezza.
Nel variopinto universo pirandelliano emerge anche il cosiddetto “umorismo”, una
tecnica che tende ad esasperare le figure umane fino a farle diventare quasi delle
marionette, il tutto per dimostrare che la realtà non è dominata da un ferreo
determinismo naturalistico, bensì da un casualità bizzarra e imprevedibile.
Tacito e gli Annales, prima denuncia storica
“L’Historia si può definire veramente una guerra illustre
Contro il Tempo, perché togliendoli di mano gl’anni suoi
Prigionieri, anzi già fatti cadaveri, li richiama in vita, li
passa in rassegna e li schiera di nuovo in battaglia”
Manzoni, Introduzione de “I Promessi Sposi
“Consilium mihi ... tradere, ... sine ira et studio,
quorum causas procul habeo”
“Il mio proposito è riferire ..., senza ostilità e parzialità,
dal momento che non ne ho motivo”
Tacito, introduzione degli Annales
Cominciano così, con queste due frasi, le introduzioni delle opere di due personaggi
che non hanno niente in comune, se non una spiccata propensione per il vero.Tacito
infatti fu l’unico (forse insieme a Sallustio) che riuscì a trasporre la storia della sua
epoca senza alcun tipo di giudizio, riportando solo ed esclusivamente l’effettiva
oggettività dei fatti.Manzoni, seppur in un contesto completamente diverso, si
propose anch’egli di utilizzare la veridicità dei fatti storici per comporre la sua
celeberrima opera.Si può affermare quindi che entrambi gli autori considerino la
storia come un mezzo di indagine molto utile ed affidabile.
Le notizie riguardanti Tacito sono giunte a noi incomplete e talvolta anche in modo
confusionario e contraddittorio.
Vi sono diverse incertezze addirittura sul prenomen, che potrebbe essere Gaio oppure
Publio.Nacque intorno al 55/58 d.C., e visto il suo nomen e cognomen è lecito